GRACIAS A LA VIDA—VIOLETA PARRA
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DON GINO RIGOLDI
solo un tipo così “pieno di humour furbetto” poteva essere Don Gino Gigoldi
Don Gino Rigoldi è cappellano dell’Istituto penale per Minorenni “C.Beccaria” di Milano dal 1972 e presidente dell’associazione ” Comunità Nuova”, con la quale realizza progetti di promozione delle risorse giovanili, di contrasto all’emarginazione e alle tossicodipendenze. Tra le sue più recenti pubblicazioni: ” Il male minore”, Mondadori 2007 e “Io cristiano come voi”, Edizioni Paoline 2011.
Questo piccolo libro di 137 pagine mi ha colpito innanzi tutto per il titolo e poi perché è basato sicuramente su una grande esperienza: non si sente retorica, non ci sono parole di troppo. Inoltre alcuni passaggi possono veramente aiutare a ricostruire una speranza concreta, un progetto realistico ma non misero della nostra vita.
All’inizio
c’è una frase di Carlo Maria Martini:
“La vita umana è inconcepibile
senza una tensione verso il futuro, senza progetti, programmi, attese, senza pazienza e perseveranza. Ma è pure intessuta di delusioni e quindi è permeata dalla speranza e anche dalla disperazione”.
Da Don Rigoldi, pag. 4-5 :
“…quando parliamo di speranza non parliamo di buone intenzioni,
di desideri e di sogni, e
nemmeno di illusione- che poi è la versione cinica di chi non è in grado di immaginare il mondo della possibilità...
La speranza che io vivo tutti i giorni posso esprimerla con una domanda che mi faccio ogni volta di fronte a un problema. a una crisi, a un fallimento:
” Come se ne esce?”.
La mia speranza è un atteggiamento che vuole produrre soluzioni creative, idee nuove, strade alternative per superare un ostacolo. Ed è sempre accompagnata dallo studio, dalla riflessione sull’accaduto, dalla ricerca dei punti dai quali ripartire, dal confronto con i compagni di strada”.
pag. 6:
” La qualità della propria esistenza sta nella
qualità dei rapporti e degli amori che scegliamo e costruiamo”
pag. 9-10 :
” Occorre cominciare a cercare il bene che c’è in ogni persona, a guardare alle qualità invece che ai difetti, a incoraggiare piuttosto che a mortificare.
Dobbiamo superare il morboso chiacchiericcio intorno alle debolezze altrui e considerare quanto di buono c’è
nell’altro.
A partire, naturalmente, dai nostri amici, dalle mogli e dai mariti, dai figli, dai compagni di scuola, dai nostri studenti.
E da
noi stessi
ovviamente.
Se la speranza nasce in compagnia, allora dobbiamo avere cura della relazione con gli altri:
la relazione nasce
proprio quando si dà valore all’altra persona,
è la convinzione, la certezza o la fede che una persona ha certamente una parte buona con la quale è possibile allearsi, intendersi”.
pag. 18-19:
“L’insoddisfazione, o la sofferenza, per la propria condizione da sola non basta, perché ci porta spesso ad avvitarci ancor più nella frustrazione.
C’è bisogno anche della speranza, della convinzione cioè che, pur soffrendo, esiste la possibilità di superare le difficoltà.
Occorre un progetto o almeno un desiderio positivo. Ci vogliono le occasioni,
alle volte capitate- e colte, più spesso cercate e costruite;
occorre, anche, una certa sincerità con se stessi per capire
se i nostri comportamenti, le nostre azioni e le nostre scelte
esprimono realmente tutta la nostra personalità.…
Ogni volta che c’è un cambiamento importante, fateci caso, c’è stato un incontro con una o più persone, ci si è rispecchiati negli occhi, se sinceri, dell’altro, siamo stati aiutati a comprendere meglio le nostre qualità e i nostri limiti, ci è stata data fiducia.
Nel bene o nel male, insomma, da soli non si cambia”.
pag. 82 :
citazione da
Martin Buber,” Il cammino dell’uomo“:
” Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non è mai esistito, qualcosa di primo e unico… Ciascuno è tenuto a sviluppare e dar corpo proprio a questa unicità e irripetibilità, non invece a rifare ancora una volta ciò che un altro- fosse pure la persona più grande- ha già realizzato. Quando era già vecchio e cieco, il saggio Rabbi Bunam disse un giorno: ” Non vorrei barattare il mio posto con quello del padre Abramo. Che ne verrebbe a Dio se il patriarca Abramo diventasse come il cieco Bunam e il cieco Bunam come Abramo?” La stessa idea è stata espressa con ancora maggiore acutezza da Rabbi Sussja che, in punto di morte, esclamò: ” Nel mondo futuro non mi si chiederà: “Perché non sei stato Mosè?”; mi si chiederà invece: ” Perché non sei stato Sussja?”.
Pag. 107:
“ La società non si cambia d’un colpo…( la società) è un insieme di persone molto diverse, oggi più che mai…
Non credo che si possa cambiare dall’alto e tutta insieme, ma dal basso e un passo alla volta…
Se provate a pensare, con me, che ogni persona è un mondo, ha la sua vita e solo quella, allora quando comincia a cambiare quella persona, e poi dieci altre e poi cinquanta, avviene un cambiamento che potremmo definire sociale.
Quando un essere umano cambia, cambia il mondo.
Questo vale a partire da noi stessi.
La saggezza di Gandhi lo ha sintetizzato con grande chiarezza:
“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
Questa fiducia, che è anche speranza, è fondamentale per agire con le persone e per creare quel legame che unisce le generazioni”.
Pag. 112:
“Oggi si utilizza molto la parola “indignato” per esprimere la propria protesta.
Io credo che l’indignazione sia un’importante reazione di fronte a quel che vediamo accadere, ma deve sempre
essere accompagnata da una visione alternativa a ciò che contestiamo,
altrimenti diventa motivo di rabbia che può sfociare in un atteggiamento solo distruttivo”.
Chiara: solo una minuscola precisazione che sento il bisogno di fare dato che il mondo in cui tutti viviamo è così: vogliamo dire che tutti noi abbiamo la testa piena di preconcetti, schemi e certezze che non possiamo aggiornare, perché sono stati dalla nostra mente costruiti a scopo di difesa, di tutela di una sopravvivenza che noi consideriamo buona o almeno sopportabile?… E che abbiamo la certezza assoluta che introdurre delle modiche ci toglierebbe la cosa per noi più preziosa: “la sicurezza vitale”, o se preferite, semplicemente “la sicurezza” senza la quale nessuno puo’ vivere.
Come quasi sempre succede, questi nostri pensieri sono stati elaborati e organizzati in momenti, magari antichi, a partire da condizioni nostre di estrema debolezza o piuttosto di “impotenza”, come puo’ essere l’infanzia e l’adolescenza, la malattia, e la vecchiaia, così come qualunque altra situazione che il soggetto consideri “pericolosa” ” fonte di ansia e di stress”.
Normalmente tutti noi, oggi, siamo cambiati, siamo diventati più “capaci (in relazione a quel tempo) di tollerare le frustrazioni—(che accumulandosi goccia a goccia – portano ad una stato di stress nel quale la vita diventa “invivibile”.)
Vorremmo fare qualcosa, ci domandiamo “come?”, pero’ quello che la mia tana, ormai quasi chiusa, mi ha permesso di vedere – sempre parlando in generale- è il fatto che una persona è disposta a fare qualunque cosa per star meglio: “meno abbandonare la culla di schemi obsoleti che rappresentano –tanto per dire–quel buon latte della mamma così pieno di morbidezze infinite“
Ho visto anche delle “eccezioni” – collaboratori/pazienti -che mi hanno confermato che la vita vale viverla se intervieni per modificare qualcosa o qualcuno in meglio, fosse pure un minuscolo pezzetto invisibile agli altri o, meglio, alla società.
A mio parere lavorare con i ragazzi, come mi pare abbia fatto in tutta la sua vita Don Gino Rigoldi, è un grosso problema, ma per chiara non il maggiore. So per certo che gli avrà richiesto..”tutto il richiedibile”…// qui si dice, ma in dialetto, per dire uno che ha fatto l’impossibile per qualcosa: “ho /ha appeso le budella al balcone”–ma se mai mi fosse dato il dono di dirgli una parola:
“Caro Don Gino, il problema non sono i ragazzi, anche del Beccaria, e -data la mia esperienza – non sono neanche i matti o i così-così, ad ostacolare una comprensione tra gli uomini: nella mia esperienza–certamente minuscola—l’ostacolo più grande sono gli adulti normali. Mi creda Padre, da vent’anni sono tornata normale, “così come potevo essere”, e in tutto questo tempo mi sono dedicata a fare “il reporter del mondo normale”.. Ebbene -per chiudere- lei non avrà tutto questo tempo da dedicarmi—non può neanche immaginare quante delle caratteristiche —-(che “il grande Zapparoli”, studioso tutta la vita di malati mentali attraverso la terapia che a loro faceva)— ha considerato, e scritto nei suoi libri, peculiari della mente di uno psicotico / o malato mentale,
così peculiari da potersi basare su quelle per fare una diagnosi di malattia mentale—
ebbene, lei non sa in quante persone normali ho potuto- ampiamente e ripetutamente- osservare proprio quelle caratteristiche––
La ringrazio molto se mi ha potuto ascoltare, ma è al Prof Zapparoli che dovrei scrivere una lettera anche se adesso non so dove è andato da quando è mancato.
Ma so che la scriverò lo stesso—magari ad una grossa stella—
Non ci potrete credere, lo so, ma non mi sono messa a scrivere per quello che vi ho detto fin qui: è che ho “un cuore urgente” come Jannacci e le parole vengono proprio da sé, maledette!
Mi sono pronata a scrivervi per dirvi che queste parole vi arrivano da un sacerdote che scrive un libro, ma anche da una persona, che evidentemente le ha considerate utili al punto di voler offrire una possibilità anche agli altri di farle proprie.
Questa persona, lo sapete, è la nostra Donatella D’Imporzano (dico così, ma di “nostro” non ha proprio niente, nel senso che prima di tutto lei “appartienene a se stessa”, poi…si vedrà…si vedranno tante cose—che adesso non so. So appena che dopo un lungo silenzio in pochi giorni ci mandato due contributi–punto e chiuso)
Ma vi voglio dire, appunto per dove viviamo—–i preconcetti ecc—che Donatella non è mai stata cattolica né praticante né credente, è stata prima socialista dell’area di Riccardo Lombardi, e in seguito- alla fine dei movimenti, militante comunista non solo nella scuola ma anche nei quartieri. Non è diventata “qualcuno” in politica, nella città dove risiede perché forse ha la lingua “un po’ troppo secca” rispetto ad altri che vanno avanti/fino al Parlamento.
Voglio dirvi che queste parole, ve le porge “umanamente” perché qualcosa hanno toccato in lei; e ha il raro desiderio di volerle condividere.
ciao a tutti con baci ovvi, chiara
franz Liszt —consolazione n.3
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Grazie per come hai interpretato i miei contributi, se così si possono chiamare. Ieri ho visto un bel film,” Pazza idea”, fatto da regista e attori ( molti di loro non professionisti) greci. Come molti film attuali, quelli fatti per dire qualcosa,non ha lieti fini e non vuole andare a conclusioni prestabilite: rappresenta la situazione della Grecia di oggi, senza cupezze né particolari motivi di speranza. E’ la storia di un amore fraterno di due adolescenti, molto differenti tra di loro, pur essendo fratelli. Uno è più “normale”, l’altro più sbarazzino e anche omosessuale, ma tutti e due si vogliono veramente bene, accettandosi per quello che sono e promuovendo le qualità dell’altro, avendo cura di difendersi l’un l’altro in un mondo che non è per niente ospitale. Il titolo originale greco è “Xenìa”, che in greco, spiega l’autore, vuole dire “ospitalità”, un’antica caratteristica del popolo greco ( ricordate i poemi omerici). Il titolo in italiano,” Pazza idea” si riferisce alla famosa canzone di Patty Pravo, che uno dei due fratelli considera una dea, che a volte crede di intravvedere. Il regista si chiama Panos H. Koutras, alcuni personaggi non principali sono attori molto famosi in Grecia, mentre i due protagonisti non sono attori professionisti. L’autore dice a questo proposito: ” Nel momento in cui metto in scena dei personaggi facenti parte di una minoranza sento l’obbligo morale di ricorrere a delle persone che affrontino questo problema nella loro vita reale e che possano rappresentare la loro comunità”.
“”” Il vinattiere ti versava un poco / d’ Inferno. E tu, atterrita : ‘ Devo berlo ? Non basta / esserci dentro a lento fuoco ? ‘. “”” ( in Xenia II di Eugenio Montale )
figlio mio amato, non sono certa di aver capito, ma ti dico subito che mai vorrei farti del male e dirti: “Devi berlo! Non basta essere dentro a lento fuoco”— Purtroppo tu stesso sai che è così.
Mi immagino di essere stata dentro un fuoco vorace e non per una volta sola. E, in genere, dopo, ho conosciuto “il fuoco lento” che impiega tempo a spegnersi, anni.
Perché ho bisogno di raccontare agli altri cosa ho imparato e in parte scoperto?
“Per condividere”…, se possibile”–Questa complicità-comprensione non posso trovarla in un malato mentale perché -quelli che conosco io–sono in un mondo a parte e cercano loro di “essere com-presi”, e accolti… Loro, “non possono vedermi”. Se potessero abbracciare “un altro”, sarebbero già salvi!
Sono rassegnata al fatto che tanta sofferenza mia, che è stata ed in parte è, “sarà invano”. La tentazione di metterla in comune, però, è sempre molto grande.
Bisognerebbe avere una motivazione religiosa per trovare un senso alla propria storia: “La offri al Signore, e subito prende un valore infinito”; ma per chi non è religioso a questo modo, deve cercare di trovare un significato/utilità in mezzo agli uomini–ciao, grazie. chiara
ma hai visto-avete visto, se qualcuno ha letto, come scrivo! E’ perché non ci vedo, ma non solo: da una stanchezza eccessiva, durante la quale sbagliavo ogni lettera, cioè la lettera nella mia testa, o meglio la parola, non combinava con i tasti. Con la Do avevamo progettato che le mandassi queste assurde parole e lei ne avrebbe fatto una poesia–non l’abbiamo fatto–Una volta, invece ha funzionato, ma per un motivo diverso: la notte mi alzavo e avevo una specie di verso in mente e lo scrivevo e glielo passavo. uno l’ha utilizzato come inizio di una poesia che, se non sbaglio, è piaciuta al grande Nemo. Come disturbo, oggi, mi è rimasto cge, per es. se devo scrivere la “t”, scrivo “R” che è quella a fianco—ma passerà tutto se riesco a riposarmi. Dovrei andar via qualche giorno da sola, anche in un posticino dell’entroterra qui vicino, ma ragazzi! E’ difficile–La più bella che ho sentito ieri è che, avendo detto che c’è un pensione di suore a…(qui vicinissimo), il commento del mio straordinariamente bello e marito è stato: “Ah be’, se vai dalle suore, sono più tranquillo!” Ho 70 anni, ho vissuta sola a Milano dai 19 ai 32-33…—Ma figliette, perché volete anche sposarmi o comunque mettervi insieme? Oggi mi pare che gli unici “matrimoni” che valgono è che ognuno stia a casa sua e che resista a tutto, la tema più dell’inferno–l’unione dei pavimenti!+ chiara, un po’ così—
ma hai visto-avete visto, se qualcuno ha letto, come scrivo! E’ perché non ci vedo, ma non solo: da una stanchezza eccessiva, durante la quale sbagliavo ogni lettera, cioè la lettera nella mia testa, o meglio la parola, non combinava con i tasti. Con la Do avevamo progettato che le mandassi queste assurde parole e lei ne avrebbe fatto una poesia–non l’abbiamo fatto–Una volta, invece ha funzionato, ma per un motivo diverso: la notte mi alzavo e avevo una specie di verso in mente e lo scrivevo e glielo passavo. uno l’ha utilizzato come inizio di una poesia che, se non sbaglio, è piaciuta al grande Nemo. Come disturbo, oggi, mi è rimasto cge, per es. se devo scrivere la “t”, scrivo “R” che è quella a fianco—ma passerà tutto se riesco a riposarmi. Dovrei andar via qualche giorno da sola, anche in un posticino dell’entroterra qui vicino, ma ragazzi! E’ difficile–La più bella che ho sentito ieri è che, avendo detto che c’è un pensione di suore a…(qui vicinissimo), il commento del mio straordinariamente bello e marito è stato: “Ah be’, se vai dalle suore, sono più tranquillo!” Ho 70 anni, ho vissuta sola a Milano dai 19 ai 32-33…—Ma figliette, perché volete anche sposarmi o comunque mettervi insieme? Oggi mi pare che gli unici “matrimoni” che valgono è che ognuno stia a casa sua e che resista a tutto, la tema più dell’inferno–l’unione dei pavimenti!+ chiara, un po’ così—