ORE 23:05 BALKA EROTIC EPIC —DELL’ARTISTA SLAVA MARINA ABRAMOVIC / DI JENNER PUBBLICATO DA LUIGI PELLINI

 

 

 

SABATO 31 MARZO 2012

 

Sesso e abbondanza, i riti pagani ritornano

 

Balkan Erotic Epic dell’artista slava Marina Abramovic si ispira a riti pagani serbi che usavano il sesso per propiziarsi gli elementi e sedurre gli dei. Questa serie nacque a metà degli anni novanta, periodo della guerra nei Balcani, e fu ispirata dal dolore dell’artista nel vedere la patria martoriata dal conflitto. A differenza di molti lavori precedenti, in cui la performer metteva a dura prova la propria resistenza fisica, “Balkan Epic” sembra talmente carica di sofferenza da non avere bisogno di atti estremi per essere spiegata. Essa è sicuramente uno dei momenti più simbolici ed evocativi della produzione di Abramovic. In “Balkan Erotic Epic” è il tema dell’energia a fare da padrone. Esso era già stato affrontato in “Tesla Urn”, ma qui viene legato al senso primordiale di un’energia corporea e carnale, in poche parole erotica. L’opera, proiettata su diversi schermi, è divisa in tre parti: nella prima delle donne corrono sotto la pioggia alzando a turno le vesti e mostrando il pube al cielo; nella seconda degli uomini distesi nell’erba fecondano la terra stessa; nella terza un gruppo di uomini in fila, vestiti in abiti folkloristici, sta immobile con il pene in erezione, mentre di fronte, un’icona del cinema serbo intona canzoni patriottiche. Marina Abramovic ci riporta all’eros come valore di una legge universale che muove il pianeta in quanto fonte di vita ed energia, oggi seppellita sotto i molteplici veli delle inibizioni. In questo lavoro la nudità del corpo corrisponde alla verità, l’esposizione di questa nudità come mezzo per la sopravvivenza della popolazione corrisponde al potere del popolo di auto-gestirsi, di vivere di se stesso e della Terra che lo ha generato . L’aver coperto di vestiti il corpo corrisponde all’aver nascosto la verità sotto innaturali impalcature. L’aver sottratto l’energia erotica al popolo è stato soggiogarlo, piegare la sovranità del corpo alla ben più misera e falsa sovranità dello stato, uno stato che basa il suo potere sull’impotenza del singolo e sulla dominazione attraverso il senso di colpa e di vergogna. Oggi l’erotismo coperto dalla macchia della vergogna sembra liberarsi solo attraverso la pornografia. In realtà, paradossalmente, è esattamente il contrario. La pornografia è il frutto di una società dominata dal senso di colpa dove solo con il sesso mercificato si possono appagare le nostre pulsioni senza un contatto diretto e quindi senza il peccato. La pornografia quindi sembra sfidare i tabù, in realtà anch’essa fa parte a tutti gli effetti di una società basata sull’inibizione del sesso ed è la naturale conseguenza di tutta una storia di vergogne e proibizioni. La pornografia scolorisce ancora di più il senso degli atti carnali, non rendendo loro il carattere sovversivo e di energia pura che invece gli è proprio. La sofferenza nei confronti delle vicende della sua terra ha portato l’artista a esprimere non più un corpo trascendente ma un corpo carnale. Esso soffre, gode, la sua energia è lontana dal dualismo corpo-spirito ed è vicina a una più bassa e ancestrale concezione di materia. “Balkan Erotic” è l’elegia di un popolo legato alla sua terra in un amplesso continuamente rinnovato da riti pagani ed agrari, dove il corpo erotico interagisce con gli elementi della terra per tentare di soggiogarli seducendoli. Così le donne corrono invasate sotto la pioggia, usano il proprio erotismo per calmare la tempesta. Con il suo corpo la donna è in grado calmare la natura caotica (associata alla maschilità, che agisce di sola forza) e di domarla rendendola feconda e non distruttiva. Atto complementare a quello femminile è quello maschile del coito con la terra . Ha di sicuro un carattere antitetico invece il terzo video, dove l’immobilità degli uomini che vestiti di tutto punto ci mostrano la loro potenzialità erotica con tanto orgoglio, si contrappone all’energia vitale con la quale invece le donne si mostrano nel video precedente. Questi uomini, invece di impressionarci, come sembrano voler fare, ci rendono partecipi della loro vulnerabilità e l’inutilità del loro gesto rivela la fragilità del loro essere virili senza uno scopo.

 

I RITI PAGANI RITORNANO, ALLA FACCIA DELLA MODERNITA’


L’EMERGENZA
Caldo record e piogge in calo del 50%
il Nord riscopre gli antichi riti anti-siccità
Preghiere, processioni e croci nei campi: “Non resta che affidarsi a Dio”. Dalla Toscana al Veneto, fiumi a secco e raccolti a rischio: “Ormai è emergenza”. A Firenze il cardinale Betori scrive una lettera ai parroci: organizzate veglie
di JENNER MELETTI da REPUPUBBLICA

 

Un tempo si chiamavano rogazioni riti legati apparentemente al cristianesimo che in realtà erano le antiche liturgie pagane riadattate alla “nuova” teologia cristiana.

TREBASELEGHE (Padova) – Forse sarà meglio procurarci dei rami di ontano. “Con un coltellino si toglieva la corteccia e appariva il legno bianco. E con questi rami si preparavano le croci, da mettere all’inizio di ogni campo. Servivano a tenere lontano la siccità, la grandine e ogni altro disastro”. Quando era bambino, Lorenzo Zanon – sindaco di Trebaseleghe e insegnante di religione – andava con i suoi genitori alle “rogazioni”.

“Per tre giorni, alla mattina presto, si facevano le processioni. Si partiva da un pilastrino dedicato alla Madonna, si passava da un campo all’altro mettendo queste croci bianche, si arrivava a un altro capitello. Il prete in testa, con tutti i paramenti, le candele, i chierichetti… Si recitavano le litanie speciali. “A fulgure et tempestate libera nos Domine”. Signore, liberaci dai fulmini e dalla tempesta. E se le campagne erano secche, il vescovo invitava i preti ed i fedeli a una processione o a un pellegrinaggio “ad petendam pluviam”, per invocare al pioggia”. Ci sarà davvero bisogno, dei rametti di ontano.

Secondo il climatologo Giampiero Maracchi nell’inverno e in questo inizio di primavera è arrivato solo il 30% della pioggia che cade di solito. La Coldiretti stima in particolare un calo superiore al 50% al Nord e compreso fra il 25 e il 50% al Centro e in Sardegna. L’appello dei cardinale di Firenze, Giuseppe Betori, a “pregare per il dono della pioggia”, non giunge a caso. L’invaso del Bilancino che disseta mezza Toscana è appena a un terzo della capienza, il fiume Arno porta solo un decimo dell’acqua mediamente presente in questa stagione. “La siccità – ricorda il sindaco insegnante – è fra le dieci piaghe d’Egitto. Le preghiere per la pioggia sono sempre esistite. L’idea che Dio mandi l’acqua in risposta ai comportamenti umani è già nella Bibbia.

“Se seguirai i miei comandamenti, ti manderò la pioggia”. Nell’antica Roma durante la cerimonia chiamata “aquilicium” matrone scalze e con i capelli sciolti salivano sul Campidoglio e facevano ruzzolare pietre, invocando Giove Pluvio e simulando il rumore del tuono. Gli Atzechi invocavano l’acqua sacrificando a Xipe Totec, “nostro Signore lo Scuoiato”, nemici e schiavi. “Nella religione cristiana – dice Lorenzo Zanon – il sacrificio è stato sostituito dalla preghiera. Già nel IV secolo il papa Liberio trasforma la cerimonia pagana in “invocazione delle precipitazioni”. Ad petendam pluviam inizia in quei tempi”.

“L’invocazione del sacro di fronte alle calamità – dice Roberto Roda, che guida il centro etnografico del Comune di Ferrara – è ancora presente. Si fanno processioni sugli argini e le statue dei Santi vengono messe con i piedi nell’acqua. Come dire: siete in prima linea, dovete proteggerci. Alla sacca di Goro Sant’Antonio da Padova, a giugno, viene messo su un palo in mezzo alla valle. Anche da noi contro grandine o siccità si mettevano le croci nei campi: ma erano fatte di canne e intrecciate con l’ulivo”.

A Farra d’Alpago il parroco don Lorenzo Sperti sta già organizzando una processione perché il cielo mandi la pioggia. “Forse non ci sarebbe bisogno – dice padre Renato Gaglianone, consigliere ecclesiastico della Coldiretti – di una preghiera specifica. Già nel “Padre Nostro” c’è l’invocazione giusta: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Senza la pioggia il grano non nasce e non cresce, senza il grano non si fa il pane”. Ma nel Messale c’è una “Colletta” – una preghiera che il sacerdote recita a nome di tutta la comunità di fedeli – che così invoca la grazia dal Cielo. “O Dio dal quale tutte le creature / ricevono energia, esistenza e vita / dona alla terra assetata / il refrigerio della pioggia / poiché l’umanità sicura del suo pane / possa ricercare con fiducia il bene dello Spirito”.

A Bolzano i meli sono già fioriti, con un mese di anticipo. Questo marzo è il più caldo degli ultimi 15 anni. In Veneto sono in pericolo mais, grano e radicchi. In Toscana il frumento non riesce a crescere e forse sarà perduta metà della produzione, due milioni di quintali che valgono 60 milioni di euro. “Con il caldo arrivato così presto – racconta Amedeo Gerolimetti, coltivatore diretto di Castelfranco Veneto – quasi tutti hanno anticipato di un mese la semina del mais. Il terreno era perfetto, sull’asciutto si lavora bene.

Ma il troppo calore adesso ha ridotto le zolle in polvere, e allora c’è bisogno di acqua per fare crescere le piantine di granoturco e per attivare gli anticrittogamici messi contro gli infestanti. Chi ha l’impianto a pioggia, se la può cavare, anche se io non avevo mai visto annaffiare a marzo. Ma chi usa l’irrigazione a scorrimento, non sa come fare. L’acqua viene infatti mandata nei campi attraverso i solchi ma questi si scavano, una fila sì e una no, quando il mais è già alto trenta o quaranta centimetri. E invece sta appena spuntando. Chi non ha seminato, è ancora più disperato. Il sole ha cotto le zolle come fossero mattoni, e se vedi nelle campagne un gran polverone, vuol dire che un contadino sta cercando di spaccare la crosta con l’erpice, per poter seminare”.

La siccità può diventare un incubo, e anche i Santi a volte non sanno fare il loro dovere. In Sicilia, nel 1893 – come ha raccontato l’antropologo Marino Niola – non piovve per sei mesi. Per protesta San Giuseppe fu gettato in un giardino bruciato dal caldo. A Caltanissetta furono strappate le ali d’oro a San Michele Arcangelo e sostituite con ali di cartone. Lo stesso angelo, a Licata, fu denudato e minacciato d’impiccagione. “O la pioggia o la corda”, gridavano i fedeli. Almeno per ora, meglio preparare soltanto le croci bianche di ontano.

VENERDÌ 30 MARZO 2012

 

La porta della percezione

 

Il pertugio che ti può portare fuori dal tempo,rudere caro agli ermetisti italico-napulitani capitanati da Giuliano Kremmerz, ultima propaggine ottocentesca dei Terapeuti d’Alessandria, e tutto continua come un fiume carsico.

Si sa che Roma contiene un enorme conoscenza fissata anche attraverso monumenti ermetici colmi di segni, simboli e archetipi trasposti: ora in parole, ora in immagini e figure. l’Urbe nelle sue profondità contiene basiliche sotterranee, cloache bimillenarie, ninfei , caserme augustee dei primi vigili del fuoco, colombari di gens legate alla cremazione familiare, mitrei, chiese costruite sopra templi, resti monumentali di terme, di acquedotti. Fontane barocche continuatrici di una tradizione fluviale rinfrescante e lenitrice, catacombe come residui di cave divenute cimiteri, ora etruschi ora cristiani, anche un’ultima piramide svetta ancora accanto al cimitero acattolico, stranamente proprio nella città di Pietro.
A Piazza Vittorio, una fra le meglio sfigurate nei secoli dall’urbanistica ingrata , si mantiene al suo centro una «rovina eccellente».
Questo piccolo rudere può dirci ancora qualcosa con i suo guardiani della soglia (bes) che difendono i simboli incisi sul marmo bianco, le parole latine vorrebbero indicare ancora il percorso, la chiave per passare la soglia. Parte essenziale, forse in origine, di un piccolo tempio alchemico una cappella di cabalisti cristiani(gnostici) edificata nel secolo XVII dal Marchese di Palombara e frequentata, fra personaggi più o meno noti ,anche Cristina di Svezia e i produttori d’oro iatrochimico. Oggi d’intatto non resta che la porta, murata dalla limitatezza dei tempi moderni. E ricordato infatti, quel monumento, come la Porta Magica.
Porta, accecata di mattoni rossi, che non porta più da nessuna parte. Pagina sigillata, ma solo intorno agli orli e lungo la chiara cornice di marmo corrono ancora parole e idee simili a uccelli neri e bianchi che, immobili sulle ali, sono come pensieri scaturiti dalla mente e animati da liturgie arcaiche legati all’aria fra terra e cielo:
Quando in tua domo nigri corvi Parturient albas columbas tunc vocaberis sapiens… Qui scit comburere aqua ce lavare igne facit de terra coelum et de coelo terram pretiosam…
La piazza stessa è una spirale (Un mercato ravvivato da mille etnie da colori di pelle diversa da carni sanguinolente, da polli morti appesi, scaglie e occhi vividi di pesci , verdure e frutti sgargianti di un mercato vivo e vociante.
E i gatti aspettando gli avanzi perpetuano la forza di questo luogo per la magia che portano da sempre nel loro sguardo

la Porta Magica la si scorge con difficoltà dietro alla rete, vorrebbe rendersi invisibile; ed è ancora più chiaro che senza la Porta Magica l’intera piazza scompare, anzi sprofonderebbe portandosi appresso ROMA e il suo AMOR.

Orti magici dai deliziosi frutti difesi dal dragone del male che nel segno dell’eterno ritorno, mangiandosi la coda ci preclude l’uscita dal tempo
(Horti magici ingressum Hesperidum custodit draco et sine Alcide Colchicas delicias non gustasset Iason).

GIOVEDÌ 29 MARZO 2012

 

ISRAELE RINGRAZIA LA MERKEL PER IL SESTO SOTTOMARINO DOLPHIN

 

Di Ofira Koopmans, 21.03.12[1]

Tel Aviv (dpa[2]) – Israele ha ringraziato mercoledì la Cancelliera tedesca Angela Merkel per aver venduto al paese il sesto sottomarino Dolphin[3] ad un prezzo agevolato.

Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha inviato alla Merkel una lettera di ringraziamento, affermando che il vascello d’avanguardia “ci aiuta a far fronte alle immense esigenze di difesa durante questi tempi turbolenti e contribuirà grandemente alla sicurezza di lungo periodo dello stato ebraico”, ha detto a dpa il suo portavoce, Mark Regev.

Israele e la Germania hanno firmato mercoledì il contratto per la vendita, durante una cerimonia nella residenza dell’ambasciatore israeliano a Berlino, alla presenza del Ministro della Difesa Ehud Barak e del Segretario di Stato tedesco presso il Ministero federale della Difesa Rudiger Wolf, ha riferito una dichiarazione del governo.

Barak ha detto che l’accordo “riflette la profondità del legame tra Israele e la Germania, come pure la chiara dedizione del governo tedesco alla sicurezza dello stato di Israele”.

Il quotidiano economico israeliano Globes[4] ha riferito che il sottomarino verrà consegnato entro il 2018. Alla consegna, sarà uno dei sottomarini più avanzati del mondo, e costituirà l’arma più costosa acquistata dalle Forze di Difesa di Israele, per un costo di 400 milioni di euro. La Germania finanzierà un terzo del costo, è stato detto.

Israele ha attualmente tre sottomarini nella sua flotta, è stato detto. Il quarto e il quinto dei sottomarini Dolphin sono in avanzato stato di costruzione nei cantieri tedeschi, e si prevede che arriveranno alla metà del 2013 e nella seconda metà del 2014.

(Articolo copiato dal blog di Andrea Caracini)

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://en.europeonline-magazine.eu/israel-thanks-germanys-merkel-for-sixth-dolphin-submarine_198870.html
[2] Deutsche Presse-Agentur
[3] http://it.wikipedia.org/wiki/Classe_Dolphin
[4] http://www.globes.co.il/se

 

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