https://www.youtube.com/watch?v=jJRnNm_jhEs
Jean-Efflam Bavouzet–PIANO
“Gaspard de la nuit: Trois poèmes pour piano d’après Aloysius Bertrand” is a suite of pieces for solo piano, composed in 1908 by Maurice Ravel. It has three movements, each based on a poem by Aloysius Bertrand, and it was premiered on January 9, 1909, in Paris by Ricardo Viñes. The name “Gaspard” is derived from its original Persian form, denoting “the man in charge of the royal treasures”: “Gaspard of the Night” or the treasurer of the night thus creates allusions to someone in charge of all that is jewel-like, dark, mysterious, perhaps even morose. “Gaspard de la nuit” is an old French expression for the Devil.
Movements:
1. “Ondine”: an oneiric tale of a water fairy singing to seduce the observer into visiting her kingdom deep at the bottom of a lake. It is reminiscent of Ravel’s early piano masterpiece, the Jeux d’eau (1901), with the sounds of water falling and flowing, woven with cascades. This piece contains technical problems for the right hand such as the fast repetition of three-note chords.
2. “Le gibet”: the observer is presented with a view of the desert, where the lone corpse of a hanged man on a gibbet stands out against the horizon, reddened by the setting sun; the sound of a bell tolls from inside the walls of a far-off city, creating the deathly atmosphere that surrounds the observer. Throughout the entire piece is a B-flat octave ostinato, imitative of the tolling bell, that must remain distinctive and constant in tone as the notes cross over and dynamics change.
3. “Scarbo”: this movement depicts the nighttime mischief of a small fiend or goblin, making pirouettes, flitting in and out of the darkness, disappearing and suddenly reappearing. Its uneven flight, hitting and scratching against the walls, casting a growing shadow in the moonlight, creates a nightmarish scene for the observer lying in his bed. With its repeated notes and two terrifying climaxes, this is the high point of technical difficulty of the three movements. Technical difficulties include repeated notes in both hands, and double-note scales in major seconds in the right hand.
Maurice Ravel, realismo folk
Tra Émile Zola ed il giardino di Arles
di: Francesco Sicheri | Lun, 21/01/2013 – 08:08
Il discorso musicale avviato da Debussy e la sua ricerca di un nuovo linguaggio e di una nuova grammatica per la partitura, aprirono strade inaspettate. La scena parigina d’inizio Novecento, si presentava radicalmente diversa da quello che era stato l’ambiente in cui aveva esordito Debussy solo pochi anni prima. L’emancipazione francese dalle strutture romantico-tedesche (wagneriane) si manifestò soprattutto nell’impegno intellettuale della figura del musicista, in sintonia con lo spiritualismo di tutta l’arte generalmente compresa. Tra i musicisti attivi nella Parigi di fine ‘800 e inizio ‘900 troviamo Maurice Ravel, che erroneamente per anni fu considerato un discepolo dello stesso Debussy. Ravel godette precocemente di grande fama, anche a causa del curioso episodio riguardante la sua mancata ammissione al Prix de Rome nel 1905. La notorietà perdurerà negli anni, consentendogli il lusso di vivere solo del mestiere di compositore.
Maurice compì i primi passi estraniandosi dalla protesta e rivolta bohémiens, mostrando una riservatezza che avrebbe presto concesso al suo operato musicale l’aggettivo “artigianale”. A differenza di Debussy, l’arte di Ravel non andava in cerca di profonde e misteriose significazioni nascoste o esoterici rimandi alle altre forme d’arte. Van Gogh, nel giardino di Arles, vessava se stesso ricercando il modo per catturare la realtà che gli si poneva davanti agli occhi, nel tentativo di scrollarsi di dosso le calcificate convenzioni artistiche. Il pittore aveva fatto un tentativo nell’astratto ma ciò che aveva raggiunto era soltanto un muro invalicabile. Van Gogh lottava per mettere su tela la natura bruta, il colore del cielo e della terra, affermava che l’importante era trarre nuovo vigore dalla realtà, senza piani precostituiti e pregiudizi parigini. Questa era l’essenza del naturalismo dalla seconda metà dell’800 e a cavallo tra XIX e XX secolo, affiorato non solo nella ricerca di Van Gogh, ma anche nelle balle di fieno di Monet, nelle opere di Honoré Daumier, nelle nature morte di Cezanne, nei romanzi di Zola e naturalmente nel più sensuale e tahitiano Gauguin.
Possiamo collocare Maurice Ravel in questo ambito culturale, anche se il compositore fu per molti versi un unicum nella storia della musica. Ravel nacque in un villaggio, Cibourne, nella contea basca francese. Studiò al conservatorio di Parigi, città in cui visse per gran parte della sua vita, tuttavia non perse mai la consapevolezza di provenire da un altro luogo. Era un uomo particolare, dandy, estremamente raffinato e distaccato intellettualmente, proprietario di un gusto estetico assolutamente personale e spesso non condiviso. Tale articolata personalità trasparirà nelle opere, in cui il compositore riversò anche un enorme bagaglio di materiale folk appreso nei tanti viaggi per il mondo (influenze spagnole, basche, greche, ebree, giavanesi e giapponesi).
Per diverso tempo considerato il compositore più schiettamente francese, Ravel fu in realtà un vero meticcio culturale, figlio di madre basca e padre svizzero. La musica di Ravel è un compromesso tra i mondi dei genitori: i ricordi della madre di un passato popolare e i sogni di un futuro meccanizzato del padre (ingegnere). Nei lavori del primo decennio del Novecento Ravel portò avanti una rivoluzione vellutata, rinnovando il linguaggio musicale senza però disturbare la quiete pubblica, inserendo fin da subito alcune caratteristiche che diverranno poi peculiari anche nello stile degli ultimi anni. L’evoluzione della musica di Ravel, dai primi lavori del 1898 alle ultime liriche di Don Quichotte à Dulcinée del 1932, può essere presa come immagine dell’evoluzione più generale della musica francese negli stessi anni.
Il periodo più fecondo per Ravel fu quello tra i 1905 e il 1908 del quale è importante ricordare composizioni come Pavane pour une infante defunte (1905), Rhapsodie espagnole (1907) e L’heure espagnole con libretto di Franc-Nohain (1907). Nella lenta danza di Pavane, spesso accostata al Debussy più etereo, o nello spassoso intreccio de L’heure espagnole, tentativo del compositore di rinnovare la tradizione dell’opera buffa, si delinea quella personalissima concezione di Ravel totalmente estranea al clima simbolista o impressionista. In questi anni il compositore darà sfogo alla sua abilissima mano, soprattutto nei brani pianistici ed orchestrali, sviluppando uno stile compositivo personale governato da una precisione tale da essere definito “meccanico”.
Il virtuosismo orchestrale per cui Ravel diverrà tanto famoso obbedisce all’idea di autonomo meccanismo. Tale meccanismo mescolato all’influenza folk e popolare, trova perfetta esibizione nel celebre Boléro del 1928. Fin dalle prime battute è intuibile che ad ogni ripetizione nuovi strumenti o porzioni orchestrali andranno accumulandosi progressivamente. Il Boléro giungerà nel 1928, a nove anni dalla morte del compositore, ma la struttura precisa e perfettamente governata era già stata annunciata ventuno anni prima in Rhapsodie espagnole.
La vita di Ravel fu caratterizzata da una grande attività concertistica, principalmente pianistica. È risaputo che le doti di pianista di Ravel, spingeranno lo stesso George Gershwin in visita sul suolo europeo, a chiedere lezioni al maestro. Con molta eleganza e cordialità Ravel non esitò a rifiutare le lezioni. Grazie a tanto florida attività Ravel viaggerà in lungo e in largo, assimilando sonorità delle più svariate culture, non ultima quella americana di stampo jazz. Il Concerto per pianoforte in Sol del 1929 è uno dei risultati di tale contaminazione. In una struttura e una forma tradizionale, il compositore riuscì a far convivere generi d’estrazione molto diversa, dalla musica basca al jazz per l’appunto.
Ravel fu indubbiamente un innovatore silenzioso. Fortemente radicato nelle forme della tradizione, riuscì però a estrometterle con istrioniche e multilinguistiche contaminazioni. Elegante preciso e poliedrico, fu uno dei personaggi più interessanti della Parigi d’inizio Novecento. È giunto il momento di riposare e lasciarci cullare dalle note del Boléro, attendendo il prossimo incontro per fare la conoscenza di un altro importante francese, Erik Satie.