8 marzo 2013 ore 08:49 “ARRIVA IN PARLAMENTO LA GENERAZIONE PERDUTA” di MARCO REVELLI da La Repubblica del 7 marzo 2013

dal blog  QUINTO STATO di giovanni taurasi

“ARRIVA IN PARLAMENTO LA GENERAZIONE PERDUTA” di MARCO REVELLI da La Repubblica del 7 marzo 2013

In tanta incertezza un punto fermo c’è: il prossimo Parlamento sarà diverso. Forse sarà breve. Forse non riuscirà a produrre una maggioranza neppure per iniziare a lavorare. Ma sicuramente non assomiglierà a nessun altro precedente.
In particolare non all’ultimo, quello nato nel 2008. Allora, si ricorderà, ne prese possesso — soprattutto attraverso il foro d’entrata del centrodestra, ma anche grazie al franchising dipietrista e di striscio all’ansia egemonica pidiessina — un esercito variopinto d’indagati con rispettivi avvocati, di vistose pin-up, di pittoreschi transfughi in pectore, accanto a una schiera di grigi funzionari di partito e di onorevoli in servizio permanente effettivo.

 

Oggi, sulla cresta di un’onda anomala che ha spazzato la società politica da un capo all’altro, fa irruzione sui banchi di Camera e Senato un oggetto misterioso, curioso nella sua anomala normalità. Alieno nei tratti dei volti e nel linguaggio, più simile alla folla di un meeting del volontariato o di una piazza di Occupy Wall Street che a quella solita della buvette e del transatlantico. Un tipo umano antropologicamente “altro”, a segnare anche fisicamente la portata della frattura consumatasi.

 

Si sarebbe tentati di dire: «dagli indagati agli indignati». E per molti versi l’analisi anagrafica degli eletti nella lista del Movimento 5 Stelle sembrerebbe confermarlo.

L’età media alla Camera è di 32 anni. Quasi un terzo di essi è ventenne. Tutti gli altri sono trentenni. Nessuno ha più di 40 anni. Le donne sono circa il 35 per cento del gruppo parlamentare, al Senato sfiorano il 50. Ma è soprattutto il titolo di studio che stupisce: più dell’80 per cento sono laureati, o laureandi, in taluni casi con laurea magistrale o master. Alcuni studiano ancora (come nella strepitosa gag di Crozza-Napolitano), altri sono ricercatori, spesso precari. Gli ingegneri sono il gruppo relativamente più numeroso: 18 sui 109 deputati. Seguiti a ruota dai laureati in informatica, o in scienze della comunicazione. Numerosi anche i tecnici, quasi sempre operanti nel campo delle nuove tecnologie.

 

Difficile leggervi un’analogia con il “diciannovismo” (anche se alcune dichiarazioni lasciano quantomeno perplessi). Sembrerebbero piuttosto disegnare il profilo di quella che Richard Florida, analizzando dieci anni or sono il fronte avanzato della società americana, ha definito la creative class.

Un insieme di professionalità e di biografie messe al lavoro sul crinale dell’innovazione, tra le pieghe di una società già pienamente post-fordista, spesso in possesso di saperi sofisticati ma compressi nel circuito del precariato e della marginalità di status. Non riconducibili alle tradizionali forme della rappresentanza sindacale né ai vecchi moduli della mobilitazione politica, ma intrinsecamente all’opposizione di ogni establishment.

Sono anche, d’altra parte, la “generazione perduta” di cui ha parlato Mario Monti: un gigantesco, potenziale investimento sociale lasciato cadere al margine, invisibile ai radar dei decisori pubblici e dell’asfittica imprenditoria privata. Cosicché potremmo cavarcela col ricondurre il terremoto politico di questi giorni a una forma particolare di protesta generazionale, come se l’anomalia italiana consistesse nel fatto che qui si è riversato nelle urne quello che altrove si è manifestato in piazza. E quella generazione invisibile al potere si fosse d’improvviso materializzata alle spalle del potere stesso, nella sua stessa “casa”, a presentare il conto. Ma sarebbe tutto sommato riduttivo. Non ci permetterebbe di misurare tutto l’enorme potere destabilizzante che questa elezione — e questa new entry — ha sulle forme della politica. E sul meccanismo stesso della rappresentanza.

Quello che è entrato in Parlamento, infatti, tutto è tranne che la normale rappresentanza di un partito. O di un “soggetto politico” nel senso comune del termine. Ne è, per molti versi, la negazione. Un potenziale memento mori.

Intanto perché il leader — o meglio il “genio della lampada” che li ha evocati — non è con loro. È, anzi, antropologicamente altro da loro, diverso nell’aspetto, nella retorica, nella mimica facciale: titolare esclusivo della Rappresentazione (teatrale) separata dalla Rappresentanza (politica).

E poi perché essi, a loro volta, sono diversi dai loro stessi elettori. O meglio, costituiscono una parte limitata del proprio elettorato, che è molto più ampio, infinitamente più articolato generazionalmente e professionalmente, eterogeneo o disperato.

 

Sarà difficile, per gli altri soggetti politici, trattare con loro. Ma sarà anche difficile per loro rappresentare i propri elettori, praticando le inevitabili mediazioni.

Come se la forma-partito si fosse improvvisamente deformata. E i diversi piani della piramide a gradoni che dal sociale va verso le istituzione fossero andati di colpo fuori asse, lasciando del tutto insoluta la questione della rappresentanza e della sintesi politica in una società senza sovrano.

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