15 ottobre 2013 ore 22:05 http://www.unimondo.org/—UNIMONDO—-“I DEBITI INGIUSTI NON SONO I NOSTRI DEBITI”—PUBBLICO IN RITARDISSIMO (motivi salute) QUESTO POST IMPORTANTE CHE AVEVO RICEVUTO DALL’avv.mg

Noi la crisi non la paghiamo

Martedì, 08 Ottobre 2013

 

Campagna Non è il nostro debito – foto http://jubileedebt.org.uk/

“Non è il nostro debito quando non siamo

stati noi a crearlo. Non è il nostro debito

quando non siamo stati consultati. Non è

il nostro debito quando i diritti fondamentali

vengono violati in nome del suo pagamento.

I debiti ingiusti non sono i nostri debiti!”

Questi slogan diffusi principalmente

dallo spagnolo Observatorio Deuda

y Globalisación, dalla britannica

Jubilee Debt Campaign e dall’irlandese

Debt and Development Coalition stanno

facendo il giro del mondo a suon di

comunicati diffusi sul web e amplificati

da tutti i social network, taggati sufacebook

twittati dai cellulari di mezzo mondo; non

mancano poi video su Youtube e foto su

Flickr individuati proprio come azioni

mirate a incentivare la campagna di contestazione.

Ed è proprio ciò che stanno cercando di creare

gli animatori dell’iniziativa, ossia il consolidamento

di una solida fascia dell’opinione pubblica mondiale che

dica di “no” al modo in cui i grandi poteri politici

ed economici hanno ideato le politiche di sviluppo.

“No” a questo tipo di globalizzazione e un “no” deciso

soprattutto alla precedenza che da anni è stata

accordata alla finanza rispetto all’economia reale,

e soprattutto alla persona, che ha relegato così i

cittadini al fondo di questa graduatoria ideale di priorità.

È la cosiddetta Settimana internazionale contro

il debito illegittimo, indetta tral’8 e il 15 ottobre, proprio mentre si riuniranno a Washington i vertici della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale per il consueto vertice annuale.

Sono infatti proprio i grandi consessi internazionali a essere

presi di mira dai movimenti di contestazione, e non solo quelli

“elitari” quale il G8-G20. Per quanto l’interfaccia del sito

web della Banca Mondiale

si sforzi di diffondere l’immagine di un Istituto vicino

alle persone e riproduca dati, ricerche e progetti di sviluppo

in corso, agli occhi di non pochi contestatori pare del tutto

fuori luogo il suo motto “Working for a World Free of Poverty”,

traducibile in “Lavorando per un mondo libero dalla povertà”.

La Banca Mondiale, come il Fondo Monetario Internazionale,

l’una impegnata nella crescita economica attraverso

il finanziamento di progetti di sviluppo e l’altro nell’erogazione

di prestiti per Paesi che presentano rilevanti deficit di bilancia

dei pagamenti, sono infatti individuati come i responsabili

di ricette per lo sviluppo e politiche di austerità che solo

in rari casi hanno raggiunto gli obiettivi di sviluppo prefigurati,

se non sul piano del bilancio finanziario. Conti a posto ma

cittadini ridotti alla fame, senza lavoro e cure sanitarie

(e in tal senso il caso della Grecia è tanto esemplificativo

quanto tragico), queste le accuse mosse alle Agenzie create

sul finire della seconda guerra mondiale nelvertice di

Bretton Woods, allorché la ricostruzione e il benessere

economico furono indicati come obiettivi da raggiungere

nell’immediato dopoguerra, attribuendo alla loro assenza

le aberrazioni del conflitto che aveva devastato il mondo intero.

Forse ci troviamo oggi in una situazione analoga, non tanto

in termini di contesto post-bellico quanto di instabilità?

La crisi economica che avvolge soprattutto i Paesi dell’emisfero

nord del mondo è stata accompagnata da ricette di austerità

e tagli al welfare dettati specialmente dal FMI che fanno dubitare dell’obiettivo ultimo dello stesso Istituto di assicurare

quella “libertà dal bisogno”, ossia un adeguato standard di vita

(incluse le opportunità economiche, di impiego,

la sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria),

teorizzato dal presidente statunitense Franklin

Delano Roosevelt nel suo Grande Disegno per il dopoguerra.

Eppure il direttore della Banca Mondiale,

Jim Yong Kim, meno di una settimana fa

ha dichiarato che la povertà estrema

(riferendosi così a quel miliardo di persone

al mondo che vivono con meno di un dollaro e 25 centesimi al giorno)

“è la questione morale centrale dei nostri tempi” e ha indicato un forte impegno dell’Organizzazione alla sua eliminazione entro il 2030.

Un impegno importante che a poco più di 2 anni

dalla scadenza degli Obiettivi di Sviluppo del

Millennio dell’ONU nel 2015 denuncia

il fallimento del suo primo obiettivo. Ma, al di là

dello scarso collegamento delle policy delle

diverse organizzazioni multilaterali, sarebbe

orse opportuno chiedersi se il fatto che questo

movimento di contestazione stia crescendo in

Europa, e la provenienza dei 3 gruppi ideatori

della campagna “it’s no tour debt” lo dimostra,

induca a una crescita di attenzione verso chi sta

ùscivolando nella povertà (per quanto ancora

non estrema) e rivendica nuove strategie globali

che tengano conto del primato della persona sulla

Realpolitik che spesso gli Stati prediligono.

Miriam Rossi

lascio il seguito se mai interessasse

a qualcuno:

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