ore 21:20 DONATELLA D’IMPORZANO SUGGERISCE AL BLOG : LO SCANDALO DEI PETROLI–UN TESTO DE “IL FATTO” DEL 4 OTTOBRE, P. 18— PERO’ PER LEGGERLO DEVI ABBONARTI. HO CERCATO QUALCOSA…E HO TROVATO INTERESSANTE QUELLO CHE VI MOSTRO SOTTO CON IL NUMERO I. MA –FIAT LUX—AL II (DOVETE SCENDERE! AHIME’) RITORNA IL FATTO CON TANTE COSE E DELLE BELLISSIME FOTO DI PERTINI, UNA IN PARTICOLARE E’ “DA INNAMORARE”—CHIUDO QUI “lO SCANDALO DEI PETROLI” CHE PARE SIA TUTTORA SEMISOCCHIUSO (HANNO IMPARATO) O APERTO DEL TUTTO CON I NUOVI AUMENTI: GIA’ PREVENTIVATI SUL GAS; SULLA LUCE NON HO ANCORA SENTITO

 

"Voi giudici dovete andare avanti" Quando Pertini pianse per le mazzette Psi

 

Guardate “la maschera tragica” di questa foto, se dobbiamo parlare “parlati”! Altrimenti stiamo in silenzio a guardare ed “osservare” /con la testa e tutte le emozioni che abbiamo/

 

 

CHIARA  subito mi sembrava, forse perché scritto piccolissimo, un testo impossibile, cioè per professionisti,  invece questi tre pezzi che ho riportato si leggono molto agevolmente e con interesse. Ovviamente nel link qui sotto trovate il testo intero–

 

I.

 

http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/collbian/ronca/cap1.htm

 

 

L’altro diritto

Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità

Capitolo I
Lo scandalo dei petroli

1. Premessa

 

Lo “scandalo dei petroli”, altrimenti detto “scandalo dei 2000 miliardi” (1), prese piede nell’autunno del 1980, per l’iniziativa di magistrati di Treviso e per l’iniziale inchiesta di un giornale locale di Treviso (2), allorché si parlò di una truffa all’erario per 2.000 miliardi e si sostenne che “il contrabbando di petrolio aveva provocato uno scarto del 20 per cento tra il petrolio effettivamente consumato e le imposte pagate, con conseguenti effetti sui dati statistici sui quali venivano impostati i, peraltro mai realizzati, piani energetici” (3). Cessato il contrabbando nei primi anni ottanta, si segnalò un aumento considerevole dei consumi di benzina e gasolio, in controtendenza con gli altri paesi europei in cui si segnalavano forti contrazioni nel consumo dei prodotti petroliferi per la crisi delle economie occidentali colpite dagli aumenti del prezzo del petrolio. L’incremento della domanda di prodotti petroliferi dipese dal fatto che “le grandi compagnie (…) si erano viste richiedere dal mercato la benzina e il gasolio che prima arrivavano al consumo attraverso le aziende contrabbandiere. Non si trattava, quindi, di un aumento reale, ma di una variazione del consumo legale: il che offrì il pretesto alle compagnie per chiedere aumenti dei prezzi, mentre gli italiani erano costretti a subire pesanti misure restrittive e venivano ‘sgridati’ perché, diversamente dagli altri paesi, non erano capaci di contrarre i consumi e di seguire l’austerità energetica” (4).

Le indagini, iniziate nel 1978, coinvolsero 18 diverse magistrature, tra cui quella di Torino, di Venezia, di Milano e, come già ricordato, di Treviso. I diversi uffici giudiziari svolsero indagini coordinate, nel tentativo, tutt’altro che agevole, di ricostruire la dinamica dei fatti di contrabbando.

Risultò presto chiaro come questa cosiddetta truffa o scandalo fosse stata possibile “per le disposizioni legislative che la favorirono, per gli stretti legami tra la classe politica e gli uomini d’affari, per la connivenza di alti funzionari e ufficiali preposti ai controlli” (5).

……

 

 

2.3 Le condanne

Il 30 aprile 1987, il Tribunale di Torino chiude il procedimento 341/81 contro il “supegruppo”, condannando, in primo grado, gran parte dei petrolieri e dei membri della Guardia di Finanza indagati, ma negando la qualità di “registi” agli uomini politici coinvolti. Tra gli imputati di maggior rilievo, vengono condannati Giudice, Lo Prete, Musselli, Morelli, Gissi, Galassi, Formato e Milani. Vengono, invece, assolti Freato (riconosciuto colpevole di frode per l’attività della “Sipca”, ma il reato è caduto in prescrizione), Mantovani, Bruno Palmiotti e Rolando Picchioni (uomini legati all’ex Ministro Tanassi). La sentenza di appello del 17 luglio 1989 riduce le pene per Lo Prete e Musselli (assolto dall’accusa di corruzione). Freato viene assolto con formula piena anche per il reato di truffa. Le posizioni di Giudice e Gissi vengono stralciate.

I giudici affermano, nella motivazione della sentenza di primo grado che “il contrabbando ci fu, ma le cosiddette “protezioni politiche” non sono state provate” (64). “Che la ragnatela di complicità fosse ben più ampia lo rivela un passaggio del documento (la motivazione della sentenza, n.d.r.): quello in cui si accenna al denaro che Musselli e altri petrolieri consegnarono a un dirigente Agip per aggiudicarsi 90.000 tonnellate di gasolio in pieno periodo di crisi energetica, da rivendere ad un prezzo maggiorato. Tangenti di cui non si sono trovate tracce, ma che sarebbero finite -seguendo il ragionamento dei giudici – nelle mani di personaggi vicini alla DC, al PSI, al PSDI. Ma come condannare senza prove certe?” (65).

Riportiamo, a questo proposito, un commento di Giorgio Galli, tratto da un’accurata analisi, da lui compiuta, sui cambiamenti avvenuti in Italia negli anni dello scandalo:

“A questo punto, ovviamente non volendo criminalizzare alcuno, (…) è forse configurabile questa ipotesi: se il ruolo dominante e determinante di un gruppo sociale si misura dalla capacità di controllo di un sistema e di una situazione tale da consentirgli di superare crisi che travolgono altri vertici (dai generali, agli alti magistrati, ai grandi finanzieri) quello che accadde in Italia nel 1977-1982 ci dice che questo gruppo dominante e determinante in Italia è il ceto politico di governo. Qui è la cuspide della piramide. Se altrove si dice che i governi passano, ma la polizia resta, in Italia si può dire che i falsi burattinai passano, ma i veri burattinai restano”.

 

 

 

3. I protagonisti

3.1 Bruno Musselli

Abile imprenditore, di buona estrazione sociale diversifica la sua attività in diversi settori economici. Diviene presidente della “Pagib Coca-Cola”, consigliere della “Innocenti Sant’Eustachio” e della “Eurobox”, produttrice di “tappi metallici e barattoli” (66). La “Eurobox”, con un fatturato di quasi 13 miliardi nel 1979, acquistò la “Macchine Impianti Elettrici” che apparteneva alla società fantasma “Jagona Anstalt”, la quale era stata socia nel periodo tra il 1972 e il 1976 dell’azienda “Castagnoli”, una delle tre società che amministravano le proprietà di Sereno Freato (circa tre mila ettari di vigneti) nel Chianti.

I rapporti con Freato non si limitano alla “Eurobox”. Musselli fu anche socio con lo stesso Freato fin dal 1963 nella “Nuove Confezioni Sportive” di Camisano Vicentino.

Nel settore petrolifero, fonda la “Bitumoil” nel 1957. Negli anni Sessanta, entra anche nel direttivo dell’Unione petrolifera italiana.

Dalla stampa si apprende come i saldi legami tra Freato e Musselli si instaurano quando la “Bitumoil” comincia a fornire, nei primi anni Sessanta, olio combustibile alle centrali dell’Enel e Freato siede nel consiglio di amministrazione dell’Enel. Il sodalizio tra “Bitumoil” ed Enel è l’unico momento in cui Musselli instaura un rapporto con imprese dello Stato, senza peraltro assumere incarichi di gestione delle risorse pubbliche.

L’amicizia tra Musselli e Freato si consolida nella comune frequentazione dell’on.Moro. Durante il sequestro del leader democristiano Musselli si dice disponibile a “contribuire con vari miliardi all’eventuale pagamento di un riscatto” (67). Da intercettazioni telefoniche effettuate su ordine dell’autorità giudiziaria risulta che, sempre durante il sequestro di Moro, si instaura “un filo diretto” (68) con il segretario del PSI, Bettino Craxi, del quale “condivideva gli sforzi a favore di una ‘iniziativa umanitaria’” (69) finalizzata ad ottenere la liberazione di Moro. A testimonianza della solidarietà di Musselli e Craxi risulta che il petroliere regala al segretario del PSI un’auto blindata. Successivamente alla morte di Moro, Musselli risulta tra i consiglieri della “Fondazione Moro” e tra i suoi maggiori sovventori.

Apre in Puglia, a Ostumi, una società di valorizzazione turistica, insieme ai noti esponenti del PSI, Rino Formica e Tommaso Pesce.

Viene nominato “Cavaliere del Lavoro”, su disposizione del Presidente della Repubblica Leone (il suo nome venne indicato dal Ministro Donat Cattin) e console generale del Cile, prima e dopo il golpe di Pinochet (70).

Tutto ciò a riprova della capacità di Musselli di instaurare proficui rapporti con più parti politiche, a seconda delle esigenze del momento. Egli dice “io non ho una bandiera politica. (…) Comunque ho avuto ancora la fortuna di avere amicizie politiche in tutti i settori, ma non per questioni ideologiche. (…) Lo faccio perché nel mio mestiere è meglio avere amici che nemici” (71)

Viene condannato con la sentenza del 30 aprile 1987 del Tribunale di Torino, in primo grado, a 7 anni e 300 milioni di multa. La sentenza della Corte d’appello di Torino del 17 luglio 1989, conferma la condanna per i reati di contrabbando, ma lo assolve per insufficienza di prove dall’accusa di corruzione.

3.2 Mario Milani

Considerato, insieme a Musselli, uno degli ideatori della truffa dei petroli. Comincia la sua carriera come “venditore di statuine di gesso e di taniche di benzolo” (72) a Rovigo. La sua ascesa è folgorante. Si trasferisce in Sardegna dove comincia a vendere carburante e a commerciare in oli lubrificanti.

Nel 1974, torna a Rovigo notevolmente arricchito e con molte amicizie potenti. Acquista, a Marghera, la “Costieri Alto Adriatico”, uno dei depositi costieri di greggio e prodotti petroliferi finiti più grandi d’Italia. Le cronache parlano del pagamento, per l’acquisto del deposito, di una cifra vicina ai sei miliardi di lire.

Tra le tante amicizie, Milani riceve soprattutto, nei suoi uffici di Rovigo, gli ex-ufficiali della guardia di Finanza, Gissi e Galassi, suoi soci in parecchi affari.

È nel 1978 “l’anno di grazia per Milani”. La stampa del tempo descrive così il suo stile di vita:

“Jet personale, villa ad Albarella, palazzi nel centro di Rovigo, Ferrari e Mercedes per gli spostamenti in città, una scuderia di cavalli da corsa, appartamenti sull’altipiano di Asiago, impianti sciistici di risalita, una quota della concessionaria Alfa Romeo a Rovigo… Naturalmente il petrolio e tanti denari all’estero. Recentemente per i suoi week-end estivi aveva comprato un intero castello nella zona di Aberdeen, in Scozia” (73).

Non risultano particolari legami di Milani con esponenti del mondo politico.

Viene condannato con la sentenza del 30 aprile 1987 del Tribunale di Torino, in primo grado, a 8 anni e 300 milioni di multa. La sentenza della Corte d’appello di Torino del 17 luglio 1989, conferma la condanna.

3.3 Raffaele Giudice

Il Gen. Giudice, proveniente dall’esercito, prende possesso del Comando Generale della Guardia di Finanza il primo agosto 1974 e resta in carica fino al 1978. La sua nomina ai vertici delle fiamme gialle desta molto stupore all’interno del corpo e viene attribuita alle sue amicizie politiche. Tra i suoi referenti politici ci sono l’on. Andreotti, l’on. Salvo Lima, fedelissimo di questi e siciliano come lui, l’on. Gioia. Numerose testimonianze parlano di “collette” tra i petrolieri per patrocinare la sua nomina a Comandante Generale (74). Il suo nome risulta negli elenchi degli iscritti alla loggia P2, sequestrati dalla magistratura a Castiglion Fibocchi il 21 marzo 1981, dove risulta anche un versamento di lire 500.000. L’iscrizione, secondo l’ammissione di Giudice stesso, avviene nel 1977, per compiacere alle richieste del suo segretario Trisolini e di Licio Gelli, industriale tessile aretino e Gran Maestro della Loggia. I magistrati ritengono però che i contatti con Gelli risalgano alla prima metà degli anni settanta (75). Viene arrestato nell’ottobre del 1980 con l’accusa di associazione a delinquere, corruzione, collusione con privati per frodare l’erario. Al di là delle formule giuridiche, per i magistrati inquirenti è uno dei padrini dello scandalo, assieme al suo Capo di Stato Maggiore, Donato Lo Prete, e al petroliere Musselli e a Sereno Freato. I suoi rapporti con Musselli risalgono al maggio del 1975, anche se Giudice afferma di averlo conosciuto soltanto nel 1977, a casa di Lo Prete, in quanto il petroliere e cavaliere del lavoro era molto legato all’on. Moro e Giudice voleva incontrarlo “perché avevo bisogno del suo aiuto (…) Avevo preparato un libro giallo sulla Guardia di Finanza. Proponevo di ampliare e riformare il corpo per renderlo più efficiente contro le evasioni. (…) solo Moro poteva aiutarmi.” (76) Nei suoi confronti è stato riscontrato un ingente accumulo di ricchezze (dell’ordine di centinaia di milioni) durante il periodo del suo comando (di fronte ad emolumenti annui di circa 30 milioni) in numerosi conti bancari, anche esteri, e in beni immobili (77). Occorre rilevare l’analogia tra l’accumulazione di Giudice e quella dei suoi più stretti collaboratori, Lo Prete e Trisolini, analogia resa ancora più stretta “con riferimento all’entità delle possidenze bancarie, alla contiguità numerica (oltre che alla presenza nella stessa banca) dei loro conti correnti, all’analogia dei modi di versamento, alla provenienza del denaro tramite sottufficiali della segreteria del comando, alla corrispondenza degli investimenti delle somme in titoli, alla comune tenuta dei libretti al portatore, tutti egualmente intestati a nomi di fantasia” (78).

Nella vicenda risulteranno implicati anche il figlio Giuseppe, socio del petroliere Morelli, e la moglie Giuseppina Galluzzo, accusata di aver portato ingenti somme di danaro in Svizzera.

Viene condannato con la sentenza del 30 aprile 1987 del Tribunale di Torino, in primo grado, a 3 anni e 10 mesi e 30 milioni di multa. Nella sentenza della Corte d’appello di Torino del 17 luglio 1989, la sua posizione è stata stralciata.

3.4 Donato Lo Prete

Donato Lo Prete è stato a capo del servizio informazioni della Guardia di Finanza dal 28/10/68 al 10/8/72. Nel servizio informazioni transitano, in vari periodi, numerosi ufficiali e sottufficiali legati a Lo Prete e Giudice, che risulteranno essere personaggi importanti nella vicenda petroli. Tra essi ricordiamo Vincenzo Gissi, Giulio Formato, Salvatore Galassi, Arturo Billi.

Molti di questi sono stati assegnati da Lo Prete ad importanti funzioni nell’ambito di questo servizio (in particolare nei centri occulti di Bologna, Milano, Como). Tra il 1972 e il 1975 assume il comando del Nucleo Centrale di Polizia Tributaria. Lo Prete assume la carica di Capo di Stato Maggiore il 25/1/75, dopo che nell’agosto del 1974 il Gen. Giudice aveva esonerato dall’incarico il Gen. Dall’Isola, adducendo motivazioni legate alla prassi che vedeva il Comandante generale del corpo autorizzato a scegliersi il capo di stato maggiore.

Considerato “di provata fede andreottiana” (79), è stato uno dei centri fondamentali di protezione del contrabbando; la sua attività deviante non era legata solo alle ingenti somme e ai sontuosi regali ricevuti in cambio della sua attività di copertura, ma anche all’essere socio di Musselli e Gissi in un’azienda petrolifera, la “Bitumoil Distributors”. Nel 1978 lascia il posto di Capo di Stato Maggiore per andare a comandare la Legione lombarda.

Viene inquisito dalla Procura di Treviso sin dal 1979 e si rende presto latitante. Viene arrestato in Spagna nel 1982.

Anche lui è risultato iscritto alla P2 e sono state riscontrate numerose possidenze ed un tenore di vita eccessivi rispetto alle sue entrate lecite.

Viene condannato con la sentenza del 30 aprile 1987 del Tribunale di Torino, in primo grado, a 8 anni e 200 milioni di multa. La sentenza della Corte d’appello di Torino del 17 luglio 1989, conferma la sentenza di primo grado ma dichiara la condanna “non eseguibile”, dal momento che l’estradizione, concessa dalla Spagna, non riguardava i reati fiscali e di contrabbando.

3.5 Giuseppe Trisolini

Trisolini è l’aiutante di campo del Gen. Giudice durante la sua permanenza al Comando Generale. Pur non ricoprendo alcun ruolo istituzionale, è dotato di grande potere all’interno del corpo, dovuto allo stretto rapporto che lo lega a Giudice e alla moglie di questo, Giuseppina Galluzzo. Il suo nome risulta tra quelli iscritti alla loggia deviata di Gelli.

Viene unanimemente descritto come persona avida e priva di scrupoli; con il pieno accordo di Giudice, preleva e fa sparire atti, mantiene i contatti con Gelli e fa da tramite con Giudice e Lo Prete; mantiene i contatti con ufficiali e sottufficiali del Corpo un po’ in tutt’Italia e con uomini del servizio “I”, strettamente controllato da Lo Prete.

La sua rete di relazioni e di conoscenze è in grado di condizionare l’operato di Giudice e Lo Prete.

Muore poco prima dell’esplosione dello scandalo nel 1979.

3.6 Sereno Freato

Sereno Freato è stato per anni segretario personale del defunto on. Aldo Moro. I giudici che hanno indagato sullo scandalo petroli lo indicano come uno dei registi, assieme al petroliere Musselli e ai Finanziari Giudice e Lo Prete, del vasto giro di frodi nel settore petrolifero.

È socio di Musselli in numerose attività commerciali: “Eurobox S.p.A” di Camisano, “Confezioni Sportive Camisano S.p.A.”, “Fagib S.p.A.” di Verona (imbottigliatrice della Coca Cola). La sua implicazione nello scandalo petroli è data dalla partecipazione, quale socio occulto, alla “Bitumoil”. In tale veste ha apportato il proprio contributo allo svolgersi e all’espandersi dell’attività della Bitumoil svolgendo il compito di garantire una stabile copertura a livello politico-amministrativo per tutta l’attività contrabbandiera di Musselli, sfruttando la sua posizione privilegiata di segretario personale di Moro, interessandosi per la promozione dell’ing. De Nile all’Utif di Milano e per la nomina di Giudice. Soprattutto tra il 1976 e il 1979 viene riscontrato un flusso notevole di danaro dal Musselli per Freato, denaro che secondo i magistrati inquirenti costituirebbe la spartizione di utili derivanti dalla comune attività imprenditoriale. Freato giustifica questo passaggio di danaro come “restituzione di danaro che il Musselli faceva in quanto al momento dell’entrata in vigore della legge 159/76 l’on. Moro mi aveva detto di consegnare una somma al Musselli pari a circa 300 milioni, che costituivano un fondo di riserva esistente presso la banca U.B.S. di Chiasso o di Lugano (…) costituito in precedenza per eventuali necessità politiche” (80). Di questo conto, che giustificherebbe il denaro come finanziamento alla corrente morotea, non si trovano però tracce.

I giornali dell’epoca lo descrivono così:

“Lo stacco tra un portaborse e un consigliere ombra nel curriculum di Freato risalta con evidenza a metà degli anni sessanta, quando con Moro presidente del Consiglio, l’assistente speciale ha già accumulato le cariche di commissario governativo dell’ente “Tre Venezie” (poi disciolto a fatica) e di consigliere d’amministrazione dell’Enel. Una volta salito al gradino superiore, il nostro personaggio esemplare brilla di luce propria (…) ma il suo ruolo non è affatto appannato. Anzi, tiene i contatti più delicati, assolve le incombenze più imbarazzanti, media, consiglia, seleziona, trama, stringe nuove amicizie, magari con personaggi che il grande leader non incontrerà mai. (…) Continua a far lievitare l’influenza di cui gode, avendo cura di cancellare ogni traccia pubblica della sua presenza: perfino l’indirizzo sull’elenco telefonico. Avvicinarlo diventa quasi impossibile. Se proprio insistete, sarà lui a cercarvi, ma solo a una precisa condizione: noi non ci siamo mai sentiti” (81).


Note

1. Cfr. G. J. Paglia, “Petroli: 2 ex colonnelli tra gli ultimi 18 arresti”, in La Stampa, 28 ottobre 1980, p.1.

2. Si tratta del quotidiano La Tribuna di Treviso, che per primo indicò che il valore della truffa era dell’ordine di 2000 miliardi.

3. G. Galli, Affari di Stato, Kaos Edizioni, 1991, p.183.

4. D. Labozzetta, “Criminalità economica e potere giudiziario”, in Questione Giustizia, n.2, 1983, p.399

5Ibidem.

6. P. Calderoni, G. Modolo, “La Supertruffa”, in L’Espresso, n.45, 1980, p.56.

7Ibidem.

8. G. J. Paglia, “Petroli: una perizia grafica accusa l’ex ufficiale Formato”, in La Stampa, 5 febbraio 1981.

9Ibidem.

10. P. Calderoni, G. Modolo, cit., p.56.

11Ivi, p.86.

12. Gli organi preposti alla vigilanza sono:

  • la Dogana, nei depositi costieri e in altri depositi doganali;
  • l’Ufficio Tecnico Imposte di fabbricazione (Utif), nelle raffinerie e nei depositi destinati alla conservazione del prodotto prima dell’esazione dell’imposta;
  • la Guardia di Finanza, nel suo ruolo istituzionale di vigilanza.

Il petrolio greggio giunge nel territorio italiano generalmente attraverso petroliere. Scaricato nei depositi costieri, operanti sotto la vigilanza dell’amministrazione doganale, il greggio viene misurato. Il passaggio dai depositi costieri alle raffinerie avviene prima del pagamento dell’imposta di fabbricazione; nella movimentazione, il greggio deve essere accompagnato da appositi certificati (moduli C/21) e le autobotti devono essere sigillate dal personale della dogana del luogo di partenza della merce. Giunto nella raffineria, il prodotto viene preso in carico dall’Ufficio finanziario di fabbrica, dipendente dall’Utif, con la collaborazione della Guardia di Finanza. Compito di questa struttura è quello di controllare continuamente la lavorazione ed accertare la quantità e qualità dei prodotti ottenuti. L’uscita del prodotto avviene, generalmente, previo pagamento dell’imposta determinata dall’ufficio finanziario di fabbrica, in base alle aliquote previste dalla legge (art. 12 e 13, R.D.L. n. 334/1939).

Con l’uscita dalla raffineria o dal deposito “SIF”, il tributo è assolto e può iniziare la fase di commercializzazione del prodotto, che, in attesa di essere venduto, viene immagazzinato in depositi detti “liberi”, appunto perché contengono prodotto di cui è già stata pagata la relativa imposta.

Anche una volta assolto il tributo, la movimentazione del prodotto è sottoposta ad alcune formalità. Innanzitutto, l’operatore petrolifero deve tenere un registro di carico e scarico, rilasciato dall’Utif competente, nel quale devono essere annotati tutti i carichi di prodotti arrivati nei depositi, con l’indicazione della quantità, della provenienza, della data di arrivo e della documentazione che ha scortato il trasporto. Le stesse indicazioni valgono per gli scarichi, cioè le partite di prodotto estratte dal deposito e destinate ai clienti.

Il trasporto del prodotto deve essere scortato da un certificato di destinazione, il modulo “H-ter 16”, redatto su stampati filigranati in dotazione agli Utif. Il modulo deve contenere l’indicazione di numerosi dati, tra cui gli estremi del deposito di provenienza e del luogo di destinazione, gli estremi del vettore, con l’indicazione del nome dell’autista e la targa del veicolo usato, la data del trasporto con precisazione dell’orario di partenza e di quello di arrivo previsto, l’indicazione del percorso di massima da seguirsi, il tipo e quantità del prodotto. I certificati di provenienza vengono emessi dall’Utif territorialmente competente, che ha anche la facoltà di assegnare al commerciante una dotazione di libri-certificati in bianco, con l’obbligo di rigoroso periodico rendiconto. In questi casi è il commerciante stesso che provvede all’emissione del certificato di destinazione. Periodicamente, i libri di certificati utilizzati e i registri di carico e scarico devono essere restituiti all’Utif che li ha rilasciati, per effettuare dei controlli.

13Ibidem.

14Ibidem.

15Ibidem.

16. Crf. nota 12.

17. Per quanto riguarda le modalità di frode occorre premettere che un elenco completo di queste è impossibile, data la possibilità quasi infinita di stratagemmi ipotizzabili in relazione al contrabbando. Un tentativo di classificazione di queste modalità è possibile facendo riferimento alle varie fasi di lavorazione o movimentazione del prodotto: le frodi, infatti, possono realizzarsi in raffineria, nel passaggio da questa alla dogana o ai depositi “SIF”, nel mercato libero.

Ipotesi principale di contrabbando in raffineria è costituita dalla realizzazione di prodotto finito, senza il pagamento dell’imposta dovuta, attraverso una raffinazione clandestina o in frode all’ufficio finanziario di fabbrica. Il raffinatore produce quantitativi di prodotti finiti superiori per qualità – quindi con un incidenza fiscale superiore – e quantità. Questo risultato viene raggiunto secondo diverse modalità di azione.

Si può giocare sulle rese, dichiarando che da una certa quantità di petrolio si è ricavata una quantità di prodotto finito inferiore al vero, con estrazione clandestina ed immissione nel mercato del contrabbando del surplus.

Si può far risultare ottenuti dalla raffinazione quantitativi di prodotto a diversa incidenza fiscale, in proporzioni diverse dal reale (in quantità minore, il prodotto a più alta incidenza fiscale).

Il risultato di queste attività è che dalla raffineria escono partite di prodotto che sono state sottratte al pagamento dell’imposta dovuta.

Una seconda ipotesi fa leva sulla possibilità di estrarre prodotti finiti dalle raffinerie in regime “SIF”, con bolletta di cauzione, senza pagamento dell’imposta. Ciò si può realizzare secondo diverse modalità.

Una prima modalità consiste nel simulare un’esportazione. Il prodotto viene inviato con bolletta di cauzione alla frontiera per l’esportazione; la dogana competente attesta l’avvenuta esportazione, ma in realtà la merce non valica la frontiera e la certificazione doganale permette di ottenere lo scarico fiscale della raffineria di provenienza. In territorio nazionale viene immessa una partita che ha evaso totalmente il fisco.

Una seconda modalità vede l’invio del prodotto petrolifero a un deposito “SIF” per ulteriori lavorazioni. L’ufficio finanziario di fabbrica del “SIF” di destinazione lo assume formalmente in carico nella propria contabilità, ma, in realtà, il prodotto, invece di arrivare nel deposito, viene inviato direttamente al contrabbando. Variante di questa modalità prevede l’arrivo effettivo del prodotto nel deposito “SIF”, la sua lavorazione fittizia, con cui si simula la denaturazione del prodotto, da cui dipende la soggezione a un regime fiscale agevolato. In realtà il prodotto non viene modificato e viene commercializzato nello stato in cui giunge al deposito “SIF”.

Le modalità di cui abbiamo finora parlato, comportano falsificazioni delle registrazioni di carico e scarico e della documentazione relativa alla lavorazione. Altre modalità di frode non riguardano più i prodotti petroliferi conservati in regime “SIF”.

Tra di esse ritroviamo la rigenerazione di prodotti adulterati, finalizzata al loro impiego in usi soggetti a imposta superiore a quella prevista per il prodotto ancora adulterato. Ad esempio, il gasolio adulterato per il riscaldamento, viene trattato chimicamente (in gergo, “sbiancato”) così da eliminare le caratteristiche più evidenti del precedente procedimento di adulterazione. La conseguenza è che il prodotto viene commercializzato come merce destinata all’uso fiscalmente meno agevolato.

Un’altra modalità consiste nella illecita miscelazione di prodotti petroliferi: prodotti fiscalmente pregiati vengono “tagliati” con partite di prodotto ‘vile’ (ad esempio, benzina con olio combustibile), ottenendo miscela che viene venduta come prodotto puro, di maggior pregio.

18. Cfr. Sent. Tribunale di Torino, 28 maggio 1981, Sent. Appello, 5 luglio 1982.

19. Cfr. Sent. Tribunale di Torino, 23 dicembre 1981, Sent. Appello, 20 giugno 1984

20Ibidem.

21. L’articolo si riferisce alla “Veneta Idrocarburi” di cui si parlerà più approfonditamente tra breve; da T. Oldi, “La rapina del secolo”, Panorama, 10 novembre 1980, p.57.

22. in ord. sen., 14 agosto 1985, cit., p.1621.

23. Trattasi degli stessi sottufficiali che vengono sentiti dal giudice di Treviso, di cui abbiamo appena parlato.

24. P. Calderoni, G. Modolo, cit., p.56.

25Ibidem.

26. Cfr. T. Gava, “Anche due generali nello scandalo petroli”, in L’Unità, 12 dicembre 1979, p. 10.

27. Cfr. R. Bolis, “Arrestato petroliere braccio destro del “grande elemosiniere” dc Musselli”, in L’Unità, 19 ottobre 1980, p.4.

28Ibidem.

29Ibidem.

30. “Freato: presi i soldi ma per il mangime da dare ai cavalli” in La Stampa, 11 febbraio 1981.

31Ibidem.

32Ibidem.

33Ibidem.

34. Cfr. R. Bolle, “Due ufficiali della Gdf fra i nuovi incriminati”, in L’Unità, 28 ottobre 1980, p.4.

35. D. Labozzetta, cit., p.401.

36. L’articolo da cui è tratta la citazione fa riferimento al colonnello della Guardia di Finanza Giampiero Ciccone, Capo dell’Ufficio Informazioni di Padova, accusato dai giudici di Treviso di favoreggiamento e interesse privato in atti d’ufficio; da G. J. Paglia, “Colonnello della Finanza controllava I magistrati invece dei petrolieri?”, in La Stampa, 18 dicembre 1980.

37. da La Stampa, 31 ottobre 1980.

38. Tra cui il democristiano Segnana, il Vice Procuratore Generale della Corte dei Conti Ennio Mancuso e l’avvocato dello Stato Giuseppe Angelici Rota; da La Stampa, 5 novembre 1980, p.1.

39Ibidem.

40. Cfr. le dichiarazioni di Pisanò, “Reviglio ha reso pubblico al Senato il rapporto Vitali sul contrabbando”, in La Stampa, 5 novembre 1980.

41. Cfr. dichiarazioni di Bonazzi, parlamentare del Partito Comunista Italiano, ibidem.

42. Cfr. La Stampa, 4 novembre 1980.

43. Cfr. La Stampa, 5 novembre 1980, p.5.

44. Quasi vent’anni dopo, Vannucci, ricostruendo le collusioni della magistratura negli anni settanta e ottanta, parla della procura romana come di un “porto delle nebbie”, in cui “i processi ai politici venivano avocati e poi insabbiati” ed in cui, “un alto magistrato” ricevette un ordine di custodia cautelare per avere compiuto “una indeterminata serie di atti contrari ai doveri d’ufficio in quanto stabilmente retribuito perché ponesse le sue pubbliche funzioni al servizio degli interessi degli erogatori (…) in tutti i procedimenti e in ogni altra attività in cui fosse richiesto”. Cfr. A. Vannucci, Un paese anormale, ed. Laterza, Bari, 1999, p.54.

45. Dalle pagine di OP si legge: “La benzina usciva dal deposito “SIF” (un punto franco dogana in cui viene stivato il carburante in attesa di essere acquistato dai grossisti) con la sua bolla di accompagnamento. Su c’era scritto che era destinato ad X, finiva ad Y. Una “mano amica” all’Utif chiudeva entrambi gli occhi, i doganieri del “SIF” vedendosi ritornare una bolletta timbrata regolarmente non potevano saperne nulla. Unici a parte dell’inghippo erano i camionisti delle autobotti. Uno di loro ha confessato alla magistratura tutta la storia. Si è appreso che la società che abbiamo chiamato X era società fantasma, con sede in mezzo ai canneti o ai prati verdi. Quanto alla società Y, interrogate dalla magistratura sul mancato pagamento dell’imposta di fabbricazione, hanno dichiarato di non dover nulla in quanto la benzina in oggetto non veniva dal deposito “SIF”, ma era stata acquistata da un’altra società commerciale, chiamiamola W; questa a sua volta giurava di aver comprato da Z il carburante e così via, per un’interminabile catena di Sant’Antonio”, in V. Iacopino, Pecorelli – OP, Storia di un’agenzia giornalistica, Sugarco, Milano, 1981, pp. 75-6.

46. “Una raffica di notizie”, così recitava il sottotitolo sulla copertina di “OP”.

47. Cfr. G. J. Paglia, “Torino: per il caso petroli altri 12 mandati di cattura”, in La Stampa, 2 dicembre 1980, p.4.

48. Cfr. G. J. Paglia, “Lecco: nove mandati di cattura per i petroli; in quattro anni evase imposte per 40 miliardi”, in La Stampa, 11 dicembre 1980, p.6.

49Ibidem.

50. G. J. Paglia “Arrestato a Roma anche un figlio del gen. Giudice”, da La Stampa, 19 dicembre 1980.

51. Cfr. G. J. Paglia, “Forse trovate alla direzione dogane le prove di copertura ai petrolieri” in La Stampa, 20 dicembre 1980; “Ho sempre informato i ministri”, in La Stampa, 17 gennaio 1981

52. G.J. Paglia, “Assegni dei petrolieri a psi, psdi e alla dc”, in La Stampa, 4 marzo 1981; “In banca libretti per 237 milioni col nome di mesi”, in La Stampa, 11 febbraio 1981.

53. Il 23 novembre 1984, il Parlamento archivia il “caso Andreotti” non consentendone la messa in stato di accusa. Cfr. A. Padellaro, “Andreotti ‘assolto’ dal parlamento”, in Corriere della Sera, 24 novembre 1984; A. Rapisarda, “Assoluzione per Andreotti”, in La Stampa, 24 novembre 1984.

54. sent. Trib. Torino, IV sez. pen. 23, 23 dicembre 1982, pres. Est. Fassone, imp. Giudice ed altri, in Questione giustizia, n.2, 1983, pp.349 e ss.

55. Cfr. relativamente alle responsabilità di Giudice, la sent. Trib. Torino, IV sez. pen. 23, 23 dicembre 1982, pres. Est. Fassone, imp. Giudice ed altri, in Questione giustizia, in.2, 1983, pp.349 e ss.

56. Cfr. Ord-Sent, 14 agosto 1985, cit., pp.101 e ss.

57Ibidem.

58. Pietro e Cesare Chiabotti, padre e figlio, erano proprietari della Isomar di S. Ambrogio (MI). Fu accertato (sent. 22 dicembre 1981, Trib Torino, II sez. pen.) che fino al 1973 i Chiabotti svolsero attività di contrabbando in proprio. Dal 1973 instaurarono un rapporto stabile con la “Siplar” di Airuno, gestita da Gissi, Galassi e Milani.

59. Sent-ord 14 agosto 1985, cit., p.7

60. Cfr. sent. 2 giugno 1988, cit., p.1515

61. Sent-ord 14 agosto 1985, cit., p.120

62. “Gli atti istruttori di interrogatorio e confronto sviluppatisi nel marzo-aprile 1983 ampliavano e consolidavano il quadro, facendo emergere sempre più il ruolo predominante in tutta la vicenda di Lo Prete Donato, come d’altra parte lo stesso Tribunale non aveva potuto non sottolineare in base agli sviluppi dibattimentali ancora una volta in modo analitico e pregnante. Uguale posizione di rilievo si consolidava nei confronti di Musselli Bruno nei suoi rapporti con Giudice Raffaele, e di ancor più specialmente con Lo Prete Donato e Gissi Vincenzo”.

63. Cfr. E. Boffano “Chiesto il rinvio a giudizio di 170 imputati nella maxi-inchiesta sullo scandalo petroli”, in Corriere della Sera, 10 aprile 1985.

64. B. Rovera “Le bugie pietose della vedova Moro”, in Corriere della sera, 17 maggio 1988.

65Ibidem.

66. Da Corriere della Sera, 7 novembre 1980.

67. P. Calderone e G. Modolo, cit.

68Ibidem.

69Ibidem.

70. Compì il suo primo viaggio politico nel Cile di Allende, in compagnia del socialista Di Vagno e di Aldo Aniasi, sindaco di Milano.

71. Da R. Cantore “Parla i petroliere latitante”, in Panorama, 10 novembre 1980, p. 68

72. Da “La rapina del secolo” in Panorama, 10 novembre 1980, p.54.

73. P. Calderoni e G. Modolo, cit.

74. Cfr. Trib. Torino, IV sez. penale 23/12/82, pres. est. Fassone, in Questione Giustizia, n.2, 1983, p. 361 e ss.

75Ivi, pp. 371 e ss.

76. Dichiarazioni rese davanti alla corte d’appello di Torino, E.B., “Volevo solo conoscere Moro tramite Musselli”, in Corriere della Sera, 2 giugno 1984, pag.5.

77. Sulla rilevanza del patrimonio di Giudice Raffaele e di altri protagonisti dello scandalo petroli, cfr. Sentenza-ordinanza 14 agosto 1985, cit.

78. Cfr. sentenza Trib. Torino 23/12/82, cit., pag.395.

79. P. Calderoni, G. Modolo, cit.

80. Interrogatorio di Freato del 3/4/1984, in Sent 15 agosto 1985, cit., pag.2006.

81. A. Padellaro, “Come si diventa un Freato? Accompagnando da dietro le quinte l’ascesa di un padrone”, in Corriere della Sera, 8 novembre 1980.

II.  IL FATTO QUOTIDIANO DEL 4 E DEL 5 OTTOBRE–MENO MALE!+
 

“Voi giudici dovete andare avanti”
Quando Pertini pianse per le mazzette Psi

Il racconto dell’ex magistrato Almerighi: lo scandalo petroli, le indagini sull’aumento sospetto dei
carburanti e il potere delle lobbies scoperchiato grazie al contributo dell’allora presidente della Camera

"Voi giudici dovete andare avanti" Quando Pertini pianse per le mazzette Psi

Pubblichiamo un estratto dal libro ‘La storia si è fermata’ (Castelvecchi) dell’ex pm Mario Almerighi: la narrazione in prima persona dello scandalo del 1973, quando, dopo la guerra del Kippur, tutti collegarono l’aumento del prezzo dei carburanti alla vendetta dei petrolieri arabi. Ma così non era e le indagini della magistratura, supportata dal presidente della Camera Sandro Pertini, svelarono un sistema di potere che coinvolgeva politici, petrolieri italiani e pezzi dello Stato  di Mario Almerighi

SANDRO PERTINI, AL QUIRINALE IL SOCIALISTA CHE SAPEVA RESISTERE (di M. Travaglio)

 

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *