ore 23:35 DAL RACCONTO DI MGP –GIA’ PUBBLICATO—chiara si permette di usarlo per alcune considerazioni-esperienze vissute–Ma lei ribadisce che ogni pensiero riguarda solo se stessa. —- E mais ninguem ( e nessun altro).

 

chiara: questo racconto, al di là del suo valore letterario che non posso giudicare, potrebbe essere utilizzato – a chi interessa dire qualcosa sulle profondità della nostra psiche – (poi, di questi tempi, bisogna che costui si trovi uno che lo ascolti) come una magnifica esemplificazione dei rapporti che una persona normale stabilisce tra sé e la propria parte “malata”. Aspettate a spaventarvi e a precedermi dicendo che una persona normale non ha parte malata.  Di malato c’è solo un vizio del linguaggio. Il mio, in questo caso.

 

olivo di Villamassargia


Voglio dire, prima di tutto, che tutte le persone, come gli animali e, se volete,  anche le piante così come gli alberi secolari,

1. sono stati bambini.

Poi, solo poi, sono cresciuti. Se qualcuno di voi ha qualche ricordo suo di quel tempo lontano, non potrà che meravigliarsi di come vedeva il mondo allora.  Purtroppo cito sempre lo stesso raccontino (da Jean Piaget):

 


 

una notte di luna, una famiglia di tre persone in macchina va verso casa. Papà e mamma e una bambina piccola. Non so dirvi l’età. La bambina guarda fissa la luna e ad un certo momento dice: “Mamma, come mai la luna sa il nostro cammino di casa?”  Quello che conta dire qui è che “l’egocentrismo”, caratteristico del bambino,  porta ad un modo di vedere il mondo e ad una forma logica che non è quella dell’adulto. Il desiderio si sostituisce al rapporto causa-effetto.


 

2. Questa parte della nostra vita che, per alcuni puo’ essere anche lunga,


 

non si cancella perché iscritta nel nostro sistema nervoso, anche se non la ricordiamo. La scienza più attuale cioè la/le neuroscienze la chiamano “memoria implicita”.


3. Ma possiamo non ricordarla.


Ho accompagnato da lontano il caso di un’adolescente, già al liceo scientifico, che molto spesso diceva di non voler crescere e abbandonare la sua infanzia perché era stata troppo bella e lei troppo felice.



Finito il liceo mediocremente, ha annunciato ai genitori, che si prendeva un anno sabbatico. Quest’anno, però, non ha avuto niente di sabbatico. Lo ha passato a letto (tra l’altro un materasso buttato per terra) un po’ piangendo “come fosse da sola” nella stanza–” e sola nell’universo”–mi diceva la madre più giustamente. Quest’angoscia di diluirsi in uno spazio sconosciuto e infinito, in un adolescente è subito panico.

 


 

Quando parlava le sue tematiche erano fisse: la sua vita era stata tutta un fallimento, la morte era per lei l’unica “soluzione” (virgolette nostre, piu’ chiaramente la ragazza parlava di “suicidio”.). Non c’è stato verso di alzarla e farla uscire. Neanche una volta.  La mamma che le faceva compagnia, la ascoltava parlare o stare in silenzio; quando le sembrava un  momento di maggiore “calma”,  cercava di farla ragionare cioè–mi pare – le faceva vedere tutte le cose positive sue e del contorno, su cui poteva puntare. Ma la ragazza era monotematica.

 


 

Come stesse vivendo un incubo da cui non si poteva farla uscire — e dalla sua “non collaborazione”, si capiva che aveva ragioni, anche a lei forse oscure, per non voler uscire.

A posteriore si puo’ ipotizzare che la ragazza si trovasse in un cammino obbligato, una tappa che doveva passare per essere libera di crescere. A mio parere, stava vivendo il lutto per la sua infanzia che riteneva di dover abbandonare del tutto. Negli adolescenti rinascono certe forze e certi “modi di pensare” della mente bambina ma con un potere che il bambino mai potrebbe avere. Qui vediamo molto semplicemente operare il pensiero chiamato assoluto in opposizione a quello relativo. “L’infanzia / è morte”  “L’adultità  è vita” .

 


Non esiste, a proposito del titolo del racconto, “un convivio” tra parti bambine e adulte. Tutto è un “aut-aut”, e mai un “e-e”.
E per come la ragazza era legata affettivamente a quella bambina che era stata lei, questo lutto doveva essere vissuto in forma “celebrata”:

 


 

 

non era un semplice sentimento, ma c’era una specie di inscenazione (non saprei come chiamarla): lei a letto tutto il tempo dell’anno scolastico (sono 7-8 mesi circa), al buio, senza che nessuno potesse aiutarla (la madre infatti viveva una totale impotenza), senza cercare nessuna amica o amico, in quasi completo isolamento…”quasi”—e lo dico sorridendo—mi pare che non saltasse troppi pasti. Almeno al cibo “si accostava”. Il cibo è sempre un’accettazione della vita…


 

Ma come tutti i lutti, anche questo arrivo’ ad una saturazione.

 


Con l’arrivo dell’estate sembrò che tutto fosse finito, quasi una lunga febbre “senza ragione” che aveva fatto soffrire la mente e il corpo. Ma il calore di luglio, il sole la sabbia e il mare / guarirono ogni male.

 

La ragazza adesso la lasciamo crescere e farsi le ossa nel mondo. Sono passati molti anni da quell’episodio. Adesso è adulta e ha una vita felice.

La conclusione di quella crisi, che è poi quello che mi interessa dirvi, fu che non le rimase nessun ricordo della sua infanzia, se non minuscoli dettagli, se per caso qualcuno ricorda qualcosa di allora.
Ed è stata la sua salvezza questa “cancellazione”: se l’avesse tirata fuori, confrontata con il presente…un “lavoro mentale” da esaurimento nervoso e da traballo sul pavimento.

C’è chi lo fa, ma molto più tardi: alcuni dopo i 60, o anche prima,  ricordano e, magari, soffrono di non aver fatto…il dolore viene dal rapporto avuto con i genitori…

Una volta avevamo deciso: Chiara, MGP e Donatella di scrivere una commedia su cosa avremmo fatto se i nostri genitori fossero stati vivi con noi adesso..soprattutto cosa avremmo detto loro….Ci si è pensato per un po’, il tempo non c’era…Alla fine ognuno se l’ha scritta per i fatti suoi.

 

 

4.Ma in genere nessuno vive tutti questi drammi. Pochi ricordano minuziosamente la propria infanzia mentre la maggioranza dimentica. Questa parte viene rimossa, dice il testo sacro, ma si puo’ dire che non è più presente. La mettiamo in un angolo di questa mente che appare infinita –a chi ci si arrischia — e sapendola ben curata in quel posto lì, ce la lasciamo senza più pensarci–I neuroscienziati, “up to date” in fatto di scienza, la chiamano “memoria implicita”.


 

5. —-Quinto nel mio elenco distratto, ma primo all’origine cioè quando nasciamo. Parlo del mondo dei nostri istinti o impulsi che, qui nel racconto sono molto ben individuati. Manca, a mio parere -ben manifestata-  l’invidia che è sorella stretta dell’avidità, così meravigliosamente descritta nella bestia che uno si tiene in casa.

Osservate queste battute del racconto.

L’amica chiede perché se la tiene se da tanti disturbi. La risposta:

“E’ di famiglia…Ma io non ho famiglia. C’è lei…”

 

Difficile-pensa chiara-dire così tante cose in così poche parole.

 

 

 

Quando bambini sentivamo una privazione ci muovevamo verso qualcosa che potesse saziarla …il modo più vicino all’infanzia e’ quello di aprire la bocca, come una volta l’aprivamo sul seno, e –senza dover fare niente un calore una passione ci inondava dall’alto saziando ogni nostro bisogno come se qualcuno vedesse dentro di noi e “sapesse”.

Questa modalità in molti rimane negli anni: di fronte ad un grave problema, la persona chiede subito aiuto, non sa che pesci prendere, e spesso succede che qualcuno riesca davvero ad aiutarla e saziare quel bisogno imperioso. Se accade, la persona si convince che la sua modalità di chiedere subito aiuto è quella giusta. Con gli anni, che passano e passano e passano ancora più in fretta,  magari ci si accorge che e’ proprio “quella modalita’” all’origine di tanti guai, o più che guai, a sconfitte del nostro desiderio più profondo.

 

 

 

 



“Bisogna avere un caos dentro di sè per generare una stella danzante”


 

Il racconto parla appunto di una persona che mai avrebbe rinunciato alla propria infanzia, brutta o bella che fosse, perché mai avrebbe rinunciato a tutto quel mondo di desideri, senza alcuna inibizione o molto poca, in relazione alle responsabilità che l’età adulta, ad un certo momento, puo’ obbligarti ad assumere,  facendoti sentire la vita  come un  peso.

Ma si puo’ sognare quella vita fantastica –che magari non abbiamo mai avuto —e anche scriverla.

Come fa, per fortuna nostra, MGP.

 

Questa parte uno se la tiene in casa, non vuole perderla, anche se il trambusto è forte.  Lei, e andrebbe scritto maiuscolo, per costituzione, rifiuta la realtà e tutte le sue limitazioni. Ha un vero e proprio odio della realtà, anche se non è facile da percepire in noi. La realtà che dico è la società e la cosiddetta civiltà,  ossia il mondo comune che già ci arriva organizzato intorno a noi, con leggi precise che è meglio non sfidare.

Questo in genere lo si capisce subito.

 

Cosa fare di tutti quel caos che è dentro di noi, impulsi di amore e sesso, e di odio fino a desiderare di uccidere chi ci contrasta. Questi sentimenti di odio e repulsione  li abbiamo già provati piccolissimi quando la madre ritardava molto a darci la tetta o il biberon. Non parliamo se da piccolissimi abbiamo sofferto la fame, per ragioni varie.

Mentre li provavamo, questi sentimenti  di rifiuto totale dell’altro, anche se l’altro era la mamma che chiamavamo dopo pochi minuti, in noi-primitivamente- non potevamo che dar loro lo stesso titolo di esistenza della “amore”. Nessuno mamma, o altri, sa di questo nostro mondo di violenze estremate in un senso o nell’altro, al massimo si preoccupano perché piangiamo troppo. o perché abbiamo sempre i gas nella pancia, ma per il resto ce lo lasciano vivere interamente, senza inibizioni. Di questo periodo in cui eravamo unici signori della nostra mente – e il paesaggio vivente era tale che mai potevamo distrarci di tanto interesse suscitato —abbiamo spesso nostalgia, una nostalgia di non saper cosa è, un anelito verso qualcosa che non conosciamo/ ma conosciamo anche troppo bene… E che è  perso per sempre,  lo sappiamo.

Non ricordo bene, ma Freud a proposito di questa età della nostra mente parla di “sentimento oceanico”, forse dato dalla profonda unione fisicamente sentita con la madre (o con chi ne fa le veci). Ed è questa indistruttibile unione contro il mondo che noi cerchiamo, a mio parere, in ogni rapporto amoroso o sessuale che ci viene incontro. Non so dei più fortunati né dei più forti in illusione, ma quello che ho conosciuto io è stata solo la conferma che “quello era perduto, era perduto / e per sempre, per sempre”.

 

 

Questa parte che la protagonista del racconto si tiene in casa, alla fine come l’unica vera famiglia che ha, unica che lei possiede e insieme è a lei che appartiene di fatto, puo’ essere  tanto “agitata” da esaurirmi—-
Ma è lei, e solo lei, che mi passa la sua pila sempre accesa di energia.

Mi fa sognare come solo lei può fare, con la sua immaginazione che va sempre lontano lontano, oltre ogni confine che tu non potresti tracciare perché quando arrivi, lei è “oltre”.
Qui trovo la mia vera liberta’, perché la voglio tanto assoluta quanto assoluto è il mio bisogno di vita in tutto quello che c’è e, di più, se possibile.

 

 

L’Innocente -mario bardelli 98

 

 

mariobardelli,  computergraphics 2014

 

 

 

MGP    “Convivio”   –RACCONTO–


 

 

Anche tu la tieni in gabbia?

 

Non si può che legarla o costringerla a forza perché non conosce misure.

Mi guarda con due occhietti piccoli e nascosti sotto i rotoli di grasso, arricciati a balze intorno alla bocca. Si muove a fatica, tutta ripiegata a scalini circolari ondulati sul petto, sulla pancia e giù fino al basso ventre. Una massa di carne bianca e scivolosa abbandonata sul pavimento. Quando mi vede gira appena la testa, spinge in fuori il labbro superiore, soffia un verso sotterraneo di richiamo e con un respiro profondo fino allo stomaco pare chiedermi «è pronto?».

«Aspetta un momento» le rispondo. Ma gli odori sembrano infilarsi tutti quanti dentro la sua bocca e inondare in un lago di saliva anche le tonsille e il velo pendulo.

«Ancora un momento» le ripeto.

 

Non sa aspettare, salta, pesta i piedi, sbava e disperatamente lecca anche gli sputi incollati alle pareti e piange, piange proprio come un vitello. «Se non stai zitta, ti cucio quella bocca» le grido dalla cucina, ma niente, non sa tacere.

 

Credi che col tempo si potrà addomesticare?


lo la tengo chiusa a chiave nella stanza più alta della casa, sai per via dei rumori. Ha sempre una certa difficoltà ad assimilare il cibo e quando finalmente si libera, quando digerisce, trema anche la porta del frigorifero. Questa notte mi ha svegliato due volte, due eruzioni da cratere centrale, da tirar su anche il letto.

 

So che anche tu hai una bestia di bocca dura …come va la vita?

 

Lei ha la bocca cieca del rinoceronte, è sempre bagnata e ricoperta di pelle lucida e trasparente. E’ una grossa tromba, una betoniera, una macchina che spolpa e rosicchia e con uno SCIUP definitivo ingurgita l’intero commestibile e tutto scivola giù come risucchiato da una ventosa interna. E’ una ladra, una canaglia, afferra il bottino e lo incamera alla rinfusa, zeppo in quella tasca sfonda, poi mostra i denti e, con il sorriso impunito della iena, spalanca la bocca: una padella aperta fino all’ugola con i bordi di carne sporgenti e molli, un paiolo di trippa coi fagioli.

Ha la lingua lunga e furbesca di Menelic e, divorato il pasto, la sbatte sul palato come fosse una ciabatta, la piega all’indietro, ripassa il muso da uno zigomo all’altro, fin dentro le narici e con un succhione verticale completa la pulizia. Un bacio sostanzioso, profondo, con capriola finale.

 

< Date da mangiare agli affamati >l’hai sentito dire?

 

Ma dove finisce la fame? Ah, se potesse parlare . . .

 

 

 


 

So bene che lei direbbe che proprio là, dove finisce la fame, comincia il banchetto e superata la condizione penosa della beneficenza, della carità, si apre la porta dell’abbondanza e subito diventa una gozzoviglia, una scorpacciata, una vera strippata.

La guardo e penso all’umanità, ai principi, alla morale, ai valori, sì, ai valori della carne.

Io penso e lei beve, anzi succhia, si attacca alla bottiglia, ingolla tutto il vino a sorsate lunghe, da rischiare ogni volta l’annegamento, poi in avanti a linguate recupera anche i rivoli rossi agli angoli della bocca. Un altro trinco e un’altra risata da spaccarsi i denti. Non riesce a fermarsi dal ridere e non si regge in piedi tanto è ubriaca, singhiozza e sghignazza, è una felicità vederla.

 

“Felicità”, mi è uscita questa parola. Tu che ne pensi?

 

Quando mi sono accorto di avere un tale animale in casa ho pensato ” la vecchiaia arriva per tutti”, ma per ora non vedo segni di inappetenza, in nessun reparto.

Che ne sarà di me?

 

La natura, dici?

 

Sì, è una forza della natura, questa è la natura, la pazzia! Non i fiori, le farfalle, i boschi  . .. le sottomascelle di un leonessa.

 

Una volta al mese sacrifico per lei il montone più giovane. Preparo le interiora crude, ben condite con prezzemolo e aglio e i testicoli a parte passati al limone, ne va ghiotta. Bisogna vedere come gusta quel sapore amaro di maschio adulto.

 

«Mangia adagio» le dico «trattieniti un po’» poi alzo gli occhi e la guardo: ha i denti bianchi di un castoro e le gengive viola di un cane mastino, ma le labbra, quelle sono rosee, di corallo e tese e morbide come quelle di un innocente.

Si caccia tutto in gola e inghiotte. Morde con il gusto di affondare i denti nella carne.

 

 

E sembra dirti «goditela tutta! E subito», no?


Io chiudo in fretta la porta e me ne vado. D’altra parte come fare, dove metterla, è pur sempre di famiglia!

 

Di famiglia?

 

Sì.

Ma cosa ho detto? Io non ho famiglia.

Sono solo io. E, poi…

 

 

Poi c’è lei, non è vero?

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  1. Donatella scrive:

    Molto bello il racconto e ancora più belle le tue spiegazioni.

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