Il premio De André:
talenti e qualche scivolone
- 6 dicembre 2013
Al pari dell’analoga – e più nota – rassegna intitolata a Luigi Tenco, la fase finale del Premio Fabrizio De André, in programma il 6 e 7 dicembre all’Auditorium SGM di Roma, può rivelarsi un’occasione attendibile per fare il punto sullo stato di salute della musica d’autore italiana, che i talent show e qualche discutibile contaminazione con il rap non sono ancora riusciti a uccidere. La notizia è che gli organizzatori hanno saputo pescare bene, dimostrando che c’è vita al di là delle cover e della musica creata al computer: tra i giovani che si esibiranno, oltre a Eugenio Finardi, premiato per la carriera, e a Peppe Barra, premiato per la reinterpretazione dell’opera di De André, non mancano i talenti da incoraggiare. Al netto di inevitabili scivoloni (il più diffuso è l’ansia di marcare la propria estraneità al mainstream, che può generare testi ipertrofici, tendenti alla supercazzola), il livello generale è più che decoroso, sicuramente superiore a quelli di altre passerelle di voci nuove, amplificate da eurovisioni e televoti.
Il più attrezzato per emergere ci sembra Marco Greco, l’anello mancante tra Rino Gaetano e i Bon Iver, bravissimo a rendere in modo personale, ironico e sufficientemente originale il tema della curiosità maschile nei confronti dell’eterno femminino. Di grande impatto anche la proposta di Maldestro, cantastorie dalla voce graffiante: un operaio padre di famiglia (un tempo, senza preoccuparci che i moderati storcessero il naso, avremmo potuto definirlo un proletario) perde il lavoro nell’indifferenza delle istituzioni e di una società di individualisti. Il rischio di scadere nel comizio è evitato grazie a un testo sintetico, efficace, che va dritto al sodo si imprime subito nella memoria (“sono un operaio sopra il tetto del Comune / e tutti i dirigenti stanno giù in riunione”).
Stesso discorso per Sabba e gli Incommensurabili, che presentano un brano trascinante su come, alle nostre scassate latitudini, la velleità di cambiare le cose, manifestata con proclami altisonanti e attacchi generalizzati ai potenti di turno, venga meno non appena si sperimentino i privilegi del potere (“avevo qualche grillo per la testa, ma è morto già”). Da seguire anche Alessio Bondì, sorprendente folksinger che fonde senza intermediazioni la tradizione melodica siciliana con il folk angloamericano; le atmosfere raffinate e sospese e gli arrangiamenti delicati dei Secondo Appartamento e, tra le cantautrici, Alice Clarini, che ricorda un po’ la Paola Turci degli esordi.