Forse sarebbe l’ora di tagliare l’ismo (non l’istmo di Suez, quello è già stato tagliato un po’ di tempo fa)
ovvero “ Farsi i cavoli propri” by Kavol Phiore
Il suffisso “ismo” è stato liberamente e abbondantemente usato per definire movimenti culturali (cubismo, esistenzialismo ecc…) e politici (comunismo, fascismo, addirittura qualunquismo ecc…) in tutto il secolo scorso e anche prima. Non dovrebbe essere necessariamente così : chi ama la libertà non è un liberista, se mai un libertario o più semplicemente una persona libera. Chi pratica la dittatura è un dittatore, non un dittatorista, chi la auspica come sistema di governo non saprei come definirlo. Se una persona segue norme di comportamento ispirati da principi morali, perché chiamarlo moralista ?
Da un po’ di tempo il suffisso è usato in senso negativo: politicismo è fare cattiva politica o bassa politica, ideologismo non è seguire una ideologia, ma ripeterne acriticamente e dogmaticamente gli enunciati. Per non parlare del buonismo che non ha niente a vedere con la bontà, la generosità o la solidarietà. In quest’ultimo caso si tratta di contrabbandare per buoni sentimenti iniziative che non solo danneggiano chi le pratica, perché, insomma, ci rimette, ma anche chi ne dovrebbe essere il beneficiario (ma chi glielo fa fare al “buonista” di turno? Saranno tutti così coglioni?). Una variante meno comune e più raffinata del buonismo è il “pauperismo”. In un dibattito televisivo una eminente ricercatrice si diceva dispostissima a pagare la tassa sulla sua prima casa dal momento che il suo stipendio (non certo da top manager) glielo permetteva ,ma avrebbe ritenuto più equo uno sgravio per i redditi più bassi. La signora veniva liquidata dal suo oppositore (un ex-socialista ) come una “pauperista” in via di estinzione, destinata a essere spazzata dalla marea della storia (si era all’indomani della trionfale vittoria elettorale berlusconiana del 2008 e la Casa Propria , sacra all’italica famiglia , era stata dichiarata Intoccabile e mai più sarebbe stata violata da alcuna tassazione, senza riguardo del reddito del proprietario e del numero di fabbricati che possedesse oltre a quella prima casa. Come si è visto in seguito).
L’intervento della professoressa, e la replica del parlamentare, esemplificano un acceso dibattito che vede due parti antagoniste. Una parte accusa l’altra di guardare solo ai propri interessi perdendo di vista quelli della collettività. L’altra parte consiglia vivamente la prima di farsi i cavoli propri e tutti staremo meglio, che a furia di voler far bene, si rischia di far male.
Difendere i propri interessi, purché legittimi, con parole, iniziative e esprimendo un voto, non solo è legittimo, ma assolutamente naturale. Anche quando si tratta di interessi corporativi, purché sempre legittimamente acquisiti. Quando si parlava di liberalizzare le licenze dei tassisti, un mio amico tassista si diceva pienamente d’accordo che una liberalizzazione delle professioni e dei servizi sarebbe stato un bene per la collettività quanto a costi ed efficienza . Solo che lui in questo bello stato liberalizzato non si trovava quando ha dovuto mettersi a fare il tassista e la licenza l’ha pagata un sacco di soldi e una simile liberalizzazione avrebbe praticamente azzerato quello che lui, giustamente, considerava un investimento. Certo, con quella licenza ha potuto lavorare e guadagnare, ma sicuramente non per farsi un conto in Svizzera, ché ,anzi, alla banca (italiana, in questo caso) era ancora debitore perché non era ancora riuscito a estinguere il mutuo fatto per comprarsi la licenza. Non c’è dubbio che in simili casi i costi di una misura di governo vantaggiosa per la collettività non possono essere pagati dai pochi che ci rimettono. Credo che non ci sia più nessuno oggi che creda agli espropri proletari. Ma se ancora ci fossero, si dovrebbe proprio cominciare dai tassisti ? Un inciso : questo mio amico votava a sinistra e per quanto ne so ci vota ancora. Un inguaribile buonista !
Quanto agli interessi più generali, lo dice la parola stessa: sono interessi che stanno a cuore a tutti e sarebbe ora di lasciar perdere sciocche contraddizioni fra il Partito dell’Amore e quello dell’odio, fra chi rema contro (contro cosa?) e chi a favore ( ma di chi?), fra il Partito dell’Ottimismo Costruttivo e i sinistri iettatori del pessimismo a priori, fra italiani e anti-italiani. Siamo tutti italiani, viviamo qui, vorremmo continuare a viverci (quanto a emigrazione “abbiamo già dato” come si suol dire), lavoriamo qui (quando c’è lavoro), qui alleviamo i nostri figli e vorremmo che ci restassero, perciò siamo tutti per il “partito del fare”. Ma su cosa fare e come farlo le opinioni naturalmente divergono. Niente di male. Come è uso dire : “è la democrazia, honey”! Il peggior sistema politico, con esclusione di tutti gli altri, secondo la citatissima definizione di Churchill.
Esemplari ,per chiarire dove stanno i “cavoli propri”, sono le questioni legate alla sicurezza, oppure all’imposizione fiscale.
Tutti amano la sicurezza, poter circolare liberamente per le strade della propria città o starsene tranquillamente a casa, giorno o notte che sia, senza il pericolo di essere scippato, violentato o vittima di latrocinio. Fra l’altro è un tema forse più sentito fra gli strati sociali a basso reddito, perché più percepito nelle periferie delle grandi città che nei quartieri signorili, meno sofferto da chi (ma questi sono veramente pochi) può permettersi una “security” personale privata. Insomma è il classico tema trasversale, anche se tradizionalmente è “cavalcato” dalla destra. E qui cominciano a divergere le alternative per contrastare il problema. Fra chi propone ronde di cittadini e fiaccolate e chi preferirebbe che lo stato avesse i soldi (e questo ci ricollega alle seconda questione, quella delle tasse) per attrezzare meglio le forze di polizia e magari non dovesse impegnare i pochi uomini disponibili per tenere d’occhio anche le ronde dei ben intenzionati cittadini (se poi ci sono fiaccolate si dovrebbe anche disporre di un distaccamento di vigili del fuoco per prevenire eventuali incendi). C’è chi vede nell’immigrazione la causa del male e vagheggia barriere , respingimenti e decreti di espulsioni. Si può obbiettare che l’Itala è leggermente differente dalla Svizzera quanto a configurazione geografica (nonché quanto a tradizione storica) e concretamente le vagheggiate barriere sono un po’ impraticabili. Inoltre ,dicono ancora i soliti “buonisti” ( citando, però, fonti insospettabili, cioè le confederazioni padronali) c’è bisogno in Italia di importare mano d’opera per l’industria e per l’agricoltura e allora sarebbe “nell’interesse” di tutti trovare i modi di una civile convivenza con questi immigrati e le loro famiglie. Sembra, peraltro, che in l’Italia la malavita ci fosse anche prima, non solo quella grande e organizzata (quella c’è ancora, e come!) ma anche quella spicciola. Se nella cosi detta microcriminalità ci sono oggi meno italiani (ammesso che, dati statistici alla mano, sia vero) il fatto sarebbe piuttosto da attribuire al progressivo miglioramento generale del livello di vita che c’è stato in Italia dalla fine della guerra, che ha dato ad alcuni (non molti, temo) ladri di biciclette di allora la possibilità di guadagnarsi da vivere in maniera meno rischiosa . Quanto agli altri, ai figli e nipoti dei componenti delle varie “bande dell’Ortica” saranno anche loro saliti nella scala sociale diventando capetti di bassa manovalanza criminale importata. Insomma, l’Italia da paese di emigrazione è diventata plausibile meta di immigranti. Tranquilli, però. Non è detto che la cosa duri, che non si possa invertire il processo, e direi che alcuni segnali in questo senso cominciano a vedersi. Non escludo che nelle comunità rurali e nelle piccole città di provincia possano ritornare i bei tempi in cui si andava a dormire tranquillamente senza preoccuparsi di chiudere a chiave la porta di casa ( non nelle città medie e grandi, però). E la nostra meglio gioventù, partendo non solo dalla Bassa Terronia, ma anche dalla Mitica Padania, sarà in giro per il mondo a cercarsi un lavoro, e col tempo, approfittando della benigna legislazione del paese ospitante, potrà far venire i vecchi genitori che in Italia non ce la fanno più con la pensione ridotta ai minimi termini. E nelle nostre città grandi e medie torneranno a operare le bande autoctone che sapranno dire “fuori la grana !” in vernacolo e per le nostre strade rivedremo finalmente italiche puttane.
Tutto questo è opinabile, ovviamente, e discutibile. Non è il caso di farlo qui (tanto da che parte sto si dovrebbe essere capito) Ma una cosa si dovrebbe cercare di evitare, comunque. Di alimentare per motivi elettoralistici ( e in questo caso la valenza negativa del suffisso ci sta tutta) una guerra fra poveri. Tutte le guerre sono condannabili e hanno effetti tragici. Quelle fra poveri sono fra le più condannabili e gli effetti tragici sono risentiti da tutti, ricchi, poveri o ceto medio.
Ho fin qui parlato di interessi nel senso più immediato, nel senso di “ farsi i cavoli propri”. L’ho fatto intenzionalmente per evitare l’infamante accusa di ideologismo, o peggio di veteroideologismo. Insomma ho cercato di essere pragmaticamente radicato sul territorio, come si dice.
Penso, però, che i valori di eguaglianza e solidarietà (l’egalitè e la fraternitè della rivoluzione che ci ha portato nei tempi moderni) siano, con la libertà, valori di civiltà e come tali di un più ampio interesse per tutta la società. Sono valori importanti per chi ha una visione laica dello sviluppo umano. Per chi ha una fede religiosa dovrebbero essere doppiamente importanti: in questo mondo e nell’Altro.