ORE 23:49 CHIARA PRIMA DI TUTTO PROMETTE CHE CAMBIA TASTO! /vedi mille art.sg!) e soprattutto va in nanna— MA QUESTI DUE GRUPPI ROCK METAL (“DETTO “ROCK DURO”) UNO EBRAICO, L’ALTRO PALESTINESE CHE CANTANO INSIEME “PER UNA PACE POSSIBILE”, —ENBE’–NONOSTANTE L’ORA—MI E’ PIACIUTO ASSAI! VORREI SENTIRLI, MA LE FORZE INSANE MI HANNO ABBANDONATO ED IO SONO PIU’ VERDE DELL’ERBA E PRONTA A MORIRE MI SENTO…CHI SARA’ MAI?

  • Corriere della Sera
  • (31 agosto 2013)

IL CASO? ORPHANED LAND E KHALAS: 18 CONCERTI IN EUROPA, A OTTOBRE TAPPA ITALIANA

«Noi israeliani e palestinesi uniti dal rock, insieme in tour»

I due gruppi metal: sfidiamo la guerra con la nostra musica Il messaggio «La pace è possibile. Ma il conflitto conviene ai politici delle due parti»

 

Hanno molto in comune: capelli lunghi, barbe folte, magliette nere. E fanno la stessa musica: metal con venature folk. Ma gli Orphaned Land, considerati fondatori dell?oriental metal con all?attivo 22 anni insieme e 7 dischi in ebraico e inglese, fanno base a Gerusalemme; i Khalas, più giovani, sono arabi e vivono ad Acri, a nord di Haifa. Le due band, israeliana e palestinese, sono in partenza per il loro primo tour insieme: 18 concerti in tutta Europa, che gireranno a bordo dello stesso pulmino, arrivando in Italia per due date a ottobre, rispettivamente il 22 a Roma e il 23 a Romagnano Sesia (Novara). «Il messaggio è semplice: siamo sul palco insieme. Suoniamo insieme. Andiamo a tempo, si spera», ride Kobi Farhi, leader degli Orphaned Land. «Il messaggio è: si può fare. Solo chi ci comanda non lo vuole. La guerra conviene a tutti i nostri politici, che basano il loro potere su sfumature, opinioni, equilibri che in pace non esisterebbero. Servirebbe un leader disinteressato come Gandhi o Mandela». In Israele gli Orphaned Land sono il gruppo metal più famoso, e hanno un discreto seguito ? censura permettendo ? anche nei Paesi arabi: «In quasi tutti, con il nostro passaporto israeliano, non possiamo esibirci ? continua Farhi ? e i nostri dischi non sono distribuiti. Ma nel nostro primo live in Turchia, pochi mesi fa, dal pubblico spuntavano bandiere iraniane, tunisine, egiziane, siriane. E naturalmente palestinesi». Viceversa i Khalas suonano spesso a Gerusalemme o a Tel Aviv, e i loro pezzi passano alla radio israeliana. Proprio lì, nel 2005, i due gruppi si sono incontrati. «Dietro le quinte, ospiti dello stesso programma. Da lì ci siamo piaciuti, non so come dire ? racconta il chitarrista e fondatore dei Khalas, Abed Hathut ?. Siamo diventati amici: i nostri figli giocano insieme, parliamo di tutto e litighiamo solo per chi paga al ristorante. Ecco quanto è facile». La «coesistenza pacifica» di musicisti israeliani e palestinesi su un palco ha un precedente autorevole: la West Eastern Divan Orchestra di Daniel Barenboim, che dal 1998 riunisce in una formazione sinfonica giovani musicisti dei due Paesi. Ma il metal è tradizionalmente un genere più aggressivo (quando non addirittura esplicitamente razzista, come alcuni gruppi di black metal). «Che vuol dire? Ci sono metallari vegetariani e band come i Black Sabbath che staccano la testa ai pipistrelli in scena», protesta Farhi. «Il nostro modello sono i Rage against the machine, antisistema come noi. Che cantiamo solo di politica, mai fatto una canzone d?amore; ma non prendiamo le parti, non sosteniamo una linea, come fece Roger Waters che suonava in Israele al grido di ?Abbattete il muro?. Io non ho mai votato nella mia vita. Credo però nella pace». Meno duri e puri sono invece i Khalas (il cui nome, comunque, significa «basta»): il loro ultimo album, in arabo, è una collezione di musiche da matrimonio, anche se «da 15 anni suoniamo insieme, e siamo sempre stati piuttosto impegnati», spiega Hathut. «Però non è che si può cantare solo dell?occupazione, come certo pubblico pretende da noi. Ci danno dei filoisraeliani tutti i santi giorni, solo perché dopo quindici anni di musica da trincea abbiamo fatto un album sentimentale. E dall?annuncio di questo tour la nostra pagina Facebook è stata assaltata. Per questo ci terrei a dire che questo tour non è un progetto politico. Al contrario, è un progetto sovrapolitico: la musica è al di sopra, si eleva. E ci eleva, facendoci scordare gli estremismi». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Soave Irene

Pagina 63
(31 agosto 2013) – Corriere della Sera

 

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