5 gennaio 2013 ore 08:27 RENZI : “FASSINA CHI?” E FASSINA SI DIMETTE DA VICEMINISTRO DELL’ECONOMIA.—DI WANDA MARRA DA “IL FATTO QUOTIDIANO”

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“FASSINA CHI?” RENZI INGUAIA LETTA CON UNA BATTUTA (Wanda Marra)

WANDA MARRA DE “IL FATTO QUOTIDIANO”

 

5 gennaio 2014

 

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Dopo la segreteria pd a Firenze, il sindaco fa saltare la prima poltrona del governo. E sulla legge elettorale promette: “Chiudiamo in sette giorni”

Fassina? Chi?”. A chi gli chiede cosa pensi del rimpasto in conferenza stampa, facendo riferimento alla richiesta del vice dell’Economia di nuovi ministri più adatti a rappresentare il nuovo Pd, Matteo Renzi risponde così. Una battuta che dura mezzo secondo e un’ora e mezza dopo non c’è più un viceministro, ma un ex. Fassina presenta le sue “dimissioni irrevocabili”: “Le parole di Renzi su di me confermano le mie valutazioni politiche”.

La prima segreteria democratica del 2014 convocata a Firenze in trasferta, a palazzo Ruspoli, nella sede che ha ospitato il comitato primarie, produce un effetto bomba. Le eventuali reazioni a catena sul governo, come sul partito, andranno valutate nei prossimi giorni. Ma di certo la potenza delle parole del neosegretario è tangibile. La versione ufficiale renziana, affidata al portavoce della segreteria Lorenzo Guerini, è gelida: “Non c’è davvero motivo di fare polemiche, ma di lavorare. Dispiace che il viceministro esprima in questo modo il suo disagio”. Forse non era nelle intenzioni di Renzi spingere Fassina verso l’uscita, ma a questo punto, come dire, “si accomodi”. Tanto è vero che in mezzo al caos provocato dalle dimissioni il sindaco twitta soddisfazione per la riunione democrat e non fa cenno all’ex membro dell’esecutivo.

I due d’altronde non si sono mai potuti vedere. E i problemi del governo non dispiacciono ai renziani. Palazzo Chigi, intanto, minimizza sulle ricadute, anche se il premier si dice preoccupato per l’unità del partito e in questa prospettiva per il sostegno all’esecutivo. Per quanto il Pd non renziano sembri totalmente azzerato, Fassina ha aperto una falla. L’ennesima gatta da pelare per Letta.

La riunione della segreteria inizia alle 11, finisce alle 4 e mezzo. Un quarto d’ora per il pranzo con panini presi da Eataly (“Pranzo autofinanziato, 17 euro a testa e Lotti ci ha messo una ricarica di 2 euro”, spiega il segretario). Nessuno spiffero, nessuno pronto a lasciar trapelare notizie. Subito prima della fine esce la responsabile Lavoro, Marianna Madia, e chiarisce che si è parlato molto del Job act, ma a un progetto strutturato non si è arrivati. É lo stesso Renzi a fare una sintesi finale della riunione. Sulla legge elettorale “si può chiudere in 7 giorni”. E “si sono fatti più passi avanti in tre giorni che in tre anni”.

Non si fa stringere nell’angolo il sindaco, non risponde a chi gli chiede quale sia il suo sistema preferito (ne ha indicati tre), costringe gli altri a scoprirsi. La trattativa con B. lo imbarazza? “Non c’è nessuna trattativa, Fi dovrà esprimere la sua posizione”. Come tutti gli altri partiti: Renzi chiarisce che la prossima settimana ci saranno una serie di incontri bilaterali in cui ognuno dovrà dire la sua. Ma a dettare legge è il suo Pd. Non le manda a dire. “Penso che ogni appello a Grillo sia ormai sostanzialmente inutile, mentre non lo è ai suoi parlamentari”. E soprattutto ad Alfano: “Non usi le unioni civili come arma di distrazione di massa per non fare la legge elettorale”. E se poi queste sono l’unica cosa che al Ncd non va giù “c’è andata di lusso”. Renzi ha messo sul tappeto due temi di sinistra (unioni civili e abolizione della Bossi–Fini): un modo per alzare la posta e per rendere sempre più difficile la coabitazione di governo, ma anche un elemento eventuale di dialogo (o di scambio).

Ne ha pure per Letta, il sindaco: l’abbassamento dello spread? “È merito di Draghi”. Sul lavoro, non c’è verso di cavargli una parola di bocca: rimanda tutto alla direzione del 16, dove presenterà una proposta alla quale ognuno potrà dare il suo contributo. L’operazione è evidentemente laboriosa come dicono le mezze risposte dei membri della segreteria: tra annunciare una rivoluzione e farla, il passo non è breve. E soprattutto bisognerà vedere se ci sarà il contratto unico, con assunzione senza articolo 18 per i primi tre anni.

Altra prossima gatta da pelare: i conti del Pd. Renzi annuncia trasparenza e rimanda al tesoriere Bonifazi, il quale si lascia scappare solo qualche sospiro. È noto che il Pd naviga in cattive acque. Non a caso il neosegretario non ha rinunciato alla rata dei rimborsi elettorali: può darsi non se lo possa permettere, a rischio la cassa integrazione per i dipendenti. I tagli però sono certi. Come il fatto che le segreterie-rito del Nazareno sono finite: “Andremo in altre città, a partire dai capoluoghi di provincia in cui si vota”, annuncia il segretario. A metà della conferenza stampa, si sente un tonfo: è il simbolo del Pd che cade. “Ecco, adesso lo rimettiamo dov’era”.

Nella stanza accanto, quella dove effettivamente si è riunita la segreteria, sul muro campeggia lo slogan della campagna elettorale “Matteo Renzi. Cambia verso”. Mentre il segretario se ne va in bicicletta, Fassina scrive la sua lettera di dimissioni.

 

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