6 luglio 2013 ore 11:04 PETRARCA (Trecento), CHIARE FRESCHE E DOLCI ACQUE…dopo tante cascate (per voi, inizio) cosa volevate che mettessi?

 

LA FONTANA DI VAUCLUSE…dove pare “sicuro sicuro” che il poeta “sommo” abbia composto…voleva metterla al fondo come premio all’incauto avventuratosi fin là, ma poi, mi son detta, “e percccccccché non all’inizio?” così premi tutti?! ciao a voi tutti, esco dall’acqua “per sempre”, ch.

 

Petrarca: non volete anche voi per l’estate…

 

che Diletta non veda! E anche voi non gridate allo scandalo! l’autore del video (subito qui) ha fatto bene, primo a non dirla!, secondo a riaddatarla al nostro linguaggio! Comunque chiara rispetta le vostre tradizione e aggiunge il classico Albertazzi, riaggiustato, che già tromboneggia per una poesia che sento “aerea”, ma c’è un altro che tromboneggia ancora di piu’…se lo volete….(sotto)–L’unico, allora, che mi capisce è il vecchio Palestrina…provate (tempo e voglia, come sempre!)

 

ALBERTAZZI…SI CHIAMA GIORGIO, come il mio Giorgino…(mio e di tutte, un condomio)

 

ZUFFELLATO

 

PALESTRINA (CINQUECENTO)::…::::

 

PALESTRINA, qui un po’ più lungo e, forse, migliore…me lo direte…


Roberta Riccardi, Simonetta Bruzzone, Giovanni Vianini, Giorgio Vianini, cantano il madrigale: Chiare, Fresche e dolci acque, Pro Musica Antiqua, Milano, Giovanni Vianini direttore, www.cantoambrosiano.com

 

Chiare fresche e dolci acque
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo, ove piacque,
(con sospir mi rimembra)
a lei di fare al bel fianco colonna;
erba e fior che la gonna
leggiadra ricoverse con l’angelico seno;
aere sacro sereno
ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:
date udienza insieme
a le dolenti mie parole estreme.

S’egli è pur mio destino,
e ‘l cielo in ciò s’adopra,
ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda,
qualche grazia il meschino
corpo fra voi ricopra,
e torni l’alma al proprio albergo ignuda;
la morte fia men cruda
se questa spene porto
a quel dubbioso passo,
ché lo spirito lasso
non poria mai più riposato porto
né in più tranquilla fossa
fuggir la carne travagliata e l’ossa.

Tempo verrà ancor forse
ch’a l’usato soggiorno
torni la fera bella e mansueta,
e là ‘v’ella mi scorse
nel benedetto giorno,
volga la vista disiosa e lieta,
cercandomi; ed o pietà!
già terra infra le pietre
vedendo, Amor l’inspiri
in guisa che sospiri
sì dolcemente che mercé m’impetre,
e faccia forza al cielo
asciugandosi gli occhi col bel velo.

Da’ be’ rami scendea,
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior sovra ‘l suo grembo;
ed ella si sedea
umile in tanta gloria,
coverta già de l’amoroso nembo;
qual fior cadea sul lembo,
qual su le treccie bionde,
ch’oro forbito e perle
eran quel dì a vederle;
qual si posava in terra e qual su l’onde,
qual con un vago errore
girando perea dir: “Qui regna Amore”.

Quante volte diss’io
allor pien di spavento:
“Costei per fermo nacque in paradiso!”.
Così carco d’oblio
il divin portamento
e ‘l volto e le parole e’l dolce riso
m’aveano, e sì diviso
da l’imagine vera,
ch’i’ dicea sospirando:
“Qui come venn’io o quando?”
credendo esser in ciel, non là dov’era.
Da indi in qua mi piace
quest’erba sì ch’altrove non ò pace.

Se tu avessi ornamenti quant’ai voglia,
poresti arditamente
uscir del bosco e gir infra la gente.

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