17 dicembre 2013 ore 04:37 IL SOLE 24 ORE DI LUNEDI’ 16 DICEMBRE: PRIME VALUTAZIONE DELL’APPLICAZIONE DEL NUOVO ARTICOLO 18: SEMPRE MENO I CASI DI REINTEGRAZIONE—-

 

LAVORO
Il Sole-24 Ore del lunedi – 2013-12-16 – Pag. 41

Recesso dal rapporto. Il punto sulle prime ordinanze emesse dopo la legge 92/2012: emerge l’opzione per importi elevati

Sempre meno casi di «reintegra»

Aumentano i licenziamenti ritenuti illegittimi in cui il giudice dispone il risarcimento

 

A CURA DI
Aldo Bottini
Franco Toffoletto

 

È ancora presto per dire se l’introduzione del nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori abbia determinato una rivoluzione nella disciplina dei licenziamenti: di certo, le innovazioni sono molteplici e alcune sicuramente rilevanti. Avere un’idea di che cosa sta avvenendo nei tribunali può essere interessante, soprattutto guardando all’inedita articolazione delle sanzioni per il licenziamento illegittimo.
Da una prima analisi della prassi applicativa – e, in particolare, delle pronunce di accoglimento in cui il giudice, in base alle valutazioni che la norma gli consente, avrebbe potuto disporre la reintegrazione o il solo risarcimento (in base all’articolo 18 della legge 300/1970, commi da 4 a 7) – emerge un crescente incremento dei rimedi risarcitori: volendo azzardare una stima, i risarcimenti senza reintegrazione sembrano attestarsi intorno a un terzo delle sentenze che dichiarano l’illegittimità del licenziamento.
: questo vale sia nel caso in cui sia disposta la reintegrazione (eccettuate le ipotesi previste dal primo comma della norma), sia nel caso di tutela obbligatoria. Uno dei problemi principali posti dalla vecchia disciplina, riguardava infatti l’entità assunta dal risarcimento all’esito del giudizio. La mancanza di un limite massimo, e i tempi talvolta molto lunghi del processo, portavano spesso a cifre lamentate dalle imprese come insostenibili, considerando anche che il risarcimento si aggiungeva all’onere derivante dal ripristino del rapporto di lavoro.
È interessante soffermarsi anche sul quantum del risarcimento in assenza di reintegrazione: e, dunque, sui criteri seguiti dai giudici nelle determinazioni. La norma impone al giudice di tenere conto – oltre che dell’anzianità del lavoratore – anche del numero dei dipendenti, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti (articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, comma 5). A questo si aggiungono, ma solo riguardo al giustificato motivo oggettivo, anche le iniziative assunte dal lavoratore per cercare una nuova occupazione e il comportamento tenuto in fase di conciliazione preventiva.
Nei casi di condanna al solo risarcimento per difetto del requisito di motivazione o per violazioni formali o procedurali (articolo 18, comma 6), il giudice dovrà determinare il quantum guardando solo alla gravità della violazione commessa dal datore di lavoro. La questione è centrale: è infatti frequente che, nell’applicazione del comma 6, al fine della determinazione degli importi – siano considerati anche l’anzianità del lavoratore, la dimensione aziendale o altri elementi, estranei alla previsione normativa.
Sulla misura dei risarcimenti, la prassi tende ad attestarsi su una fascia abbastanza alta. Nel caso di applicazione del comma 6 – che prevede un risarcimento da 6 a 12 mensilità – spesso ne vengono riconosciute tra 8 e 12. Applicando il comma 5, invece, per cui il giudice può spaziare tra 12 e 24 mensilità – frequentemente si rimane tra 14 e 18 mensilità.

Le prime pronunce
Una guardia giurata, addetta all’antitaccheggio in un negozio, è licenziata per giusta causa per non aver seguito le procedure di contestazione di un presunto furto a un cliente, accusandolo platealmente e trattenendolo presso il punto vendita. Il giudice, in base alle prove, ritiene il fatto sussistente, ma non grave come descritto nella contestazione. Ritiene che il licenziamento sia sproporzionato e, applicando il comma 5 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, condanna
il datore a pagare 12 mensilità come risarcimento.
Tribunale di Voghera, ordinanza del 18 marzo 2013
Alcune ordinanze che hanno disposto il risarcimento economico del lavoratore in caso di licenziamento ritenuto illegittimo
LA GUARDIA TROPPO SEVERA
Un addetto allo sportello sottrae una somma di modica entità dalla cassa ed è licenziato per giusta causa. Il giudice ritiene il fatto accertato, ma valuta anche il comportamento successivo del ricorrente, che la mattina dopo il fatto aveva provveduto a ripianare l’ammanco, giustificandolo con un’imprevista necessità di denaro contante non procurabile diversamente. Pertanto, applica il comma 5 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura di 18 mensilità.
Tribunale di Milano, ordinanza del 29 luglio 2013
IL FURTO «TEMPORANEO»
Un lavoratore è licenziato per cessazione dell’appalto al quale era assegnato. La società fornisce la prova della cessazione ma non dell’impossibilità di adibire il lavoratore ad appalti diversi: poco dopo, peraltro, ha assunto un dipendente per mansioni attribuibili anche al ricorrente.
Per il giudice, c’è «insussistenza del giustificato motivo» (violazione dell’obbligo di repechage), ma non «manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento».
Il rapporto è dichiarato risolto e il datore è condannato a pagare
14 mensilità di risarcimento.
Tribunale di Milano, ordinanza del 24 luglio 2013
L’APPALTO CESSATO
Un dipendente, responsabile di una unità operativa, senza alcuna autorizzazione, partiva per le missioni un giorno prima del necessario, facendo una tappa intermedia, e ricevendo l’indennità di missione. Il giudice ritiene i fatti accertati ma rileva la tardività della contestazione da parte del datore di lavoro. Applica quindi il comma 6 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: dichiara risolto il rapporto di lavoro e riconosce un risarcimento al lavoratore nella misura di
9 mensilità.
Tribunale di Trieste, ordinanza del 17 luglio 2013
LE MISSIONI ALLUNGATE
La responsabile di un ufficio paghe è licenziata per giustificato motivo oggettivo dopo l’esternalizzazione del servizio. Il giudice accerta l’effettività della soppressione della posizione lavorativa ma ritiene violato l’obbligo di repechage, a fronte dell’elencazione, da parte della lavoratrice, di una serie di posizioni in cui riteneva di poter essere ricollocata, non adeguatamente contestata dal datore. Pur negando la reintegrazione, condanna quindi l’azienda al risarcimento del danno, nella misura di 15 mensilità (articolo 18, commi 5 e 7).
Tribunale di Roma, ordinanza dell’8 agosto 2013
LA FUNZIONE SOPPRESSA
Un’azienda avvia una procedura di licenziamento collettivo, viziata sotto diversi profili formali. C’è anche un’irregolarità nella comunicazione dei criteri seguiti per individuare i lavoratori interessati, a cui il giudice attribuisce valore solo formale, non ritenendo violati, nella sostanza, i criteri imposti dalla legge al datore nella scelta dei dipendenti da licenziare (elemento che, al contrario, avrebbe imposto la reintegrazione). Condanna l’azienda al solo risarcimento del danno al lavoratore, quantificato in 18 mensilità.
Tribunale di Milano, ordinanza del 31 luglio 2013
LICENZIAMENTO COLLETTIVO

 

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