4 GIUGNO 2013 ORE 07:09 noiseFromAmerika : FAVOLE & NUMERI DI ALBERTO BISIN—-UNA MINI MAPPA TUTTA FA LEGGERE!

chiara: ho già parlato di questo libro presentando il blog e l’autore, ieri, qui:
3 giugno 2013 ore 10:55 RICEVO DA POLSER…

Favole & Numeri: una mini mappa

1 giugno 2013 • alberto bisin

Ho appena finito di scrivere un libro, che sarà pubblicato da Egea-Università Bocconi. Il libro è composto come un lamento riguardo alle favole che si raccontano e ai numeri che si danno nel dibattito economico italiano. Questo post è un aperitivo per i lettori di nFA: una mini mappa delle favole e dei numeri che sono discussi nel libro.

Favole (che si raccontano a chi ci vuol credere, senza sostegno alcuno nei modelli della teoria economica).

  1. Le scuole economiche. L’economia è una disciplina semi-umanistica. In quanto tale deve essere costituita da scuole che dibattono ideologicamente su tutto ed il contrario di tutto. [Cap. 1; specialmente 1.1.2]
  2. La moneta filosofale. Ad ogni problema economico reale vi è una soluzione monetaria (tipicamente indolore): a) stampare moneta per ripagare un eccessivo debito sovrano. [Cap. 1.2 dove si discute della “favola della Modern Monetary Theory”; Cap. 4.1.3]; b) svalutare per guadagnare competitività in situazione di scarsa produttività. [Cap. 4.1.3]; c) Chiamare la Banca Centrale Europea, per qualunque problema, che garantisca, annunci, prometta, compri titoli o faccia altre diavolerie. [Cap. 4.1.4].
  3. Il Dio mercato. Gli economisti (di scuola anglosassone; vedi favola 1) sono liberisti e credono al Dio mercato che se lasciato libero di intervenire ex-machina porterebbe efficienza e felicità al mondo intero sempre e comunque. [Cap. 2; specialmente 2.1]
  4. Il re Mida. I prezzi delle cose non ne rappresentano il loro “valore vero”. [Cap. 2.1.1]
  5. L’acqua. L’acqua è un bene pubblico e quindi deve essere distribuita gratuitamente. [Cap. 2.1.1]
  6. L’economia di carta. L’economia reale manifatturiera e l’economia finanziaria “di carta” sono in continuo contrasto; la prima  crea ricchezza, mentre la seconda tende a distruggerla. [Cap. 3; specialmente 3.1]
  7. I derivati strumenti del diavolo. I derivati sono strumenti finanziari nati per ingannare il popolo. Sono in realtà così complessi che buona parte degli operatori sui mercati finanziari non li comprendevano. [Cap. 3.2.3; ma anche 3.3.2]
  8. Le banche e la fine del mondo. Le banche non possono mai fallire, devono essere salvate a tutti i costi dal governo, a meno di catastrofi planetarie in grado di rovinare ogni abitante del pianeta. [Cap. 3.3]
  9. Le banche buone e filantropiche. Le Fondazioni bancarie che controllano le banche in Italia garantiscono affinché queste ultime operino con il bene sociale e non il profitto come obiettivo. [Cap. 3.4]
  10. La crisi del capitalismo e il sottoconsumo. Il sistema economico mondiale diventa sempre più produttivo, ma al contempo i lavoratori sono sempre più poveri e i ricchi, invece di consumare loro stessi,  costringono i lavoratori a consumare a credito  (vedi favola 5). [Cap. 4.1.1]
  11. L’arbitrarietà cattiva degli speculatori. Gli speculatori fanno crollare aziende e stati sovrani a piacimento, arbitrariamente, senza nessuna ragione economica, soltanto perché possono. [Cap. 4.1.2; ma anche 4.1.1 quando si cita l’Appello degli Economisti del 2006]
  12. La spesa contro l’austerità. Alle crisi di indebitamento pubblico si risponde: a) con spesa pubblica, per evitare l’austerità: il riaggiustamento fiscale dopo, in fase di crescita, che verrà, certo che verrà.  [Cap. 4.1.5]; b) Tenendosi ben stretto il capitale del settore pubblico, per evitare di svenderlo: venderlo dopo,  in fase di crescita, quando i prezzi di mercato saliranno, che saliranno, certo che saliranno; oppure far finta di venderlo alla Cassa Depositi e Prestiti che sta lì per questo. .  [Cap. 4.1.5]; c) Non ricapitalizzando le banche che non prestano ad aziende ed imprese, per evitare che gli azionisti siano diluiti: le ricapitalizzazioni dopo,  in fase di crescita, quando i prezzi di mercato saliranno, che saliranno, certo che saliranno. [Cap. 4.2.1]
  13. Il modello superfisso. Qualunque intervento di politica economica ha esclusivamente effetti redistributivi, null’altro si aggiusta nel sistema economico, né prezzi né quantità. [Cap. 5; specialmente nella sua versione “favola della lotta di classe” nel Cap. 5.1.1 e “lotta al precariato” nel Cap. 5.1.2 e 5.1.3]
  14. L’Articolo 18. Basterebbe eliminare l’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per far risorgere il paese economicamente. [Cap. 5.2]

Numeri (che si danno a chi ci vuol credere, senza sostegno alcuno nei dati economici)

  1. Le previsioni degli economisti. L’economia come disciplina è fatta per produrre previsioni; e non ne becca una. [Cap. 1.1.1; ma anche Cap. 3.2.4 sulla bolla immobiliare].
  2. Gli anni di liberismo. Gli ultimi X anni (sostituire ad X un numero a caso, tendenzialmente grande) di liberismo hanno rovinato il paese. [Cap. 1.3]
  3. La globalizzazione. La globalizzazione ci rende tutti più poveri, ma soprattutto affama i popoli della terra già poveri.  [Cap. 1.3]
  4. L’università italiana. L’università italiana produce tanta e buona ricerca; meglio della Svizzera ad esempio. [Cap. 1.3]
  5. Il settore finanziario Usa.  Il settore finanziario è ovviamente eccessivamente sviluppato rispetto al manifatturiero o agli altri servizi. [Cap. 3.1.1]
  6. La concorrenza del mercato bancario Usa. Le banche negli Stati Uniti operano in un sistema concorrenziale e trasparente. [Cap. 3.2.1 e 3.2.6]
  7. Gli stipendi dei manager Usa.  Gli stipendi dei manager, specie quelli della finanza sono eccessivi e soprattutto frutto di rendite. [Cap. 3.2.2]
  8. Il settore pubblico e la crisi Usa. La crisi è stata opera delle operazioni del sistema finanziario privato; il settore pubblico è intervenuto per coprire le falle. [Cap. 3.2.5].
  9. Il salvataggio delle banche Usa. Il contribuente americano non ha perso nulla nell’immenso salvataggio delle banche operato dal governo a partire dal 2008. [Cap. 3.3]
  10. La patrimonializzione delle banche. Non vi è nessun bisogno di richiedere una maggiore patrimonializzazione del sistema bancario – a ciò hanno già provveduto i vari organismi internazionali competenti (Basilea III). [Cap. 3.3.3]
  11. La solidità delle banche italiane. Le banche italiane non hanno finanziato alcuna bolla immobiliare e sono solide e sicure. [Cap. 3.4]
  12. La speculazione. La speculazione finanziaria ha attaccato e fatto cadere l’ultimo governo Berlusconi nel 2011 e ha messo in ginocchio l’Italia nell’estate del 2012. [Cap. 4.1.2]
  13. I guadagni dell’Euro. I guadagni che l’Italia avrebbe ottenuto in termini di minori tassi di interesse in seguito all’entrata nell’Euro sono stati minimi o inesistenti. [Cap. 4.1.3].
  14. Il dumping salariale tedesco. L’avanzo di bilancia dei pagamenti della Germania (la crescita delle sue  esportazioni) è dovuta alla sua politica di mantenere bassi salari (o quantomeno bassi rispetto alla produttività). [Cap. 4.1.3]
  15. L’Argentina. Il successo economico dell’Argentina dopo il default è un buon esempio del fatto che uscire dall’Euro e svalutare sarebbe cosa buona per l’Italia. [Cap. 4.1.3]
  16. Il ciclo. L’Italia è oggi in una fase bassa del ciclo economico (non in una lunga fase di stagnazione). [Cap. 4.1.5]
  17. Il lavoro. Vietare contratti a tempo determinato, impedire licenziamenti per ragioni economiche, imporre simili condizioni salariali a fronte di differenze di produttività non ha effetti sull’occupazione e/o sui salari.  [Cap. 5.1]
  18. Il lavoro Usa. La legislazione sul lavoro negli Stati Uniti è arretrata rispetto a quella Europea e quindi i lavoratori sono in condizioni di grave dipendenza  e di costante precariato. [Cap. 5.1.3]
  19. Il costo del lavoro. Il costo del lavoro in Italia è elevato soprattutto a causa dei vincoli sindacali (e non di tasse e bassa produttività totale dei fattori). [Cap. 5.2]
  20. Tasse e spesa pubblica. Non vi è spazio in Italia per abbassare le tasse e tagliare la spesa pubblica senza distruggere il sistema di protezioni e di servizi pubblici che il paese offre. [5.3.1 e 5.3.2]

Favole & Numeri: una mini mappa

1 giugno 2013 • alberto bisin

Ho appena finito di scrivere un libro, che sarà pubblicato da Egea-Università Bocconi. Il libro è composto come un lamento riguardo alle favole che si raccontano e ai numeri che si danno nel dibattito economico italiano. Questo post è un aperitivo per i lettori di nFA: una mini mappa delle favole e dei numeri che sono discussi nel libro.

Favole (che si raccontano a chi ci vuol credere, senza sostegno alcuno nei modelli della teoria economica).

  1. Le scuole economiche. L’economia è una disciplina semi-umanistica. In quanto tale deve essere costituita da scuole che dibattono ideologicamente su tutto ed il contrario di tutto. [Cap. 1; specialmente 1.1.2]
  2. La moneta filosofale. Ad ogni problema economico reale vi è una soluzione monetaria (tipicamente indolore): a) stampare moneta per ripagare un eccessivo debito sovrano. [Cap. 1.2 dove si discute della “favola della Modern Monetary Theory”; Cap. 4.1.3]; b) svalutare per guadagnare competitività in situazione di scarsa produttività. [Cap. 4.1.3]; c) Chiamare la Banca Centrale Europea, per qualunque problema, che garantisca, annunci, prometta, compri titoli o faccia altre diavolerie. [Cap. 4.1.4].
  3. Il Dio mercato. Gli economisti (di scuola anglosassone; vedi favola 1) sono liberisti e credono al Dio mercato che se lasciato libero di intervenire ex-machina porterebbe efficienza e felicità al mondo intero sempre e comunque. [Cap. 2; specialmente 2.1]
  4. Il re Mida. I prezzi delle cose non ne rappresentano il loro “valore vero”. [Cap. 2.1.1]
  5. L’acqua. L’acqua è un bene pubblico e quindi deve essere distribuita gratuitamente. [Cap. 2.1.1]
  6. L’economia di carta. L’economia reale manifatturiera e l’economia finanziaria “di carta” sono in continuo contrasto; la prima  crea ricchezza, mentre la seconda tende a distruggerla. [Cap. 3; specialmente 3.1]
  7. I derivati strumenti del diavolo. I derivati sono strumenti finanziari nati per ingannare il popolo. Sono in realtà così complessi che buona parte degli operatori sui mercati finanziari non li comprendevano. [Cap. 3.2.3; ma anche 3.3.2]
  8. Le banche e la fine del mondo. Le banche non possono mai fallire, devono essere salvate a tutti i costi dal governo, a meno di catastrofi planetarie in grado di rovinare ogni abitante del pianeta. [Cap. 3.3]
  9. Le banche buone e filantropiche. Le Fondazioni bancarie che controllano le banche in Italia garantiscono affinché queste ultime operino con il bene sociale e non il profitto come obiettivo. [Cap. 3.4]
  10. La crisi del capitalismo e il sottoconsumo. Il sistema economico mondiale diventa sempre più produttivo, ma al contempo i lavoratori sono sempre più poveri e i ricchi, invece di consumare loro stessi,  costringono i lavoratori a consumare a credito  (vedi favola 5). [Cap. 4.1.1]
  11. L’arbitrarietà cattiva degli speculatori. Gli speculatori fanno crollare aziende e stati sovrani a piacimento, arbitrariamente, senza nessuna ragione economica, soltanto perché possono. [Cap. 4.1.2; ma anche 4.1.1 quando si cita l’Appello degli Economisti del 2006]
  12. La spesa contro l’austerità. Alle crisi di indebitamento pubblico si risponde: a) con spesa pubblica, per evitare l’austerità: il riaggiustamento fiscale dopo, in fase di crescita, che verrà, certo che verrà.  [Cap. 4.1.5]; b) Tenendosi ben stretto il capitale del settore pubblico, per evitare di svenderlo: venderlo dopo,  in fase di crescita, quando i prezzi di mercato saliranno, che saliranno, certo che saliranno; oppure far finta di venderlo alla Cassa Depositi e Prestiti che sta lì per questo. .  [Cap. 4.1.5]; c) Non ricapitalizzando le banche che non prestano ad aziende ed imprese, per evitare che gli azionisti siano diluiti: le ricapitalizzazioni dopo,  in fase di crescita, quando i prezzi di mercato saliranno, che saliranno, certo che saliranno. [Cap. 4.2.1]
  13. Il modello superfisso. Qualunque intervento di politica economica ha esclusivamente effetti redistributivi, null’altro si aggiusta nel sistema economico, né prezzi né quantità. [Cap. 5; specialmente nella sua versione “favola della lotta di classe” nel Cap. 5.1.1 e “lotta al precariato” nel Cap. 5.1.2 e 5.1.3]
  14. L’Articolo 18. Basterebbe eliminare l’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per far risorgere il paese economicamente. [Cap. 5.2]

Numeri (che si danno a chi ci vuol credere, senza sostegno alcuno nei dati economici)

  1. Le previsioni degli economisti. L’economia come disciplina è fatta per produrre previsioni; e non ne becca una. [Cap. 1.1.1; ma anche Cap. 3.2.4 sulla bolla immobiliare].
  2. Gli anni di liberismo. Gli ultimi X anni (sostituire ad X un numero a caso, tendenzialmente grande) di liberismo hanno rovinato il paese. [Cap. 1.3]
  3. La globalizzazione. La globalizzazione ci rende tutti più poveri, ma soprattutto affama i popoli della terra già poveri.  [Cap. 1.3]
  4. L’università italiana. L’università italiana produce tanta e buona ricerca; meglio della Svizzera ad esempio. [Cap. 1.3]
  5. Il settore finanziario Usa.  Il settore finanziario è ovviamente eccessivamente sviluppato rispetto al manifatturiero o agli altri servizi. [Cap. 3.1.1]
  6. La concorrenza del mercato bancario Usa. Le banche negli Stati Uniti operano in un sistema concorrenziale e trasparente. [Cap. 3.2.1 e 3.2.6]
  7. Gli stipendi dei manager Usa.  Gli stipendi dei manager, specie quelli della finanza sono eccessivi e soprattutto frutto di rendite. [Cap. 3.2.2]
  8. Il settore pubblico e la crisi Usa. La crisi è stata opera delle operazioni del sistema finanziario privato; il settore pubblico è intervenuto per coprire le falle. [Cap. 3.2.5].
  9. Il salvataggio delle banche Usa. Il contribuente americano non ha perso nulla nell’immenso salvataggio delle banche operato dal governo a partire dal 2008. [Cap. 3.3]
  10. La patrimonializzione delle banche. Non vi è nessun bisogno di richiedere una maggiore patrimonializzazione del sistema bancario – a ciò hanno già provveduto i vari organismi internazionali competenti (Basilea III). [Cap. 3.3.3]
  11. La solidità delle banche italiane. Le banche italiane non hanno finanziato alcuna bolla immobiliare e sono solide e sicure. [Cap. 3.4]
  12. La speculazione. La speculazione finanziaria ha attaccato e fatto cadere l’ultimo governo Berlusconi nel 2011 e ha messo in ginocchio l’Italia nell’estate del 2012. [Cap. 4.1.2]
  13. I guadagni dell’Euro. I guadagni che l’Italia avrebbe ottenuto in termini di minori tassi di interesse in seguito all’entrata nell’Euro sono stati minimi o inesistenti. [Cap. 4.1.3].
  14. Il dumping salariale tedesco. L’avanzo di bilancia dei pagamenti della Germania (la crescita delle sue  esportazioni) è dovuta alla sua politica di mantenere bassi salari (o quantomeno bassi rispetto alla produttività). [Cap. 4.1.3]
  15. L’Argentina. Il successo economico dell’Argentina dopo il default è un buon esempio del fatto che uscire dall’Euro e svalutare sarebbe cosa buona per l’Italia. [Cap. 4.1.3]
  16. Il ciclo. L’Italia è oggi in una fase bassa del ciclo economico (non in una lunga fase di stagnazione). [Cap. 4.1.5]
  17. Il lavoro. Vietare contratti a tempo determinato, impedire licenziamenti per ragioni economiche, imporre simili condizioni salariali a fronte di differenze di produttività non ha effetti sull’occupazione e/o sui salari.  [Cap. 5.1]
  18. Il lavoro Usa. La legislazione sul lavoro negli Stati Uniti è arretrata rispetto a quella Europea e quindi i lavoratori sono in condizioni di grave dipendenza  e di costante precariato. [Cap. 5.1.3]
  19. Il costo del lavoro. Il costo del lavoro in Italia è elevato soprattutto a causa dei vincoli sindacali (e non di tasse e bassa produttività totale dei fattori). [Cap. 5.2]
  20. Tasse e spesa pubblica. Non vi è spazio in Italia per abbassare le tasse e tagliare la spesa pubblica senza distruggere il sistema di protezioni e di servizi pubblici che il paese offre. [5.3.1 e 5.3.2]

Favole & Numeri: una mini mappa

1 giugno 2013 • alberto bisin

Ho appena finito di scrivere un libro, che sarà pubblicato da Egea-Università Bocconi. Il libro è composto come un lamento riguardo alle favole che si raccontano e ai numeri che si danno nel dibattito economico italiano. Questo post è un aperitivo per i lettori di nFA: una mini mappa delle favole e dei numeri che sono discussi nel libro.

Favole (che si raccontano a chi ci vuol credere, senza sostegno alcuno nei modelli della teoria economica).

  1. Le scuole economiche. L’economia è una disciplina semi-umanistica. In quanto tale deve essere costituita da scuole che dibattono ideologicamente su tutto ed il contrario di tutto. [Cap. 1; specialmente 1.1.2]
  2. La moneta filosofale. Ad ogni problema economico reale vi è una soluzione monetaria (tipicamente indolore): a) stampare moneta per ripagare un eccessivo debito sovrano. [Cap. 1.2 dove si discute della “favola della Modern Monetary Theory”; Cap. 4.1.3]; b) svalutare per guadagnare competitività in situazione di scarsa produttività. [Cap. 4.1.3]; c) Chiamare la Banca Centrale Europea, per qualunque problema, che garantisca, annunci, prometta, compri titoli o faccia altre diavolerie. [Cap. 4.1.4].
  3. Il Dio mercato. Gli economisti (di scuola anglosassone; vedi favola 1) sono liberisti e credono al Dio mercato che se lasciato libero di intervenire ex-machina porterebbe efficienza e felicità al mondo intero sempre e comunque. [Cap. 2; specialmente 2.1]
  4. Il re Mida. I prezzi delle cose non ne rappresentano il loro “valore vero”. [Cap. 2.1.1]
  5. L’acqua. L’acqua è un bene pubblico e quindi deve essere distribuita gratuitamente. [Cap. 2.1.1]
  6. L’economia di carta. L’economia reale manifatturiera e l’economia finanziaria “di carta” sono in continuo contrasto; la prima  crea ricchezza, mentre la seconda tende a distruggerla. [Cap. 3; specialmente 3.1]
  7. I derivati strumenti del diavolo. I derivati sono strumenti finanziari nati per ingannare il popolo. Sono in realtà così complessi che buona parte degli operatori sui mercati finanziari non li comprendevano. [Cap. 3.2.3; ma anche 3.3.2]
  8. Le banche e la fine del mondo. Le banche non possono mai fallire, devono essere salvate a tutti i costi dal governo, a meno di catastrofi planetarie in grado di rovinare ogni abitante del pianeta. [Cap. 3.3]
  9. Le banche buone e filantropiche. Le Fondazioni bancarie che controllano le banche in Italia garantiscono affinché queste ultime operino con il bene sociale e non il profitto come obiettivo. [Cap. 3.4]
  10. La crisi del capitalismo e il sottoconsumo. Il sistema economico mondiale diventa sempre più produttivo, ma al contempo i lavoratori sono sempre più poveri e i ricchi, invece di consumare loro stessi,  costringono i lavoratori a consumare a credito  (vedi favola 5). [Cap. 4.1.1]
  11. L’arbitrarietà cattiva degli speculatori. Gli speculatori fanno crollare aziende e stati sovrani a piacimento, arbitrariamente, senza nessuna ragione economica, soltanto perché possono. [Cap. 4.1.2; ma anche 4.1.1 quando si cita l’Appello degli Economisti del 2006]
  12. La spesa contro l’austerità. Alle crisi di indebitamento pubblico si risponde: a) con spesa pubblica, per evitare l’austerità: il riaggiustamento fiscale dopo, in fase di crescita, che verrà, certo che verrà.  [Cap. 4.1.5]; b) Tenendosi ben stretto il capitale del settore pubblico, per evitare di svenderlo: venderlo dopo,  in fase di crescita, quando i prezzi di mercato saliranno, che saliranno, certo che saliranno; oppure far finta di venderlo alla Cassa Depositi e Prestiti che sta lì per questo. .  [Cap. 4.1.5]; c) Non ricapitalizzando le banche che non prestano ad aziende ed imprese, per evitare che gli azionisti siano diluiti: le ricapitalizzazioni dopo,  in fase di crescita, quando i prezzi di mercato saliranno, che saliranno, certo che saliranno. [Cap. 4.2.1]
  13. Il modello superfisso. Qualunque intervento di politica economica ha esclusivamente effetti redistributivi, null’altro si aggiusta nel sistema economico, né prezzi né quantità. [Cap. 5; specialmente nella sua versione “favola della lotta di classe” nel Cap. 5.1.1 e “lotta al precariato” nel Cap. 5.1.2 e 5.1.3]
  14. L’Articolo 18. Basterebbe eliminare l’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per far risorgere il paese economicamente. [Cap. 5.2]

Numeri (che si danno a chi ci vuol credere, senza sostegno alcuno nei dati economici)

  1. Le previsioni degli economisti. L’economia come disciplina è fatta per produrre previsioni; e non ne becca una. [Cap. 1.1.1; ma anche Cap. 3.2.4 sulla bolla immobiliare].
  2. Gli anni di liberismo. Gli ultimi X anni (sostituire ad X un numero a caso, tendenzialmente grande) di liberismo hanno rovinato il paese. [Cap. 1.3]
  3. La globalizzazione. La globalizzazione ci rende tutti più poveri, ma soprattutto affama i popoli della terra già poveri.  [Cap. 1.3]
  4. L’università italiana. L’università italiana produce tanta e buona ricerca; meglio della Svizzera ad esempio. [Cap. 1.3]
  5. Il settore finanziario Usa.  Il settore finanziario è ovviamente eccessivamente sviluppato rispetto al manifatturiero o agli altri servizi. [Cap. 3.1.1]
  6. La concorrenza del mercato bancario Usa. Le banche negli Stati Uniti operano in un sistema concorrenziale e trasparente. [Cap. 3.2.1 e 3.2.6]
  7. Gli stipendi dei manager Usa.  Gli stipendi dei manager, specie quelli della finanza sono eccessivi e soprattutto frutto di rendite. [Cap. 3.2.2]
  8. Il settore pubblico e la crisi Usa. La crisi è stata opera delle operazioni del sistema finanziario privato; il settore pubblico è intervenuto per coprire le falle. [Cap. 3.2.5].
  9. Il salvataggio delle banche Usa. Il contribuente americano non ha perso nulla nell’immenso salvataggio delle banche operato dal governo a partire dal 2008. [Cap. 3.3]
  10. La patrimonializzione delle banche. Non vi è nessun bisogno di richiedere una maggiore patrimonializzazione del sistema bancario – a ciò hanno già provveduto i vari organismi internazionali competenti (Basilea III). [Cap. 3.3.3]
  11. La solidità delle banche italiane. Le banche italiane non hanno finanziato alcuna bolla immobiliare e sono solide e sicure. [Cap. 3.4]
  12. La speculazione. La speculazione finanziaria ha attaccato e fatto cadere l’ultimo governo Berlusconi nel 2011 e ha messo in ginocchio l’Italia nell’estate del 2012. [Cap. 4.1.2]
  13. I guadagni dell’Euro. I guadagni che l’Italia avrebbe ottenuto in termini di minori tassi di interesse in seguito all’entrata nell’Euro sono stati minimi o inesistenti. [Cap. 4.1.3].
  14. Il dumping salariale tedesco. L’avanzo di bilancia dei pagamenti della Germania (la crescita delle sue  esportazioni) è dovuta alla sua politica di mantenere bassi salari (o quantomeno bassi rispetto alla produttività). [Cap. 4.1.3]
  15. L’Argentina. Il successo economico dell’Argentina dopo il default è un buon esempio del fatto che uscire dall’Euro e svalutare sarebbe cosa buona per l’Italia. [Cap. 4.1.3]
  16. Il ciclo. L’Italia è oggi in una fase bassa del ciclo economico (non in una lunga fase di stagnazione). [Cap. 4.1.5]
  17. Il lavoro. Vietare contratti a tempo determinato, impedire licenziamenti per ragioni economiche, imporre simili condizioni salariali a fronte di differenze di produttività non ha effetti sull’occupazione e/o sui salari.  [Cap. 5.1]
  18. Il lavoro Usa. La legislazione sul lavoro negli Stati Uniti è arretrata rispetto a quella Europea e quindi i lavoratori sono in condizioni di grave dipendenza  e di costante precariato. [Cap. 5.1.3]
  19. Il costo del lavoro. Il costo del lavoro in Italia è elevato soprattutto a causa dei vincoli sindacali (e non di tasse e bassa produttività totale dei fattori). [Cap. 5.2]
  20. Tasse e spesa pubblica. Non vi è spazio in Italia per abbassare le tasse e tagliare la spesa pubblica senza distruggere il sistema di protezioni e di servizi pubblici che il paese offre. [5.3.1 e 5.3.2]

 

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