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UNA CITTÀ n. 170 / Dicembre 2009-Gennaio 2010 2010
Articolo di Olimpia Apice, Salvatore Sannino, Valerio Valente
LA PROFESSORESSA
Olimpia, Salvatore e Valerio, giovani napoletani di Barra, ricordano la loro insegnante Carla Melazzini.
Olimpia. Avevo 13 anni, quando ho conosciuto la professoressa Carla. Frequentavo una scuola media normale e un anno non ci sono andata. Io avevo dei problemi in famiglia che tu non hai idea. L’anno che dovevo fare la terza media, non ce l’ho fatta più. Era il periodo in cui mio nonno era in ospedale e io lo assistevo, stavo tutto il giorno vicino a lui. Lei un giorno venne e mi portò cinquanta euro, aveva pure comprato un pigiama a mio nonno. Mi disse: “Non preoccuparti, comprati qualcosa da mangiare”, perché io non lavoravo e insomma non avevo niente. Lei ha fatto di tutto per farmi prendere la terza media. Di tutto.
A un certo punto si è proprio imposta: “Mettiamo qualcuno vicino al nonno, però tu devi venire a scuola, che tu sei intelligente”. Dopodiché, ci hanno iscritto, a me e Valerio, all’Aciief a Sant’Anastasia, una scuola di formazione per diventare operatori alimentari e della ristorazione. Abbiamo fatto due anni. La professoressa Carla ci veniva a prendere la mattina e ci portava fino a Sant’Anastasia. Sennò noi non andavamo. Quello che lei voleva da noi era che le dessimo soddisfazione ncopp’â studio, che facessimo come si deve.
Dopo averla conosciuta sono come rinata. Ci portava anche fuori, mangiavamo la pizza insieme; a volte veniva pure Valerio.
Ricordo che in macchina cantava le canzoni napoletane antiche, “O’ Saracino”… Le piacevano molto. Però non sapeva parlare napoletano. Infatti ne ridevamo: “Professoressa, voi nun sapete parlare napoletano e io non saccio parlare italiano, come faccimmo?”, “Non fa niente, mangiati la pizza”.
Una volta finita la scuola abbiamo continuato a sentirci e vederci, io la chiamavo per sapere come stava e lei mi invitava fuori.
M’ha aiutato anche economicamente, che io non avevo i soldi, non tenevo niente, mi portava la spesa fino a casa. M’ha fatto di tutto, ma di tutto veramente. Era ’na femmina… nun saccio, nun saccio descrivere. Quello che ha fatto lei per me non l’ha fatto neanche mia mamma. Mia mamma era malata, aveva un tumore alle corde vocali, per cui non pensava troppo a noi. La professoressa Carla m’ha fatto peggio di una mamma, ma peggio.
Io mi sentivo come una figlia. Il 17 dicembre, e poi il 23 gennaio, era sempre lei la prima che mi tefonava e mi faceva gli auguri per l’onomastico e il compleanno. Questo è stato il primo anno in cui non mi ha fatto gli auguri il 17. Lei non si scordava mai. Questa malattia non se la meritava, quando le telefonavo proprio non sopportavo che tenesse una malattia. Anche mentre era in ospedale mi aveva detto: “Adesso non ti preoccupare, ti aiuto io a trovare un lavoro, andiamo assieme…”. Poi purtroppo…
Ma l’affetto che m’ha dato… e poi i problemi suoi non ce li ha mai trasmessi a noi. C’ha sempre sorriso. C’ha fatto di tutto. E’ stata una mamma. L’ho già detto, quello che mancava era solo il sangue. E poi niente cchiù.
Salvatore. Ho conosciuto la professoressa Carla il mio primo anno di superiori. A scuola non avevo difficoltà nello studio, ma nell’approccio con gli insegnanti: molto spesso non mi sentivo capito, anche se comunque i risultati riuscivo ad ottenerli, però questa sensazione di esclusione, di non essere capito, mi pesava tanto. Non riuscivo a dare il 100% di quello che almeno credevo di poter dare.
L’incontro con la professoressa Carla è stata la svolta della mia vita. L’ho conosciuta tramite Benito, un amico. Anche lui aveva avuto delle difficoltà, anche se di tipo diverso e allora mi aveva parlato della professoressa.
Io allora frequentavo un istituto alberghiero. Io amo studiare e avevo anche dei buoni risultati, però c’è stato un periodo in cui non sono stato bene. Purtroppo quando sono tornato non hanno voluto aiutarmi, nel senso di darmi il tempo di mettermi in pari e lì sono nati i problemi. E’ stata dura. Per me la scuola non era solo un obbligo da assolvere, ma un’occasione per crescere, capire, approfondire… In quella scuola non avevo trovato nulla di tutto questo.
Grazie alla professoressa Carla ho potuto accedere all’Ofis, Offerta Formativa Integrata Sperimentale, in pratica ero sempre in una scuola superiore in cui però i metodi di studio erano completamente diversi. Lì le persone volevano solo che io capissi delle cose e che dessi il massimo. E così è stato. Tant’è che ho concluso i tre anni di Ofis e poi ho continuato in un istituto normale diplomandomi col massimo dei voti. Appena usciti i risultati, ricordo che la prima cosa che ho fatto è stato chiamare la professoressa Carla. Abbiamo trascorso una mezza giornata a casa sua, assieme, a discutere, a parlare anche delle mie scelte future, dell’università. Lei era felicissima, ma ero molto felice anch’io. Proprio per lei, perché sapevo che aver ottenuto quel risultato era molto importante per la professoressa. Credeva molto in me e aver realizzato quello che lei si aspettava è stata una grande gioia. Ho visto i suoi occhi… beh, tutto il lavoro che aveva fatto per me non era stato invano. Che poi io non è che avevo bisogno di qualcuno che mi spingesse a leggere o a studiare, avevo bisogno di qualcuno che mi desse delle sicurezze. La professoressa Carla mi dava quella tranquillità che mi permetteva di sfruttare le mie potenzialità. Mi ha insegnato a essere più libero, anche rispetto a tanti pregiudizi, a capire, a prendere nel verso giusto le cose che mi vengono dette.
Ora che non c’è più penso che anche il modo in cui ha concluso la sua vita è stata una dimostrazione di grande forza. Lei non ha mai smesso di pensare a noi. In fondo, a un certo punto, poteva anche staccare e dire: “Lasciatemi in pace, ora devo occuparmi di me”, invece l’unico discorso che si riusciva ad affrontare con la professoressa Carla eri tu, i tuoi problemi, come risolverli…
In questo momento ogni tanto, se ci penso, mi dico: “Eppure avrà avuto dei problemi anche lei”. Possibile che per tutti gli anni in cui l’ho conosciuta non mi sia mai reso conto che aveva anche lei preoccupazioni, pensieri…
Salvatore. Finite le superiori, io avevo avuto un’opportunità di lavoro importante presso un’azienda che mi aveva offerto -se vogliamo metterla in termini economici- uno stipendio base di mille e trecento euro mensili, che al giorno d’oggi insomma…
Lei mi disse: “Scegli bene, perché se desideri studiare, poi non è facile tornare indietro”. Si trattava di un lavoro che mi avrebbe impegnato molto tempo: alla fine non correvo il rischio di trovarmi a essere meno felice? In fondo io volevo studiare e allora era giusto prendessi quella strada. A quel punto ho fatto il test per l’università. Non ho più avuto dubbi. Non so se un domani avrò la possibilità di guadagnare una cifra del genere, però comunque so di aver preso la decisione giusta. Lei non ha fatto altro che farmi capire ciò che desideravo in quel momento, che era studiare. Così ho preferito mettere da parte il potenziale beneficio economico. Ho rinunciato. Ora faccio dei lavoretti, ovviamente guadagnando meno di un terzo di quello che mi era stato offerto. Però studio. In fondo voglio anche vivere.
Olimpia. A un certo punto ho fatto un anno di servizio civile dalle suore. Lei com’era fiera di questa cosa che ero “maestra” (i bambini mi chiamavano tutti così), e poi quando vedeva i bigliettini con i disegni che mi facevano, con su scritto “la maestra Olimpia è bella”, com’era contenta, ma assai!
“Oh, professoressa, mo’ capisco cosa vuol dire, che voi siete stata assai paziente con noi”, le dicevo. A me m’ha dato… tutt’e cose. M’ha dato tutto. Ci raccontavo i problemi di mio padre e mia madre e lei mi diceva: “Non ti preoccupare, pensa a te adesso”. Poi a Natale aveva sempre un regalino per me. Ma togli il regalino… io non la trattavo come una professoressa, la trattavo come una mamma. Le dicevo: “Voi siete la mamma mia, io sono la figlia vostra”, e essa rideva, era contenta. Quando c’erano le riunioni a scuola, per me non veniva mammà, per me veniva ’a professoressa.
Valerio. Anche per me.
Olimpia. E quando sentiva una cosa bella su di noi le brillavano gli occhi. Lei questo voleva, che noi fossimo bravi. Che superassimo i problemi. Mi ripeteva: “Pensa al futuro tuo”.
Mi diceva che anche se tenevo vent’anni era come se ne avessi cinquanta, che avevo già vissuto troppo nella vita mia, a perdere mia nonna, mio nonno, mia mamma, ad andare avanti e indietro per l’ospedale. Addirittura voleva farmi pigliare la patente. A me! Mi diceva: “Studia, impara che poi te la faccio prendere io”. Purtroppo non c’è stato il tempo.
Per ridere. Quando ci accompagnava a me e Valerio a Sant’Anastasia, lei quando camminava in città non bussava! Mai! Non usava mai il clacson. Ci diceva: “Non si bussa perché dà fastidio agli abitanti”, non si faceva una ragione di come si guida a Napoli: “Eh, quando andate a prendere la patente voi portate le macchine accussì”, oppure “Qui la patente ve la regalano!”, “Ma voi dovete studiare”.
Valerio. Io ho conosciuto la professoressa Carla perché stavo in mano all’assistente sociale fin da piccolo per problemi familiari. Feci dei colloqui per entrare in questo progetto Chance. Io quando andavo a scuola, per i miei problemi, in classe c’ero e non c’ero, perché dovevo pensare a lavorare, a fare tutt’altre cose.
Quell’anno stavo ripetendo la seconda media. L’assistente sociale mi aveva spiegato che c’era questa possibilità e che però solo quindici persone potevano entrare. Del progetto Chance mi ero fatto l’idea che doveva essere bello. Speriamo che mi prendono, pensavo. Poi ebbi la fortuna di entrare. Non ci credevo.
Grazie a loro ho preso la licenza media. La professoressa Carla mi ha seguito molto, ma molto molto. Lei conosceva i miei problemi: io alla mattina andavo a scuola, al pomeriggio andavo a lavorare. Tutti i giorni. All’inizio facevo il vinaio, poi ho cambiato tanti mestieri. Però la professoressa mi diceva: “Tu devi studiare, perché sei un bravo ragazzo, so che ce l’hai la voglia di studiare, so che hai anche dei problemi tuoi, però…”.
In effetti io la testa non ce l’avevo proprio. Loro però mi facevano passare tutti i problemi. Mi hanno trasmesso delle cose molto belle. Nella famiglia sfortunata che ho avuto… ecco, se non andavo al progetto Chance, la mia vita sarebbe stata diversa.
Olimpia. Se non ci stava la professoressa Carla io a scuola non ci andavo.
Valerio. A un certo punto lasciai un’altra volta la scuola. Avevo finito le medie con Chance e poi avevo iniziato a fare le scuole un po’ più superiori con il mestiere vicino, facevo l’elettricista. L’ho fatto per quattro mesi, poi non ce l’ho fatta più e andavo solo a lavorare. All’epoca facevo il macellaio e un bel giorno mi vedo arrivare la professoressa Carla! “Professoressa, come state?”, “Ma tu che stai facendo?”, “Sto lavorando”, “Ma come mai, stavi andando a scuola…”. Non era certo venuta per caso, mi era venuta a trovare, lei sapeva ogni mio passo, ci sentivamo, ci vedevamo, mi ha sempre seguito.
Quindi venne sul lavoro per propormi la scuola dell’Aciief, la ristorazione.
Olimpia. Valerio e io ci andavamo assieme.
Valerio. Abitiamo più o meno nello stesso posto e la professoressa ci accompagnava al mattino e ci veniva a prendere… ma lei non c’entrava con quella scuola.
Olimpia. Lei era come la mamma.
Valerio. Quando avevo i problemi me li faceva passare, mi faceva stare calmo. Io stavo sempre nervoso in una maniera… con la professoressa Carla mi sono calmato.
Olimpia. Io le dicevo: “Ma voi non pensate ai vostri figli”, e lei mi rispondeva “Loro sono grandi e hanno avuto. Ora avete bisogno voi”.
Lei poi capiva subito quando stavi male. Diceva: “Vieni qui, ti devo dire una cosa”, “Ho fatto qualcosa?”, “Non ti preoccupare, hai qualche problema a casa?”, “No”, “Perché a scuola mi hanno detto che stavi nervosa”… Ci teneva d’occhio a distanza.
Valerio. Era in gamba.
Salvatore. Parlava poco, ma quel poco che diceva era efficace. Lei ci osservava più che altro. Più che parlarci continuamente era un continuo osservarci. Per essere poi preparata al momento giusto. Con lei non c’era bisogno di rispiegare tutto.
Olimpia. Lei ci capiva. Bastava guardarci negli occhi.
Valerio. Lei già sapeva se avevamo un problema. Sapeva quando stavamo calmi, quando stavamo eccitati.
Noi poi ci tenevamo a darle soddisfazione. Infatti a scuola, quando eravamo agitati, ci minacciavano: “Mo’ chiamiamo la professoressa Carla” e così ci mettevano paura. Non volevamo darle un dispiacere.
Salvatore. Un’altra cosa importante è che lei cercava di far sì che fossimo tutti uguali. Nelle classi c’erano persone che sul piano delle possibilità economiche erano molto diverse e lei faceva in modo che non ci fossero differenze. Se uno voleva uscire a comprare un panino, lei interveniva subito: “Ma non andarlo a comprare, domani li porto io”. E li portava per tutti!
Olimpia. Ricordo un altro episodio. In quel periodo avevo mia sorella che stava a Verona, e lei sapeva che era un anno che non la vedevo. Così un giorno venne a casa: “Prepara la valigia che andiamo a Verona”, “Professore’, a Verona, e quando mai!?!”. E invece andammo a Verona, io e lei. Ho pure le foto. Ce le siamo fatte anche in treno. Lei sapeva pure dov’era la casa di mia sorella. Ero così contenta. Purtroppo subito mi chiamarono a Napoli perché a mia mamma avevano diagnosticato il tumore. Lei, tanto che si dispiaceva, tanto che si dispiaceva… “Ma succede sempre a te”, diceva. Alla fine mia mamma è mancata otto mesi fa.
A Natale portava il panettone e la bottiglia. E quando volevamo ricambiare: “Non voglio niente, voglio che mi diate soddisfazione”. Il regalo era farla contenta. E lei era contenta del nostro bene.
Valerio. A me mi faceva pure scrivere alla sorella Giovanna, che vive in Giappone. Com’era nata la corrispondenza? Lei un giorno aveva parlato del Giappone e io le dissi che mi attirava quel paese, che mi sarebbe piaciuto andarci. La professoressa lo sapeva: a me sarebbe piaciuto stare fuori Napoli, al nord, non qui. Così mi parlò della sorella. E io le dissi: “Le voglio scrivere” e così ci scrivevamo. Poi la conobbi pure. Ci mandavamo le lettere. Quando andavo a casa sua, la professoressa mi faceva telefonare in Giappone. Addirittura! Dei bei momenti.
Pippo Fava
Roberto Ruffilli
Padre Camillo De Piaz
Michele Ranchetti
Matoub Lounes
Margherita Frisina