licia pinelli — Dopo—-
enciclopediadelledonne—euro 2,90
Postfazione di Marino Livolsi
Dopo
di Licia PInelli
“I ricordi di quei mesi ormai lontani sono come un intreccio di corde aggrovigliate che si affacciano confusamente alla memoria. Mi appare una lunga strada: probabilmente è il viale che le mie bambine ed io abbiamo fatto molti anni fa nel cimitero di Musocco. Il primo giorno che siamo state sole. Le bambine volevano portare il loro dono di Natale al padre: un pacchetto delle sigarette Nazionali che lui fumava avvolto in carta stagnola. Sulla tomba trovammo una piccola pianta di Nontiscordardimé che ci commosse. Poi una pianta per me allora sconosciuta, una Stella di Natale. Più tardi seppi che l’avevano portata Elisabetta e Bruno.”
Così ha inizio il racconto di Licia Pinelli: la famiglia, il lavoro, le battaglie, gli amici.
La postfazione di Marino Livolsi contestualizza la vicenda di Pino e Licia Pinelli nel più ampio quadro politico e sociale della Milano (e dell’Italia) del dopoguerra.
Disponibile su bookrepublic e su eboowomen.
Licia Pinelli, il racconto di Milano democratica dopo piazza Fontana
(gad lerner, su repubblica di oggi)
MARTEDÌ, 30 DICEMBRE 2014
licia pinelli, dopo–enciclopedia delle donne
E dopo? Cosa ne sarà della tua vita dopo che tuo marito, un mite ex partigiano anarchico divenuto ferroviere, del quale sei perdutamente innamorata, è precipitato da una finestra del quarto piano nel cortile della Questura di Milano? Bisognerà aspettare quarant’anni, dal 15 dicembre 1969 fino al 9 maggio 2009, perché un presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, riceva la vedova Licia insieme alle sue figlie Silvia e Claudia divenute adulte, e pronunci quelle parole, “morto innocente”, in ricordo di Giuseppe Pinelli. “Mi sono sentita nel ‘mio Paese’. Non era sempre stato così!”, scrive oggi Licia Rognini Pinelli in un agile, commovente libretto pubblicato da enciclopediadelledonne.it intitolato semplicemente Dopo. Per raccontare come una donna del popolo che non aveva mai lavorato fuori casa, Dopo si ritrovi d’un colpo sovraccaricata di una tragedia più grande di lei. Tragedia sentimentale, familiare e politica. Un marito additato come complice della strage di piazza Fontana. Due bambine piccole da mantenere intanto che la pensione di reversibilità non arriva. Lo sforzo per rimanere una persona che non sia “solo” la vedova Pinelli, ma persegua una vita normale; anche se, è lei stessa a scriverlo: “Non ho avuto, come spesso mi chiedono, un altro compagno. Per molte ragioni, la principale è che non mi sono più innamorata o non ho voluto farlo”. Furono certo in molti a credere subito nell’innocenza di Pinelli, ma quella solidarietà diffusa da sola non risolveva il problema della sopravvivenza. Fu così che una mattina di febbraio del 1970, dopo aver cambiato tre tram, Licia raggiunse a Città Studi l’Istituto dei Tumori dove Giulio Alfredo Maccacaro dirigeva la prima struttura di ricerca sulle malattie professionali generate dal lavoro industriale. Fu il professor Maccacaro a offrirle un impiego e, con esso, l’ambiente umano capace di sostenerla in quei momenti difficilissimi. Le memorie di Licia Pinelli, delineano un affresco prezioso della Milano democratica che in seguito verrà dileggiata come “radical chic”, ma che intanto reagiva alla disinformazione di regime e all’ingiustizia. “Di quei giorni tristi ho un ricordo bello: la visita di Enzo Jannacci e Beppe Viola”, mentre la morte di Pino veniva archiviata prima come “suicidio” e poi come “morte accidentale”. Nell’ufficio di Maccacaro, Licia batterà a macchina la prima stesura del pamphlet “La strage di Stato”, opera collettiva di ricercatori universitari e giornalisti indipendenti. Conoscerà Cesare Musatti; il pittore Enrico Baj dipingerà dopo averla incontrata I funerali dell’anarchico Pinelli; Franca Rame la cercherà per mettere in scena la sua storia insieme al marito Dario Fo. Poi gli avvocati, da Marcello Gentili e Domenico Contestabile fino a Carlo Smuraglia. Nascono amicizie inaspettate, come quella con la gran signora della borghesia milanese, Camilla Cederna, che fino all’ultimo le chiese di leggere in anticipo i suoi libri e che la presentò a un emozionato Giovanni Testori. Ritrovata una certa sicurezza personale, Licia Pinelli va a lavorare all’Istituto di Psicologia della Facoltà di Medicina e, una volta in pensione, collabora da volontaria alla Lega in difesa dei diritti dei portatori di handicap. Nuove amiche le spalancano una finestra sul mondo: lei che non si era mai mossa da Milano scoprirà la passione per i viaggi in Europa, nel Sud Italia, perfino in Cina. Senza mai smettere di coltivare la memoria del marito con l’aiuto di Piero Scaramucci, padre David Turoldo, Marino Livolsi, Corrado Stajano, Bruno Manghi, le persone che le erano state vicine fin da quella notte terribile del fermo di Pino e del trasferimento forzato in Questura. Lapidi che perpetuano la denuncia dell’ingiustizia patita, da piazza Fontana al cimitero anarchico di Carrara. Incontri pubblici nei quali impara a vincere la timidezza, ma senza mai eccedere nei toni, grazie anche alla sua nuova passione: il coro diretto dal maestro Mino Bordignon in cui Licia canta come contralto. E’ così che Licia Pinelli ci racconta con struggente serenità come sia stato possibile elaborare un lutto scevro dal rancore ma fermo nel presidiare l’onore di Giuseppe Pinelli. Grazie a lei, e alla rete di amicizie che ha saputo intessere, anche le sue figlie impareranno a perpetuare nel Dopo una memoria cui Napolitano renderà nel 2009 il dovuto riconoscimento.
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