chiara: una caratteristica di questo autore è l’angoscia e la sua analisi “vissuta” è indagata, come posso dire?, dalla superficie alla profondità più recondita; un’altra caratteristica dell’autore, come dei suoi lavori, è la colpa. A bassa voce, non deve sentire nessun filosofo ufficiale, mi permetto di dire che, in questo testo, osserviamo il bisogno di fustigarsi –uno degli mezzi usati dagli esseri viventi per alleviare la colpa. Lui, “la fanciulla innocente che prestò fede al suo inchino”, la incontrò davvero nel 1837–si fidanzò nel 1840–nel ’41 ruppe il fidanzamento–e per quel poco che si sa (“che Chiara sa”), tutto fini’–Questa fanciulla, ne abbiamo già parlato, si chiama Regina Olsen. Le lettere sono molto interessanti per capire, a mio parere, in profondità l’autore, combattuto da forze diametralmente opposte, per cui in lui “la disperazione” e l’angoscia è una costante della sua vita.
l’autore
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“Altre volte ho notato nella vita che quanto più prezioso è il fluido con il quale gli uomini si inebriano, tanto più difficile è la loro guarigione. …Chi si ubriaca di acquavite si accorge presto delle conseguenze nefaste, e si può sperare nella sua salvezza. Chi invece beve champagne è più difficile da guarire. E tu? Tu hai scelto il mezzo più fine; perché nessuna ebrezza è bella quanto la disperazione, nessuna è così decorativa, esercita tanto fascino, specialmente agli occhi delle fanciulle (e nei sei molto bene informato), soprattutto quando contemporaneamente si possiede l’arte di saper reprimere le espressione più incolte, permettendo che la disperazione venga solo presentita come un incendio lontano e traspaia solo segretamente. Esso dà un leggero tocco al cappello e al portamento di tutto il corpo; lo sguardo diviene orgoglioso e ribelle; il labbro sorride arrogante. Essa dà una indescrivibile leggerezza alla vita, una regale superiorità su tutto. E quando una figura simile si avvicina ad una fanciulla, quando questo essere così orgoglioso si inchina solo davanti a lei, per lei sola fra tutti,essa si sente adulata, e, peggio ancora, vi potrebbe essere una fanciulla tanto innocente da credere a questo inchino.” (SEGUE e in bellezza, secondo chiara!)
(Secondo capoverso, pag.49 del lavoro dell’autore dal titolo “Aut-Aut”, pubblicato nel 1843– Ed. Oscar Mondadori, a cura di Remo Cantoni (è stato Prof. di filosofia morale alla Statale).
Questo sottile fascino della disperazione, vera o creduta tale da entrambe le parti, seduttore e sedotta, credo che non sia più molto di moda. E’ pur vero che c’è nella donna l’istinto di salvare da se stesso l’uomo miracolosamente incontrato e degno di essere da lei redento. C’è però anche la moda, non so se passeggera o eterna, dell’uomo che non deve chiedere mai, come diceva una vecchia réclame, dell’uomo che ha come unico scopo il successo e che è un ” vincente”. Questa categoria vincente-perdente, in genere riferita al potere e ai soldi, ha conquistato anche la donna. Terribili ci appaiono le donne-manager, peggiori addirittura dei loro corrispettivi maschili, perché hanno dovuto faticare di più per conquistare la vetta e quindi maggiormente incattivite ( forse anche perché nel cambio di ruolo hanno dovuto rinunciare a molte cose). Naturalmente tutti questi tipi, maschili e femminili, sono degli stereotipi, trasmessici da film e serie tv ( c’è una canzone divertente di Vecchioni che si intitola “Donna con la gonna”). La realtà sicuramente è molto più complessa e i vari modelli sono mescolati, anche se in ognuno di noi prevale magari un modello piuttosto che un altro.
E quando una figura simile si avvicina ad una fanciulla, quando questo essere così orgoglioso si inchina solo davanti a lei, per lei sola fra tutti,essa si sente adulata, e, peggio ancora, vi potrebbe essere una fanciulla tanto innocente da credere a questo inchino.” Vale anche invertendo i fattori … forse … che ne dite ?
Non c’è il minimo dubbio! Diciamo che nella nostra storia culturale (dell’Occidente) è capitato piu’ spesso il caso espresso dall’autore; forse l’inverso ci e’ rimasto più nascosto, almeno dalla mia tana, che ha man mano un’apertura sempre più angusta (presto si chiuderà del tutto, e Frascati addio!), anche perché forse ha caratterizzato donne non solo belle, ma che avevano qualcosa che esprimeva potere: attrici ecc., scienziate direi di no: Madame Curie, una donna magnifica, non ha suscitato niente di straordinario. Eppure l’avrebbe meritato anche come persona. Chiara l’ha molto amata da giovinetta e ancora oggi. la ama. Solo che non trovo più il suo libro.
Comunque sia, in entrambi i casi, si tratta più di amore verso se stessi, quando si presta fede all’inchino, che amore per l’altro (l’altro è talmente idealizzato che risulta impossibile separare quanto ci metti di tuo o proiezione/ e quanto è suo in verità). L’ho visto in altri, ma mi è rimasto molto chiaro quando l’ho visto in me stessa. Se qualcuno pieno di fascino…si china verso di te, te “ingenua fanciulla”, come ero a 19 anni ( e tuttora), conquistare questo essere così brilloso come un’albero di Natale tutto acceso (restiamo in tema), ti farebbe fatto sentire subito “qualcuno”, ancor più a te, ancora adolescente, la cui identità era incerta, fuggevole, tra il sogno, l’ideale di sé, e la poca realtà che avevi osservato in genere e di te stessa. Tra l’altro mi “affilio” da sola, cioè mi ritenga figlia di quelle rocce aride del nostro entroterra ligure, quelle più alte “dove non cresce verzura”. In casa non si parlava di niente se non del loro lavoro-da cui, certamente per mancanza mia-non sono riuscita ad estrarre né informazione- né formazione–Sia Donatella che Mario, per dire di gente del blog, hanno vissuto intorno alla radio, notizie, musica, commedie ecc. , e in più con fratelli e sorelle, che a loro volta stavano esperienziando il mondo e il sapere- E se li senti parlare, loro capacità indiscusse, te ne accorgi subito– Ancor più facile era per me subire il fascino dovunque si trovasse perché dietro mi si prometteva conoscenza. Per finire credo che si tratti prevalentemente di una vitoria del nostro “Io”, se non vogliamo dire “vittoria narcisica”, che qui sarebbe molto appropriato. Se quest’ essere, quasi lo scriverei maiuscolo se non fosse offensivo, mi avesse voluto e presa con sé, mi sarei evitata 15 anni a Milano di arrancare -arrancare su pareti scivolose, che i miei poveri strumenti mi facevano cadere sempre giù. Alla fine però sono cresciuta, mi sono fatta abbastanza ossa…per finire a Parabiago, un ospedale psichiatrico. Adesso, le mie ossa “simboliche o psichiche” (quelle vere si diroccano in silenzio, ma con premeditazione + denti) me le sto facendo, con molto dolore, solitudine, nel senso di non avere nessuno cui chiedere aiuto da anni (almeno trenta) e ho fiducia che continuerò a farmele anche sul letto di morte…Credo che a Lei, la nostra suprema padrona, o, forse, unica libertà, mi presenterò con 44 denti tutti fuori al sorriso bianchissimo smagliante e con un exoscheletro (scheletro esterno) bianco bianco accecante. Così almeno lei nota tutto il mio lavoro, verifica tutto “sub specie aeternitatis” e magari mi dirà “Bravo bimbìn! Hai lavorato”. Se le mie non sono “parole parole parole”,come dice la canzone di Mina che tu non conosci. Mi spiace, figlietto-figlietti belli, non è un telegramma, ma a qualcosa-ina mi pare di aver risposto. ciao ai due, grazie anche di Macario, chiara notte notte e lettuccio caldo. Non fartene un abitudine, por favòr, por favòr, senhòr!