REPUBBLICA, GENNAIO 2014
Samaris, i nuovi poeti dell’Islanda
LUIGI BOLOGNINI
DAqualche tempo l’Islanda ribolle più nella musica che nella terra ricca di geyser. Un ghiaccio bollente davvero misterioso, se si considera che l’isola al Circolo Polare Artico conta 300mila abitanti, un quarto di Milano. Eppure l’elenco degli artisti che sta sfornando negli ultimi anni è ormai lungo. Chi probabilmente ha aperto una strada, facendo capire che si può fare, sono i Sigur Rós e Björk. Di lì in poi ecco, per limitarci all’essenziale, Of monsters and men, Hjaltalín e Ásgeir. E ora i sorprendenti Samaris, in scena al Magnolia. Sorprendenti per due motivi: il mix di elettronica e clarino e i testi, che sono poesie islandesi dei secoli scorsi. Il tutto fatto da tre ventenni: Áslaug Rún Magnúsdóttir clarinetto, Pórður Kári Steinpórsson elettronica e Jófríður Ákadóttir voce.
Steinpórsson, come vi viene in mente una scelta così strana?
«Perché siamo pigri e non abbiamo voglia di scrivere i testi. Scherzo, la verità è che siamo tutti e tre topi di biblioteca. E siamo appassionati di poeti del XIX secolo come Jónas Hallgrímsson, Sveinbjörn Egilsson, Grímur Thomsen, Matthías Jóchumsson e Hjálmar Jónsson. Le loro liriche sono splendide, parlano della nostra terra, dei sentimenti, della vita. Abbiamo pensato di metterle in musica. Ma scegliendole bene».
Ovvero? Badate alle parole?
«Sì, ma non nel senso del loro significato. Al di fuori della nostra isola l’islandese non lo parla nessuno, quindi badiamo alla musicalità delle poesie. Le trattiamo come se fossero uno strumento da accordare, così che non sia importante capirne il senso o no».
Musicalmente però siete agli antipodi dell’antichità dei versi: un’elettronica modernissima e soffusa, inevitabile pensare a Björk al di là che sia vostra connazionale.
«Vero, ed è ovvio che il suo esempio ha un po’ contato. Ma cerchiamo di fare la musica che piace a quelli della nostra età, alternando toni morbidi e duri, cercando anche di fare ballare. Per questo il nostro nuovo disco, appena uscito anche in Italia, si chiama Silkidrangar, “scogli di seta”: rende bene l’idea di questo dualismo. E uno dei motivi del nostro successo in Islanda è che raggiungiamo sia i giovani, per motivi anagrafici, che gli anziani, che quelle poesie a volte le hanno dovute studiare a memoria».
Resta un mistero, potete aiutarci? Che cosa succede in Islanda adesso? Sembra che facciate tutti musica.
«Con una notte artica lunga sei mesi, qualcosa bisognerà pur fare, chiusi in casa. E tra le tante piacevoli attività possibili al caldo c’è anche la musica. Non solo. Sigur Rós e Björk hanno fatto trovare a tutto il mondo l’Islanda sulla mappa. Insomma, siamo di moda. Il che non è necessariamente un bene, perché il pubblico può crearsi aspettative, pensare che siamo tutti uguali. Ma chi ci ascolta con attenzione capisce che proviamo a essere diversi».