4 DICEMBRE 2013 ORE 23:52 ++++++ BARBARA SPINELLI PERCHE’ LE PRIMARIE NON BASTANO (DA REP. SABATO 30 NOVEMBRE 2013) —ARTICOLO DIFFICILE SU CUI SFORZARSI: INIZIERANNO A SCIOGLIERSI ALCUNI NODI GROSSI CHE SI SONO FORMATI NELLA NOSTRA TESTA IN QUESTO SCONTRO DI IDEE PRINCIPI DIRITTI E DI CHI, CHE VI GIRA NELL’ARIA DANDOVI LA CERTEZZA DI ESSERE SCIVOLATI IN UNA SPESSA NEBBIA IN CUI MEGLIO E’ OMETTERSI—LA SPINELLI CI FORNISCE DEGLI ARTIGIANALI GRIMALDELLI…DA ABBRACCARE, PERO’, CON ENERGIA! PRIMO RILEGGERE IL TESTO E PARLARNE CON AMICI COMPAGNI, SE VOLETE ANCHE COL VOSTRO PAPAGALLO ATTRITE SE POI LUI VI SPIEGA, CIAO E’ NOTTE NOTTE, NERA FONDA, CE L’HA TUTTE PERCHE’ IO SONO SOLA, CHIARA’

PERCHÉ LE PRIMARIE NON BASTANO
BARBARA SPINELLI
MANCANO pochi giorni alle primarie del Pd, ed ecco che nella sinistra tedesca si comincia a correre molto più rapidamente, più spavaldamente che in Italia. In gioco non è più soltanto la designazione del leader: pratica che s’è estesa in Europa, tranne nella destra italiana, senza però fermare il degrado dei partiti.
Nelle prossime settimane, i 475mila iscritti del partito socialdemocratico (Spd) voteranno sul programma di governo che i propri dirigenti hanno concordato con Angela Merkel, e il 14 dicembre emetteranno la loro sentenza: sì o no alla Grande Coalizione, sì o no alle singole politiche, sì o no a un’alleanza diversa da quella promessa in campagna elettorale. La sentenza sarà accolta se voteranno almeno 95.000 militanti (il 20% dei consultati).
Le nostre primarie sbiadiscono, di fronte a un salto di qualità che con vigore rimette al centro gli iscritti. La crisi dei partiti è riconosciuta, la loro personalizzazione è giudicata calamitosa. È sulla sostanza delle politiche che si vota, non su leader più o meno promettenti. È come se i socialdemocratici dicessero: sappiamo che c’è stato tradimento, che il piano negoziato con la Merkel non è quello che volevamo realizzare con i Verdi (giustamente Guido Rossi lo chiama piano non della Grande Coalizione ma della Grande Stagnazione.
C’è il salario minimo, ma nessun progresso sull’Europa). Ma non ci appelleremo alla Necessità — dicono i vertici Spd — non celebreremo la Stabilità come valore assoluto. Potete dire no, siamo davanti a un bivio e non a un vuoto di alternative. Nel mare della Necessità, voi iscritti avete una libertà, e una responsabilità, che per anni vi avevamo negato.
Questa libertà, l’economista Amartya Sen la chiama capacitazione, empowerment. Specie in tempi di malessere economico e democratico, occorre dare ai cittadini il senso di avere un potere, tale da influenzare la politica: «La capacitazione è una sorta di libertà: la libertà sostanziale (…) di mettere in atto più stili di vita alternativi».
La socialdemocrazia sa perfettamente i rischi: fiuta il sì della base, ma non può esserne del tutto certa. La democrazia rappresentativa che vuol salvare potrebbe guastarsi ancor più. Se ha deciso di correre pericoli così vasti è perché ben maggiore gli è apparso il pericolo della stasi, delle cerchie partitiche sempre più lontane dalla base. Il voto sulla Grande Coalizione è un atto di consapevolezza, un conosci te stesso al contempo umile e astuto: se patteggiamo con chi abbiamo avversato senza consultare la base rischiamo il tracollo, l’illegittimità democratica. Accadde nella Grande Coalizione del 2005-2009: 23% di voti in meno, subito dopo. Non si violano impunemente i patti con l’elettore.
Dunque si torna alla prima fonte di legittimità che sono gli iscritti, troppo a lungo esautorati, dando loro nuovi diritti- poteri ma anche nuova voglia di far politica, di governare. Dice Sigmar Gabriel, presidente Spd: «L’intera responsabilità è nelle mani del singolo iscritto». Il partito deve rispondere alla base di quel che fa, e viceversa. Da promettenti che erano, i capi si fanno   rispondenti.
Per questo le vicende tedesche sono così importanti per le nostre primarie. Dice Pippo Civati, pensando alla Spd: «Da noi abbiamo un partito ben diverso, che non si fa mai vivo con i suoi elettori ». Il Pd declina, mentre Grillo sale. Non basta incoronare il capo, se non si sa bene cosa farà.
Non ammettere la crisi dei partiti, e in genere della democrazia rappresentativa, è la via più sicura per svilire ambedue. Come partito hai un potere dilatato al centro, più danaroso, ma in cambio immoli la fiducia degli elettori e le periferie. Lo spiega con nitida crudezza il politologo Piero Ignazi: il partito diventa un «cartello elettorale statocentrico» — parte dello Stato, non più controparte — ma perde legittimità scansando la società (Forza senza legittimità, Laterza 12). La forza persuasiva di ricostruttori come Fabrizio Barca (il suo candidato è Civati) nasce da analisi simili.
Adottare il conosci te stesso è colmo di insidie, non ignote alla Spd. Nella democrazia rappresentativa entrano elementi di democrazia diretta, e secondo alcuni la Costituzione ne soffre. Lo sostiene il giurista Christoph Degenhart, sul giornale Handelsblatt, e non è il solo: se gli iscritti possono disfare le politiche dei propri capi e parlamentari, cade un principio nodale della Carta: quello che vieta, in Germania e Italia, il
vincolo di mandato.
Barca ricorda tuttavia i dissensi tra i padri costituenti. Per Ruggero Grieco, l’esclusione di vincoli favoriva «il sorgere del malcostume politico».
Secondo Degenhart, il referendum prefigura un mandato imperativo, assente nella Carta: la base detterebbe legge ai rappresentanti. Non solo: anche il principio del popolo sovrano verrebbe eluso (art. 1 della nostra Costituzione. In Germania l’art. 20 include il «diritto alla resistenza» se la Carta è violata). Non sarebbe il popolo a decidere, ma infime sue porzioni.
«La maggioranza vota i rappresentanti della politica, una minoranza vota sui contenuti» (Jasper von Altenbockum, Frankfurter Allgemeine 23-11).
A queste obiezioni, Gabriel replica segnalando il degrado della democrazia rappresentativa: il popolo sovrano non ha votato la Grande Coalizione (da noi non ha eletto le Larghe Intese). Consultare i militanti è forse l’unico modo per frenare la dilagante ripugnanza — in Germania si chiama Basta-Politik —per la politica e i partiti.
Incostituzionale è escludere i corpi intermedi fra popolo e Stato (o governo): la vera sovranità apparterrà a ristrette élite di tecnici o parlamentari definiti Saggi. La Carta prescrive infine partiti democratici: anche quest’ordine va rispettato. «Il referendum farà scuola in Europa », aggiunge Gabriel.
L’ascesa del M5S è frutto di un deterioramento oligarchico della rappresentanza specialmente acuto.
Accentuato da un Porcellum cui l’oligarca s’aggrappa. Immerso nella Basta-politik, Grillo esige come correttivo innesti di democrazia diretta e deliberativa. Poco chiaro resta l’orizzonte che propone, e se le ambiguità di una democrazia più referendaria siano percepite. Tutto dipende da come vengono poste le domande, nel nuovo ordinamento. Prendiamo il referendum sull’Europa, voluto o sognato da 5 Stelle. È un’uscita benefica dalla crisi della rappresentanza se i cittadini sono messi davanti a precisi propositi alternativi
(nel caso della Grosse Koalition: salario minimo per tutti a partire dal 2017; età pensionabile che scende in alcuni casi da 65 a 63 anni). Non è benefica se la scelta è fra euro o non euro: sarebbe cadere da un guaio a un altro, dall’illusione tecnocratica a quella nazionalista, i cui disastri son noti.
Ben altra prospettiva se il referendum di M5S contenesse la domanda essenziale: «Visto che l’austerità europea non ha legittimità democratica, siete favorevoli o no a un’altraEuropa,che mantenendo la moneta unica scelga come fondamento la solidarietà, gestisca insieme i debiti, abbia una Banca centrale prestatrice di ultima istanza, aumenti il bilancio comune per finanziare una collettiva ripresa ecosostenibile, si dia una vera costituzione democratica, non partecipi più supinamente a guerre esterne?».
È la linea di Tsipras in Grecia, in vista delle elezioni europee di maggio, e in Italia di Virgilio Dastoli, presidente del Consiglio italiano del Movimento europeo. Allora sì varrebbe la pena indire un referendum: non solo in Italia ma nell’Unione. Non è la strada di 5 Stelle, ma quel che resta delle sinistre potrebbe imboccarla.
Grillo a parte, solo la sinistra riconosce, quando vuole, la forza ormai illegittima dei partiti. In Italia le destre sono mute, e altrove seguono arrancando. Enorme è la sua responsabilità, se mancherà l’occasione di reinventare sia la democrazia, sia l’Europa.
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