Ne ho le scatole piene di Vittorio. Mi scuso per la franchezza, ma è così. Mi hanno fatto sapere quant’è attraente, quant’è ricco, quant’è elegante, quant’è sportivo, quanto è “su”, quanto è “in”, quanto è “vip” e persino che tipi di funghi gli piacciono. Ho visto mezza dozzina di sue immagini: frontale, profilo, con racchetta, con amico. Il gestore del posto in cui è stato a cena fuori l’ultima volta si è diffuso in ogni genere di dettagli su quanto Vittorio fosse “premuroso” nel consigliare vini e cibi alla commensale, un vero “cavaliere”. Perché mi si è accapponata la pelle? Gentil oste che ha sbavato di delizia nel riconoscere un gentiluomo, ci provi lei: stia seduto a cena con un tizio (o una tizia) che continua a dirle: “No, questo tipo di vino non va bene con il risotto di pesce”, “No, tesoro, l’altra forchetta”, “No, non credo tu debba prendere le patate arrosto come verdura, meglio le melanzane grigliate.”, “No, aspetta, non mangiare così velocemente, mastica… ecco… bravo, vedi che se vuoi…” Come si sente, oste, forse un po’ a disagio? Così non si comporta una persona gentile e rispettosa, così si comporta chi è ossessionato dal controllare gli altri.
Ne ho le scatole piene dei profili psicologici di Vittorio, dei tentativi di scusare Vittorio, di minimizzare quel che Vittorio ha fatto, di dare la colpa alla vittima di Vittorio dell’essere stata pugnalata a morte da Vittorio: “Mai all’ultima cena con l’ex!”, squittisce la sapiente di turno, dal pulpito della recita autoreferenziale che troppi incompetenti stanno dando sulla violenza di genere in Italia. Grazie per il profondissimo consiglio, peccato arrivi un po’ in ritardo e che reiteri chi deve “prevenire” la violenza (la vittima) e a chi si deve addossare la colpa dell’accaduto (alla vittima). Mai a cena con l’ex, sul serio? Non vorrà mica dire, signora, che tutti gli uomini sono potenziali aggressori, stupratori e assassini? Non starà mica criminalizzando metà del genere umano, non starà gonfiando una bolla mediatica, non starà alimentando il complotto femminista che ha svirilizzato e messo in crisi gli uomini? Perché, ad esempio, è questo che gli uomini stanno scrivendo online, da anni, a lettere maiuscole e frasi sgrammaticate, sotto ogni notizia relativa a femicidio/femminicidio. E mi permetto di ricordarle che la responsabilità della violenza è di chi la usa, non di chi ne viene investito: continuando a sostenere il contrario lei non sta difendendo le vittime, sta alimentando i pregiudizi in cui gli aggressori sguazzano e grazie a cui gli aggressori giustificano se stessi.
Ne ho le scatole piene delle opinioni su Vittorio, delle descrizioni della stanchezza di Vittorio e del “dramma” di Vittorio, delle infinite citazioni della frase di Vittorio: “Ho commesso un’oscenità”. Per cortesia, prendete il dizionario prima di scoppiare in lacrime. O-sce-ni-tà: 1 – carattere di ciò che è osceno; 2 – azione, espressione oscena. Sinonimo – indecenza. Per estensione – ciò che offende il senso estetico o il buon gusto. O-sce-no: che offende il pudore con parole, azioni o immagini riferite alla sfera sessuale; sinonimo – indecente, sconcio. Iperbolico: cosa assai brutta, che offende il buon gusto. E così, l’assassinio di una donna è semplicemente un’azione di cattivo gusto, qualcosa che puzza un po’, che disturba per inestetismo e cafonaggine. Certo, se Vittorio avesse usato un fucile di precisione con calcio in madreperla e sue iniziali in oro, invece delle mani – che rozzo! – e di un coltello – come un volgare macellaio! – l’omicidio sarebbe stato un tantino più elegante, perbacco. Ma, ahinoi, continua ad essere un omicidio, non un’oscenità.
Ne ho le scatole piene di Vittorio al centro della scena come la statua di un santo tradito dall’infame e inevitabile raptus, quando le prove (lettere, sms, ecc.) dicono chiaramente che la sua azione era premeditata e che successivamente ha provato a farla franca (gettando via il coltello, il proprio cellulare e quello della vittima). Ne ho le scatole piene di Vittorio e del raccontare Vittorio e dell’informarci su Vittorio, perché del cadavere, di lei, della donna che Vittorio ha ucciso so solo questo: Lucia Bellucci, 31 anni, lavorava in un centro estetico (o centro benessere, o qualcosa di simile, giacché i giornali non sono neppure unanimi su questo) e una sua conoscente l’ha definita “Bellezza solare che amava la vita”, definizione che, senza offesa, è una frase fatta buona per tutti gli usi. Come a dire: non so niente. Nemmeno, visto che Vittorio deve restare al centro della nostra attenzione, se Lucia giocava a tennis come Vittorio, se le piacevano gli stessi funghi che piacevano a Vittorio e per quale motivo aveva preso la decisione di lasciare quello che il suo legale definisce “una persona tranquilla” e “uomo tutt’altro che portato alla violenza”, dimostrando una volta di più che a sapere cos’è la violenza in Italia dobbiamo essere in quindici – e quattordici di noi hanno messo in piedi centri e rifugi e linee telefoniche, o fanno attivismo contro la violenza da vent’anni, ma non ci è permesso diffondere quel che abbiamo imparato, e non ci si fida di quel che sappiamo: dopotutto, siamo in assoluta maggioranza femmine e nessuna di noi è un’avvocata di grido o un’attrice di successo.
Ne ho le scatole piene di Vittorio perché dopo che la sua mano ha volontariamente messo fine a un’esistenza, la narrazione giornalistica cancella definitivamente quell’esistenza. I media non possono, non vogliono, sapere – e che noi si sappia – se Lucia amava il nuoto e che colori le piacevano e quale musica preferiva e cosa la faceva ridere e cosa la indignava: perché c’è il rischio che noi la si veda come umana, come vicina, come simile. C’è il rischio che noi si urli dal dolore da quanto Lucia ci assomigliava in questo o quello. C’è il rischio che noi si rigetti la sua fine violenta senza compromessi e si cominci a mettere in questione il sistema di oppressione, dominio e controllo che legittima gli assassini. C’è il rischio che qualcuno si faccia domande. Meglio parlare delle cravatte di Vittorio, e compilare liste di “cosa-le-donne-non-devono-fare”, è più sicuro. E’ anche inutile, complice e vomitevole, molto. Maria G. Di Rienzo