(tratto da “Women wage anti-terrorism & anti-jihad activism but rarely make headlines”, un più ampio articolo di Karima Bennoune per Reuters, 1.10.2014, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Di Karima potete anche leggere: https://lunanuvola.wordpress.com/2012/06/10/la-vostra-fatwa-non-si-applica-qui/ )
Sfortunatamente i jihadisti hanno i titoli in prima pagina, raramente quelli che agiscono contro di loro li ottengono. Dopotutto, chiunque ha sentito parlare di Osama bin Laden, ma molto pochi sanno di coloro che si oppongono agli aspiranti bin Laden in tutto il mondo.
C’è una lunga e non narrata storia di individui coraggiosi, di discendenza musulmana, che hanno sfidato gli estremisti.
Negli anni ’90, il gruppo di donne conosciuto come Raduno Algerino delle Donne Democratiche o RAFD (Rifiuta) osò farlo durante la “decade oscura” delle atrocità commesse dal Gruppo Islamico Armato che che si batteva contro lo stato d’Algeria. Questa violenza reclamò almeno 200.000 vite.
Le proteste organizzate dalle donne di RAFD attirarono migliaia di dimostranti, nonostante il pericolo. Nell’ottobre 1993, mentre la violenza cominciava a peggiorare, indossarono bersagli di stoffa davanti all’ufficio del Presidente, per condannare le minacce alle donne e ai laici. L’intero elenco delle leader di RAFD finì sulla lista della morte dei fondamentalisti, ma esse non si ritirarono.
Il giorno dopo il bombardamento mortale di una strada affollata di Algeri, nel 1995, RAFD andò a protestare sul luogo stesso del cratere. La polizia disse loro che era troppo pericoloso, ma le attiviste si radunarono comunque e riempirono il cratere di fiori. Lo stesso anno le donne dell’organizzazione tennero in Algeri un processo simbolico al Fronte di Salvezza Islamico, nonostante fossero stati affissi manifesti che chiunque vi partecipasse sarebbe stato ucciso.
Tramite azioni come queste, le attiviste contribuirono a galvanizzare e a pubblicizzare il crescente rigetto della popolazione al progetto di uno stato islamico in Algeria. Nonostante ciò, il lavoro di RAFD ricevette scarsa attenzione a livello internazionale. Peggio ancora, fu bersaglio delle critiche dell’intellighenzia e della stampa occidentali, che suggerivano come le attiviste fossero “non autentiche” e “occidentalizzate”.
Perché furono etichettate in questo modo? Una ragione è che i media occidentali spesso inquadrano il conflitto come se si desse fra estremisti musulmani e Occidente, piuttosto che come una battaglia per i diritti umani all’interno delle società a maggioranza musulmana. In narrativa siffatta, l’opposizione all’estremismo è giudicata “occidentale”. E’ un completo errore.
Quando l’Occidente inquadra il conflitto in questo modo, può spingersi sino a descriverlo come “scontro di civiltà”. Ma non è così. C’è uno scontro di ideologie – non di civiltà – e sta accadendo in ogni singolo paese affetto dall’estremismo. La comunità internazionale dovrebbe fare un lavoro migliore nel sostenere coloro che sono la versione odierna di RAFD e riconoscere che rappresentano una voce legittima all’interno delle loro società. E di tali voci ce ne sono molte.
L’Organizzazione per la libertà delle donne in Iraq (OWFI) denuncia pubblicamente l’ISIS, dall’interno della zona in pericolo, per la sua campagna di genocidio contro le minoranze, per gli stupri di donne, per l’imposizione di un rigido codice di abbigliamento femminile e per l’aver messo in piedi un “mercato delle concubine” in cui si vendono donne e ragazze come schiave sessuali.
L’OWFI gestisce una linea telefonica d’emergenza e persino un rifugio per le donne che fuggono dalle persecuzioni dell’ISIS.
L’architetta irachena Yanar Mohammed,
( https://lunanuvola.wordpress.com/2010/01/08/auguri-dalliraq/ )
un’oppositrice all’invasione americana dell’Iraq, fondò il gruppo nel 2003 dopo la caduta di Saddam Hussein. Il suo scopo era promuovere i diritti delle donne lavorando per un Iraq laico e non settario. Come le donne del RAFD in precedenza, l’OWFI ha ricevuto minacce, in questo caso sia dagli estremisti Sunniti sia da quelli Sciiti, e in particolare minacce di morte alla sua fondatrice. Nonostante il suo coraggio, Yanar mi ha detto che ha accesso limitato ai media occidentali. Fa eco a quel che mi ha detto di recente la portavoce di RAFD, Zazi Sadou, del responso internazionale ai loro sforzi: “Nessuno voleva ascoltarci.”
Anche oggi, l’Occidente non sta ascoltando le voci degli iracheni che si oppongono agli estremisti. Questo deve cambiare. Se la comunità internazionale vuole che più individui reagiscano, deve offrir loro il suo sostegno. Mentre i forzieri del Qatar hanno nutrito i jihadisti in tutta la regione, i gruppi laici che contrastano gli islamisti non hanno fondi.
Se non si affronta tutto questo, allora c’è il rischio reale che i fondamentalisti musulmani – armati di denaro, armi, combattenti stranieri e retorica emotiva religiosa – vinceranno sia sul fronte della propaganda, sia sul fronte delle battaglie militari.
In mezzo alla paura c’è sempre qualcuno che dice no. Non riesco a immaginarmi il coraggio che ci vuole, per una donna, in paesi come quelli citati, per esporsi e lottare. Oggi ho letto che in Pakistan le autorità o buona parte di esse stanno cercando di delegittimare il premio Nobel per la Pace di quella ragazzina che ha rischiato la vita ed è stata per molti mesi tra la vita e la morte per affermare il diritto delle donne a studiare. Gli argomenti ( si fa per dire ) sono che i media occidentali hanno gonfiato l’episodio di violenza per gettare discredito sull’Islam e che in Pakistan ci sono migliaia di ragazze come quella premiata col Nobel.