ore 22:47 UN ORDINE DA NEMO, SARA’ 5 MINUTI…NON SONO SICURA DI AVER LETTO I SEGNI DI FUMO TRA BORDIGHERA E SANREMO: LA SERATA E’ DI MEZZA TEMPESTA SUL MARE E DAPPERTUTTO—CI DIRA’…

 

[audio:https://www.neldeliriononeromaisola.it/wp-content/uploads/2014/06/Consolations-No.1_-by-Jorge-Bolet-Franz-Liszt-HQ-Audio1.mp3|titles=_Consolations No.1_ by Jorge Bolet (Franz Liszt) (HQ Audio)[1]]

 

Ecco l’articolo pubblicato oggi, in forma ridotta, su La Repubblica di Genova.

 

NOTA DI CHIARA: MA SARA’ QUESTO “L’OGGI” CHE VOLEVA NEMO?

 

NON CHIUDETE QUELLA PORTA—  DI ALESSANDRA BALLERINI

 

 

Maria forse è la prima.

Viene da me stringendo una folta ciocca di capelli biondi in mano. Sono i suoi. Il marito glieli ha strappati durante l’ultima lite. Lei me li mostra sofferente. Forse pensa che senza quella prova non le avrei creduto. Lei è straniera, lui è italiano. Di solito funziona così. Quando prova a lamentarsi, magari coi parenti del marito i suoi sono tutti in Ecuador) che lui è cambiato dopo il matrimonio, che è irascibile e spesso violento, semplicemente non le credono ed anzi si infastidiscono. Lei non ne può più: in Italia è sola, nessun parente pochi amici, lavora come domestica e quando arriva a casa l’aspettano botte e insulti. E’ stanca. La prima volta mi parla e basta, non vuole fare nulla, nessuna denuncia, nessuna lettera. Vuole solo che io l’ascolti.

La seconda volta vuole conoscere i suoi diritti. Vuole sapere se separandosi perderà il diritto al soggiorno in Italia. Non uole soldi da lui e neppure denunciarlo. Non vorrebbe neppure separarsi, gli vuole ancora bene. E lo giustifica: “sai, lui è depresso, prende delle medicine, magari sono quelle che gli cambiano il carattere.”

La terza volta ha dei segni sulla faccia, un livido sotto l’occhio e graffi sulle braccia. MI racconta senza lacrime, con rassegnazione, l’ennesima lite e gli insulti che a volte feriscono più degli schiaffi. Le spiego che non funziona così: io non posso essere la sua spalla, il suo sfogo per sopportare ancora un po’ le botte di lui. Io devo difenderla.

Tornerà ancora. Oggi Maria è una donna libera. Separata, con tutti i suoi capelli biondi in testa ed un viso senza lividi, quasi sorridente. Lui ha continuato per mesi a cercarla anche sul luogo di lavoro e a scriverle lettere di minaccie e di insulti. Ma poi, denuncia dopo denuncia, lui ha finalmente desisitito. Lei ha mantenuto il suo permesso di soggiorno e ha ricominciato a vivere.

 

Poi c’è Arianna. L’accompagna la sorella. La bimba resta fuori nella stanza dei giochi a colorare disegni. Parla quasi sempre la sorella. Ha paura del cognato e mi racconta di urla e botte. Arianna tenta di minimizzare. La sorella le solleva la maglia e mi mostra i lividi. Un incidente mi dice lei e riabbassa lo sguardo.

Non le rivedo per settimane. Poi tornano. Lei ha un braccio fasciato e la faccia competamente pesta. La sorella mi mostra le foto che le ha fatto quando ancora era in ospedale. Fanno male a guardarle. Lui non si è accontentato di picchiarla questa volta, voleva proprio ucciderla. “Una crisi di gelosia” mi dice Arianna quasi a giustificarlo, “ma poi si è pentito, ha chiesto scusa”.

Ho tenuto le fotografie. Quando, durante il processo, lei si faceva intenerire dalle lacrime e dalle promesse del marito gliele mostravo per ricordare ad entrambe da chi e perchè si stava separando.

 

E poi c’é Ines, scappata di casa mentre il marito era al lavoro. Una fuga studiata per bene, grazie a assistenti sociali e forze dell’ordine che l’hanno scortata, come fosse una pentita di mafia, a recuperare i suoi effetti personali da quella casa che un tempo era casa sua. Ines è stata ospitata presso delle suore per un po’ di mesi, ma il marito l’ha scovata anche lì. Allora ha cambiato città e ora ha trovato un lavoro. A Genova torna solo per il processo. Dovrà testimoniare contro il marito. Dovrà raccontare a degli sconosciuti delle violenze anche sessuali che lui le infliggeva. Dovrà ricordare ad alta voce le notti in cui si chiudeva a chiave in sala a dormire sul pavimento (lui le aveva tolto anche il divano) per non essere abusata. E dovrà rivivere quella notte in cui lui, per costringerla a condividere l’incubo del letto coniugale, ha allagato i pavimenti di tutta casa e tolto le sedie di modo che lei non avesse altra scelta che trascorrere la notte in piedi o a letto con lui.

 

E c’é Alina, fuggita da un padre violento e da una madre maltrattata, assente e depressa. Alina che a casa non può più tornare, perchè da pochi giorni è maggiorenne e se non ancora ha imparato a farsi maltrattare e a tacere in quella casa non la vogliono più e lei non sa dove dormire e rivorrebbe  i suoi vestiti e i libri di scuola e la sua vita.

E ancora c’è Anna. Costretta a mangiare per terra davanti ai figli quando il marito, particolarmente ubriaco o irritato le buttava il cibo sul pavimento urlandole “mangia cagna”. E sua figlia di quattro anni che fa disegni bellissimi e colorati, con case, mamme e bambini. Ma gli uomini li disegna capovolti.

Ho avuto la fortuna di conoscere queste donne straordinarie che un uomo può ferire, calpestare, battere ma mai piegare, nel Centro Antiviolenza di Via Mascherona dove insieme a molte altre colleghe “volontarie” e a valorose operatrici si da ascolto e si tenta di riparare torti.

In tre anni 900 donne si sono  rivolte a questo Centro  e hanno trovato ascolto senza pregiudizi,  per circa la metà di queste donne quelle ore   di ascolto hanno  cambiato la loro vita, hanno ridato a loro una vita.

Questo centro ora rischia di chiudere. Il governo ha tagliato i fondi perchè le auto blu, i voli e le escort di Stato, le poltrone in parlamento, e le misisoni di guerra camuffate da pace non si toccano, ma le donne maltrattate o abusate ed i loro figli si possono tranquillamente abbondonare al loro destino. Intanto in Italia ogni 3 giorni viene uccisa una donna ed una donna su tre ha subito violenza da parte del marito o del compagno o del padre (che non avrà il coraggio di denunciare alla forze dell’ordine nel 90% dei casi)

Vengano loro, i ministri responsabili dei tagli, a dire queste 900 “nostre” donne, guardandole negli occhi spesso pesti, a volte lucidi, che devono stare a casa a farsi ancora picchiare, abusare e umiliare, magari fino a morirne.

Noi intanto, che negli occhi quelle donne vogliamo continuare a guadarle e che quei lividi vorremmo fare sparire  cerchiamo un’alternativa: con una donazione sul

c/c 1000/860 Banca Intesa San Paolo Filiale 3948

intestato a: Gruppo Mafalda Sampierdarena Fondo Centro Antiviolenza

IBAN: IT40D0306901455100000000860

 

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

2 risposte a ore 22:47 UN ORDINE DA NEMO, SARA’ 5 MINUTI…NON SONO SICURA DI AVER LETTO I SEGNI DI FUMO TRA BORDIGHERA E SANREMO: LA SERATA E’ DI MEZZA TEMPESTA SUL MARE E DAPPERTUTTO—CI DIRA’…

  1. nemo scrive:

    Importante e drammatico il testo che hai riportato. Ma mi riferivo a un altro articolo di oggi (01 Giugno) “L’inutile fuga del podista Aroon: da Busalla a Calais per morire schiacciato da un camion e dalle leggi ” di Alessandra Ballerini, pag XIII de ‘ la Repubblica/ Il Lavoro di Genova ‘.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *