Metallica
Ride The Lightning
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=vwevyg17aVU
Ride The Lightning / Cavalca il Lampo
Sono accusato di colpevolezza
Ma dannazione, non giusto
C’è qualcun altro che mi controlla?
Sento la morte nell’aria
Legato alla sedia elettrica
Non ci credo che sia io il condannato
Dio perchè hai detto
Ti toglierai la vita!?
Rit::
Vedo un flash che mi acceca?
E’ l’ora della mia morte?
Brucio nel cervello?
Posso sentire le fiamme?
Aspetta il segnale?
Per girare l’interruttore letale
E’ l’inizio della fine
Sto sudando, mi sento gelare
Mentre osservo la morte avvolgersi intorno a me
La mia sola amica ? la coscienza
Le mie dita si stringono per paura
Perchè mi hanno messo qui?
Rit.
Qualcuno mi aiuti
Per favore aiutami tu Dio mio
Vogliono togliermi tutto
Non voglio morire
Il tempo scorre lento
I minuti sono lunghi come le ore
Vedo l’ultima chiamata di scena
Quanto è vero ciò che vedo
Voglio smetterla
Se è vero, lascia che sia così
Mi sveglierò coll’urlo agghiacciante
E mi libererà cosa? da quest’orrido sogno
Ride the lightning
Guilty as charged
But damn it, it ain’t right
There’s someone else controlling me
Death in the air
Strapped in the electric chair
This can’t be happening to me
Who made you God to say,
I’ll take your life from you?
Flash before my eyes
Now it’s time to die
Burning in my brain
I can feel the flame
Wait for the sign
To flick the switch of death
It’s the beginning of the end
Sweat, chilling cold
As I watch death unfold
Consciousness my only friend
My fingers grip with fear
What am I doing here?
Flash before my eyes
Now it’s time to die
Burning in my brain
I can feel the flame
Someone help me
Oh please, God help me
They are trying to take it all away
I don’t want to die
Time moving slow
The minutes seem like hours
The final curtain call I see
How true is this
Just get it over with
If this is true, just let it be
Wakened by horrid scream
Freed from this frightening dream
Flash before my eyes
Now it’s time to die
Burning in my brain
I can feel the flame
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Il punto zero del metal moderno
Con le loro sonorità dure e iperveloci, i Metallica hanno posto le basi per la rinascita del movimento metal. Un sound dirompente che si è però “svuotato” negli ultimi dischi
METALLICA | ||
Kill ‘Em All (Elektra, 1983) | 9 | |
Ride The Lightning (Elektra, 1984) | 8 | |
Master Of Puppets (Elektra, 1986) | 8 | |
…And Justice For All (Elektra, 1988) | 6 | |
Metallica (Elektra, 1991) | 7 | |
Live Shit: Binge & Purge (Elektra, 1993) | ||
Load (Elektra, 1996) | 5 | |
Re-Load (Elektra, 1997) | 5 | |
St. Anger (Elektra, 2003) | 4 | |
Death Magnetic (Warner, 2008) | 3 | |
LOU REED/METALLICA |
||
Lulu (Mercury, 2011) | 6 | |
pietra miliare di OndaRock | |
disco consigliato da OndaRock |
NON E’ FACILE SEGUIRE SE NON NE SAPETE NIENTE COME ME…
Definisco “proto-metal” tutto l’hard-rock “negativo” prima della New Wave Of British Heavy Metal. Definisco “metal” la “New Wave Of British Heavy Metal”. Definisco “heavy-metal”: thrash, speed metal e derivati. I Black Sabbath sono stati il più importante gruppo “proto-metal”; gli Iron Maiden“metal”; i Metallica “heavy-metal”.
Se il metal è una delle grandi famiglie del rock, e i Metallica sono la più compiuta manifestazione del metal, i Metallica sono uno dei gruppi rock più importanti di tutti i tempi.
Come ogni gruppo punk “è” i Sex Pistols e poi, eventualmente, anche “altro” (punk significa Sex Pistols); così ogni gruppo metal dopo il 1983 è i Metallica e poi, eventualmente (e qui inseriamo tutti i vari sottogeneri: death, doom, black, epic, power, gothic) anche “altro”. Heavy-metal significa quella musica che suonano i Metallica. Perché il thrash e lo speed sono il minimo comun denominatore per tutti gli stili metal dall’83 in avanti. E thrash e speed i Metallica inventarono o istituzionalizzarono. I Metallica, con i Rolling Stones e pochi altri, sono tra i pochissimi casi di gruppo di musica popolare la cui fama è direttamente proporzionale alla propria importanza storica.
Il primo atto della rivoluzione dei Metallica (1981, Los Angeles, California) consistette nel cambiare la cultura di massa dei giovani, più o meno disadattati, losangelesi. Costoro, a inizio anni 80, tutto sommato passarono da una cultura hardcore a una cultura heavy-metal (con questo i Metallica importarono di fatto la NWOBHM in America, che all’epoca male la conosceva e peggio la considerava). Già il fatto che l’hardcore e l’heavy-metal (thrash, speed) siano entrambi fenomeni losangelesi dimostra quanto il secondo sia debitore del primo (per quanto riguarda il rapporto tra punk e metal in Inghilterra si consideri che vi si inserì di mezzo il fenomeno newyorkese deiRamones).
Il secondo atto della rivoluzione dei Metallica consistette nel diffondere in tutto il mondo il linguaggio thrash e speed, sul quale si baserà ogni forma di metal anni 80 e 90.
Il terzo atto della rivoluzione dei Metallica consistette nel diffondere in tutto il mondo un atteggiamento nichilistico interiore, di contro a un atteggiamento socio-politico pacifista e umanitario.
Il quarto atto della rivoluzione dei Metallica consistette nel fare e disfare l’heavy-metal: nel 1983 istituzionalizzarono il thrash e lo speed, nel 1984 fusero i due stili in quello che è il sound heavy-metal vero e proprio, nel 1991 riportarono questo sound a più involute architetture rock (segno della fine del genere).
Tecnicamente i Metallica partirono da quello che grazie a loro fu riconosciuto essere l’invenzione deiMotorhead (il thrash-metal), giunsero a quella che propriamente è la loro invenzione (lo speed-metal) e convogliarono il tutto in un granitico sound che è il solo a rivendicare propriamente l’appellativo di heavy-metal. L’album speed e thrash è Kill’em All. L’album heavy-metal, come sintesi e superamento dei sue stili precedenti, è Ride The Lightning.
I Metallica si presentarono come il gruppo rock più violento, veloce ed estremo (sotto tutti i punti di vista) di sempre. In realtà, per quanto giovanissimi, erano innanzitutto dei profondi conoscitori della storia della musica rock. A posteriori è possibile dire che quello che allora fecero i Metallica non fu altro che trarre le conclusioni inevitabili dalle premesse che si posero loro davanti. Queste premesse andavano dal satanismo dei Black Sabbath all’edonismo degli Aerosmith (ovviamente passando per Deep Purple e Rush), ma di fatto erano incentrate sui gruppi metal e punk inglesi, nonché su quelli hardcore californiani di fine 70 e inizio 80. I Metallica fecero programmaticamente quello che i Motorhead avevano fatto d’istinto: fondere metal e punk. Solo che all’epoca e nel luogo dei Metallica, il punk si chiamava hardcore ed era qualcosa di sostanzialmente diverso dal parente inglese. In Inghilterra, mentre la NWOBHM ostentava il purismo metal, non solo il metal riprendeva dal punk (Motorhead), ma anche viceversa: Exploited, Discharge, Anti-Nowhere League furono una delle più importanti fonti d’ispirazione per i Metallica. Metallica che avevano un gran da fare per non lasciarsi sfuggire i prodotti più estremi ed eterodossi del metal britannico che nel 1980 era in fibrillazione. Eterodossi perché più che guardare alla NWOBHM in senso stretto (Judas Priest, Iron Maiden, Saxon, Rainbow), i Metallica nacquero grazie alla spinta di gruppi polemici rispetto al movimento prevalente in Inghilterra: oltre ai Motorhead, soprattutto e a vario titolo l’avanguardia di Venom e il retrò dei Diamond Head furono indispensabili per gli americani. Americani che in patria non avevano una tradizione metal: se i vecchi hard-rocker Lynyrd Skynyrd e Blue Oyster Cultpotevano insegnare qualcosa sull’architettura dei brani, erano i nuovi hard-corer Misfits e Dead Kennedys a insegnare la legge della violenza e soprattutto della velocità d’esecuzione. Dall’Europa, Accept e Mercyful Fate erano infine fulgidi esempi di come il metal fosse a un sol passo dal raggiungere il suo versante più heavy.
Ma la rivoluzione più importante dei Metallica fu di scindere l’identificazione sino allora ineliminabile nel rock più di qualità, ovvero quella tra arte e vita. Con i Metallica, il metal diviene un genere di consumo non perché sia fatto in modo commerciale, bensì perché tratta rivoluzioni che non sono rivoluzioni, ossia tratta di norme etico/esistenziali da dosare nella vita quotidiana tanto dell’impiegato quanto del parlamentare. Che poi i Metallica siano stati il culto, primariamente, di chi non ascolta il metal ma di chi vive il metal o per il metal, significa solo che ogni oggetto con più funzioni consente anche fruitori con più caratteri.
A onore dei Metallica spetta poi il fatto di essere stati sempre dei rocker puri e crudi, senza nessuna concessione a effetti in studio, d’orchestra, elettronica o altro. I loro brani – anche i più mediocri – sono concepiti prima dal vivo e in garage, poi e casomai messi in studio e su disco. Ascoltarsi un live dei Metallica o un disco da studio è quasi lo stesso. E solo i grandi del rock riescono in questo.
Un discorso a parte merita quanto segue. Di solito i metallari sono avversi al punk. E questo con tutte le ragioni culturali e musicali. Spiace quindi dover dire agli attuali metallari (come ai loro padri) che osannando i Metallica osannano anche il loro nemico, ossia il punk; o meglio: l’hardcore. I Metallica, la quintessenza dell’heavy-metal, sono heavy (speed, thrash) e non solo metal (Judas Priest, Iron Maiden), proprio perché hanno imparato la lezione dell’hardcore. Essere seguaci dell’heavy-metal significa, per quanto indirettamente, essere dei seguaci dell’hardcore. La storia sociale in questo ci dà ragione. Los Angeles (o tutto il mondo del rock duro?), prima dell’avvento dei Metallica era sostanzialmente divisa tra hardcorer e metallari. I secondi ritenevano i primi dei mocciosi e questi a loro volta dei buffoni gli altri.
Ma che cosa voleva dire essere dei metallari nella Los Angeles dei primissimi anni ’80? Esserlo nella Londra coeva significava essere dei seguaci della NWOBHM. A Los Angeles, dove Iron Maiden e compagnia troveranno veri proseliti solo dopo che i Metallica avranno sfondato (all’epoca era anche difficile, per il losangelese che avesse voluto, procacciarsi dischi europei), essere dei metallari significava avere come modello di vita l’hard-rock di Motley Crue, Ratt e Van Halen. La situazione losangelese è sintomatica: non è che hardcore e metal siano inconciliabili (altrimenti non sarebbero stati possibili i Metallica), ma che solo un certo tipo di metal, quello classico, è inconciliabile con l’hardcore. Gli hard-corer losangeliani erano in reciproca intolleranza con i metallari concittadini, perché questi in realtà erano degli hard-rocker, degli epicurei, più vicini alla cultura del rock n’ roll che a quella nichilista degli anni 80.
I Metallica, portando a mezzo hardcore il metal negli anni 80, non solo lo estraniarono formalmente dal vecchio hard-rock anni ’70, ma lo ripulirono contenutisticamente di tutto un retaggio inconciliabile con la nuova temperie negativa, pessimistica e apocalittica (ed è questa ed in questo senso “new wave”) dei nascenti anni 80 (temperie che l’hardcore già a suo modo aveva interpretato). I Metallica a Los Angeles spazzarono praticamente via le due frange del rock duro, convogliandole in una sola; nel resto del mondo inondarono di prassi hardcore i vari metallari che pure di questo né si rendevano conto né questo avrebbero sottoscritto.
Nel maggio del 1981 in occasione di un concerto di Michael Shenker (storico chitarrista di Scorpions e UFO) a Newport Beach, in California, il diciottenne chitarrista James Hetfield (Los Angeles, 1963: con una situazione familiare difficile) incontra per la prima volta il coetaneo batterista Lars Ulrich (Danimarca, 1963: faceva parte di un fan club dei Motorhead ed era in stretti rapporti con i Diamond Head). Ai due si aggiungerà, alla chitarra solista, il ventenne Dave Mustaine (California, 1961).
Nel marzo del 1982 i Metallica, che non hanno ancora un bassista fisso, esordiscono dal vivo al “Radio City” di Anaheim e ipotecano il proprio futuro suonando di spalla ai già classici Saxon al leggendario “Whiskey A Go-Go” di Los Angeles.
Il 14 giugno 1982 i Metallica appaiono per la prima volta su vinile con il brano “Hit The Lights”, nella compilation della Metal Blade, Metal Massacre, voluta dal giovanissimo Brian Slagel. La Metal Blade è tra le primissime label indipendenti americane a incentrarsi sul metal (la maggior parte delle label indipendenti americane dell’epoca si davano all’hardcore). Teoricamente, potremmo dire che la Metal Blade porta dall’Inghilterra il metal (NWOBHM) e lo fa sbocciare nell’heavy-metal (thrash-speed) americano. Di fatto però, se è vero che solo grazie alla Metal Blade (e a riviste, che comunque anche in America iniziavano a girare, tipo “Metal Mania”) i gruppi inglesi trovarono proseliti negli Stati Uniti, tuttavia è solo grazie ai Metallica che il metal divenne “heavy”. Non a caso, gli altri gruppi di quella comunque mitica compilation (quali Black ‘N’ Blue, Bitch, Cirith Ungol) erano sostanzialmente hard-rock e in ogni caso vicini alla NWOBHM dei Saxon più che a quella (d’avanguardia e davvero metal) degli Iron Maiden. Nel tempo, usciranno una dozzina di compilation Metal Massacre, paradossalmente tutte incentrate su quello che derivò da quel solo brano d’avanguardia proposto dai Metallica in mezzo a tante mediocrità ora dimenticate.
Nel luglio dell’82, sull’onda dei primi successi sotterranei, i Metallica (intanto, non senza intelligenza, definiti “i Ramones dell’heavy-metal”) incidono il demo No Life ‘Till Leather (riedito nel 1997 come sorta di bootleg dal titolo The Early Days) contenente quasi tutto il materiale che sarà convogliato l’anno successivo nel primo album.
Nel mentre, però, il factotum della Metal Blade, Brian Slagel, resosi conto che a Los Angeles il glam retrò dei Motley Crue e dei Ratt era più apprezzato dell’innovativo sferragliamento dei gruppi diMetal Massacre, decide di portare la sua carovana di band sino a San Francisco. A San Francisco i Metallica trovano in Cliff Burton (ex Trauma; California, 1962 – Svezia, 1986) quello che cercavano: un bassista capace di reggere la velocità e la violenza del loro sound. Così dal 28 dicembre 1982 quello che ora è un quartetto stabile si trasferisce con tutta la strumentazione al 3132 di Carlson Boulevard, nel centro di El Cerrito.
Il 1983 è l’anno dei Metallica. Abbandonati Brian Slagel, la Metal Blade, Los Angeles e San Francisco (dove per un motivo o per l’altro non erano riusciti a racimolare quella decina di migliaia di dollari che all’epoca servivano per una registrazione professionale), i Metallica furono chiamati dalla parte opposta dell’America, nel New Jersey, lontano da ogni capitale musicale, da un allora sconosciuto Johnny Zazula, giovane e abbiente appassionato di metallo che aveva fondato l’etichetta indipendente “Megaforce” (di lì a poco destinata al mito). È durante il viaggio da San Francisco al New Jersey che Mustaine rompe col resto del gruppo: suonerà per l’ultima volta il 9 aprile al “The Ritz” di New York; nel futuro lo attenderanno i suoi, e suoi e basta, Megadeth.
Il 16 aprile Kirk Hammet (New York, 1962, ex Exodus: uno dei gruppi più importanti del metal, che per colpa del forfait di Hammet rischiò di sciogliersi e tardò il proprio esordio di un paio d’anni) debuttò con i Metallica a Dover, New Jersey. Hammet è un chitarrista più speed e meno thrash di Mustaine: di fatto nei Metallica sarà la chitarra solista (Hammet appunto) a fare speed e quella ritmica (Hetfield, tra l’altro per natura più vicino a questo stile) thrash. Ma il fatto è che Hammet non è un compositore, mentre Mustaine sì: con Hammet al posto di Mustaine, Hetfield e Ulrich ebbero un compositore in meno e un servizievole esecutore in più. Hammet suona speed metal, ma da sempre la sua passione (come ogni chitarrista-solista) sono stati i virtuosi dello strumento (Hendrix, Satriani, Page), specie se con un tocco latino (Santana, Jerry Garcia).
Il 10 maggio cominciano le registrazioni dell’album d’esordio (durarono 6 settimane). Il 25 luglio esce Kill’em All, che vende 7000 copie in un attimo (non poche, vista la distribuzione indipendente e il genere, da una parte avanguardistico e dall’altra mal visto in America). Ma fu in Inghilterra, la patria del metal classico, che i Metallica, com’era ovvio, trovarono al momento i consensi maggiori: furono visti (e lo erano) quali innovatori, sul lato estremo, di un genere, la NWOBHM, che rischiava di chiudersi su se stesso. Quello che gli inglesi non videro e non potettero vedere furono i rapporti che i Metallica avevano con lo spauracchio dei metallari, ossia il punk. Se i Metallica (e l’heavy-metal come speed e thrash) sono inspiegabili senza l’hardcore americano, lo sono altrettanto senza tutti quei fondamentali gruppi inglesi passati alla storia come punk-metal: Discharge (i più notevoli ed estremi), Exploited, Anti-Nowhere League, Rudimentary Peni. Gruppi nati, nell’unica patria del metal e del punk (i due stili rock più influenti di sempre), a testimonianza del fatto che non era più possibile, sotto uno stesso tetto (Londra), far finta di non conoscersi. Del resto punk e metal sono fenomeni da circoscrivere nella fine degli anni 70. Col punk-metal, con la coincidenza degli opposti, quei basilari gruppi d’avanguardia (e perché non si parla mai d’avanguardia in campo hard?), vollero far notare anche come si fosse giunti agli anni 80.
Kill ‘Em All.1983, 10 brani, 51:03. Produttori: Paul Curcio (ex Mojo Men; compositore storico e oggi produttore per Santana) e, come produttore esecutivo, Jon Zazula (poi con Antrax e Overkill).
Nel 1988, quando Mtv decise di lanciare i Metallica e l’heavy-metal, raggiunse il posto 120 in Billboard (nel 1989 è disco d’oro). Se l’importanza si misura con l’influenza, questo è l’album metal oggettivamente più importante di sempre e uno tra i più importanti album rock di sempre, avendo istituzionalizzato da solo un sottogenere come l’heavy-metal di vitale importanza per il rock. Infine, quali altri album possono vantare pressoché l’invenzione di due stili rock (qui thrash e speed)?
Tale album tuttavia non sarebbe stato possibile senza i Motorherad, che ne costituiscono, a tutti i livelli (dalle musiche, ai testi, ai titoli delle canzoni, a quello dell’album stesso che pare tradurreOverkill), l’imprescindibile fonte d’ispirazione. Furono i Motorhead ad inventare il thrash-metal. I Metallica a rendersene conto e a tramutarlo prima nello speed e poi nell’heavy-metal tout court.
L’album apre una nuova era anche per le dimensioni e il numero dei brani. Negli anni 70, il metal (come l’hard-rock) si era per lo più attenuto ai parametri degli 8 brani per 40 minuti.
Normalmente si considera la prima facciata dell’album thrash e la seconda speed (per le differenze tra i due stili, rimando alla mia storia del metal).
L’età media dei componenti del complesso che ha concepito ed eseguito Kill ‘Em All era inferiore ai 20 anni.
Tutti i brani di questo album sono classici e fondamentali per il rock e per i generi di pertinenza. Tutti i brani sono eseguiti con la medesima perizia, passione ed efficacia da un gruppo solo all’inizio dell’analisi della propria forza dirompente. Si rasenta l’eccesso per il troppo entusiasmo e frenesia.
A posteriori, comunque, pare doveroso isolare quei brani che possiamo chiamare i capolavori nei capolavori, rispetto agli altri.
“Motorbreath” (Hetfield) [3:03], il testamento spirituale di Hetfield, è un omaggio ai Motorhead suonato a tempo hardcore: la quintessenza del thrash, in grado di incupirsi come i Black Sabbath, che fallirono del resto nel loro brano più famoso e referente di questo: “Paranoid”.
“(Anesthesia) Pulling Teeth” [3:27] il brano più raffinato e sperimentale dei Metallica: uno strumentale abissale diviso nei due iniziali minuti di distorsioni più commoventi della storia (effetto Black Sabbath) e nei due seguenti di tempesta acida.
“Whiplash (Hetfield/Ulrich)” [4:06] uno dei brani più estremi della storia del rock: inizia Black Sabbath, poi parte con le chitarre più taglienti di sempre e una sezione ritmica omicida alla Motorhead; inno all’abnegazione metal e alla gioventù bruciata (ci sono molti modi di bruciare una gioventù: rock n’ roll, punk, dark, metal) recita: “We are gathered here to maim and kill”.
Gli altri brani.
“Hit the Lights” (Hetfield/McGovney/Mustaine/Ulrich) [4:17], il primo brano composto dai Metallica, eppure già così maturo e soprattutto l’unico dove un Hetfield ancora immaturo bercia senza ritegno (più punk che metal): per il resto, equamente diviso in un passo di carica alla Motorhead, un basso doom alla Black Sabbath e assoli bruciapelo alla Judas Priest.
“The Four Horsemen” (Hetfield/Mustaine/Ulrich) [7:08] brano epico, impegnativo e articolato; la voce adolescenziale di Hetfield (che mai più, e purtroppo, si sentirà così estremo e “child of the damned”) è irresistibile (e dice: “You have been dying since the day you were born/ You know it has all been planned”), la sua epica è punk; devastanti le sincopi della sezione ritmica, cui rispondono scariche funamboliche di chitarra. “Jump in the Fire” (Hetfield/Mustaine/Ulrich) [4:50] è l’unico mezzo passo falso del disco: troppo acerbo, troppo ingenuo, troppo autoreferenziale, troppo AC/DC.
In “Phantom Lord” (Hetfield/Mustaine/Ulrich) [4:52] è decisiva ancora l’influenza dei Motorhead: specie nella sezione ritmica (ivi compresa la chitarra di Hetfield); poi, l’asfissia si spalanca a un commosso quadro introspettivo per tornare nel finale dove la chitarra di Hammet ci mette davvero del suo per entrare nel manuale del metal.
“No Remorse” (Hetfield/Ulrich) [6:24] è un brano granitico dalla imponente costruzione speed, biascicato, in modo thrash, nel ritornello, da quello che a sentirlo oggi pare un quasi irriconoscibile Hetfield. Questi sono brani che hanno una vita musicale propria: non sono fatti per integrarsi con la voce, la quale è ospite, non protagonista. Anche nei testi la differenza col metal inglese (specie Iron Maiden) è notevole: qui siamo nel nichilismo più truce (a portarlo in politica si dica pure nazismo, anche se non come ideologia quanto come efferatezza). Solo i Motorhead (peraltro poco inglesi) erano stati più sciovinisti e scorretti. Hetfield addirittura si lancia in un urlo fioco che, vista la sua limitata escursione vocalica, è tanto più lacerante. Questi sono brani sadici e masochisti. Sono inni all’autodistruzione senza compromessi o riflessioni di sorta. “Seek & Destroy” (Hetfield/Ulrich) [6:50], battezzato da un celeberrimo giro di chitarre, ripropone in altra forma i contenuti del precedente olocausto.
“Metal Militia” (Hetfield/Mustaine/Ulrich) [6:06] è il brano più estremo assieme ad “Whiplash”: Motorhead nel ritmo, Hendrix seviziato negli assoli. I Metallica non affronteranno più i temi (né le modalità, a dire il vero) di quest’album. Temi che, se da una parte possono apparire banali (l’autocompiacimento maschilista da rocker), dall’altra non lo sono perché finiscono per negare anche se stessi in un programmatico suicidio di massa senza redenzione che non accetta né compromessi né scopi. È uno dei capitoli più perversi e indemoniati della storia della musica.
Il 3 febbraio 1984 i Metallica inaugurano il primo tour europeo suonando per varie date di spalla ai Venom (tra i loro padri, padri che oggi fanno da figli ai figli suonando, quando vengono ammessi, loro di spalla! . d’altra parte al nostro mondo si permette anche che Frank Black suoni di spalla aiPlacebo!). I Metallica rimarranno in Europa per quasi tutto il 1984. A Copenaghen registrano, sempre con Zazula, il secondo album. Ride The Lightining esce in America, per la Megaforce, il 27 luglio 1984. Vende subito e solo negli Stati Uniti, 75.000 copie (cifra spropositata visto il contesto e la label indipendente: nel 1985 raggiungerà il numero 100 in Billboard e sull’onda del successo diMaster Of Puppets il 5 novembre 1987, Ride The Lightnining saràdisco d’oro in Usa, nel 1989 di platino).
Poi, i ventunenni Metallica, da gran signori, pretendono da Zazula i soldi che la persona a cui devono quasi tutto non aveva. Quindi, dopo averlo neanche un anno prima cercato, lo licenziano e lasciano alla sua Megaforce.
Ride The Lightning. 1984, 8 brani, 47:47. Prodotto dagli stessi Metallica. Ride The Lightining è il primo album heavy-metal della storia. Ossia il primo album a fondere thrash e speedin un qualcosa di diverso che da questi stili deriva, ma che a essi non è riducibile. L’heavy-metal si configura come un metal articolato, complesso e ricco d’assoli quale lo speed, eppure violento, nichilistico, compatto e diretto quale il thrash.
A chi non si intende di metal, ma soprattutto a chi dice di intendersi di metal, tali cose, tali distinzioni sogliono apparire astruse. La loro verità, oltre che dalle orecchie, è dimostrata da un lato dalle dichiarazioni degli stessi Metallica, dall’altro dall’abbandono del gruppo da parte dei fan della prim’ora (che non vi sentono più il thrash, il Mustaine, i Megadeth, l’hardcore insomma). In questa sintesi di thrash e speed sta quell’heavy-metal base a partire dal quale si avranno non solo tutti i sottogeneri metal avvenire (dal death, all’epic, al grind), ma soprattutto il raggiungimento di un sound a decibel mai sentiti che consente di avere (a ogni gruppo rock, anche se non fa metal) una scala espressiva smisuratamente più ampia. Con Ride The Lightining i Metallica, appena un anno dopo dalla prima, apportano una nuova, radicale e definitiva rivoluzione, per quanto sia una continuazione della precedente.
Con Ride The Lightining si accentua, con quella della musica, l’epicità dei testi. Ne deriva un’ambientazione non più metropolitana, ma galattica. Un senso non più di morte o rottura, ma di eternità o martellamento su di uno stesso punto.
Ride The Lightining è l’album programmaticamente più importante dei Metallica dopo Kill’em all: può considerarsi come il secondo album fondamentale della storia del metal. Da qui sino al 1991, per sette anni, i Metallica non diranno nulla di nuovo: e quando il nuovo arriverà sarà, di fatto, la fine del metal.
I capolavori. “Fight Fire with Fire” (Burton/Hetfield/Ulrich) [4:45] abbina una violenza senza paragoni a una pesantezza altrettale. Mai orecchio umano aveva sentito qualcosa di più estremo. Tuttavia è quella pesantezza, quella rigidità, quella magniloquenza che se da una parte sono a favore dell’intensità, dall’altra iniziano a rendere alieni i Metallica dal precedente (più sferragliante, più punk) sound. È semplicemente il brano che inventa l’heavy-metal e di cui rappresenta uno dei vertici assoluti.
“Fade to Black” (Burton/Hammett/Hetfield/Ulrich) [6:59] è il prototipo della ballata metal in crescendo (“Child In Time” dei Deep Purple lo era stato di quella hard-rock). Chitarre acustiche (e Hetfield dimostra di avere interiorizzato anche la musica country), e il testo migliore e più introspettivo dei Metallica: “Nothing matters, no one else/ I have lost the will to live”. È vero che la ballad è stata la croce e delizia di tutti i gruppi hard. Ma è anche vero che questa sublima quella retorica perché è sincera. Ed è scritta da ventunenni.
“The Call of Ktulu” (Burton/Hetfield/Mustaine/Ulrich) [8:55] è in assoluto il maggiore brano dei Metallica e ultimo zampino lasciato da Mustaine al vecchio gruppo: uno strumentale dove tutta la levatura armonica, melodica, compositiva ed esecutiva del gruppo viene fuori. Pagina che sorge delicata e poi via via, nel concitato crescendo, giunge alle spume più deflagranti e catastrofiche, tuttavia in qualche modo contenute da una superiore architettura ordinatrice. Nel finale, cui si giunge attraverso una selva di riff dei più mesti della storia, campeggia un nugolo di distorsioni in cui paiono esservi rinchiusi tutti gli abissi delle generazioni universali.
Gli altri brani.
“Ride the Lightning” (Burton/Hetfield/Mustaine/Ulrich) [6:41] epopea alla “The Four Horsemen” questa volta votata all’era del futuro, anziché a quella del passato. I Metallica continuano a inneggiare alla morte, tuttavia da ora in poi lo faranno pacificamente, per esorcizzarla, non più sadicamente (come in Kill’Em All). I Metallica (ed è questa la loro lezione ai posteri del metallo) possono con uno stesso linguaggio e con gli stessi mezzi sortire ora un’interpretazione pro, ora contro questi medesimi. Nel giro di un anno, dopo la rottura del rompibile, il gruppo passa da un nichilismo bruciante quanto la storia e la società a uno “tutto interiore” che si rivolge addirittura umanitariamente alla prima e alla seconda (in questo caso, il tema è il proselitismo contro la pena di morte: come da sedia elettrica che campeggia in copertina).
“For Whom the Bell Tolls” (Burton/Hetfield/Ulrich) [5:09] è un tema banale (dai Black Sabbath agli Ac/Dc) che trova senso di esistere in uno dei più epidermici fraseggi chitarristici di sempre: da una parte la desolazione della chitarra ritmica, dall’altra la sublimità tra l’eroico e il ferito di quella solista. Quando entra la voce (sempre troppo adolescente per avere la retorica del proselitismo), è l’apoteosi.
“Trapped Under Ice” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [4:08] è ancora un tunnel nel flagello (questa volta invece del fuoco il ghiaccio) del calibro sonoro di “Fight Fire With Fire”. “Escape” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [4:24] rallenta i ritmi e smussa le asprezze per concedersi alla narrazione e all’allucinazione. Brano orecchiabile, ma senza nerbo.
“Creeping Death” (Burton/Hammett/Hetfield/Ulrich) [6:35] è un tornado sabbatico senza requie o pause: l’abc dell’heavy-metal (l’alienazione e la violenza questa volta trovano un’ambientazione egizia vissuta con tanta ingenuità quanta radicalità).
Master Of Puppets(1986): otto brani, 54:00. Produttore: Flemming Rasmussen.
Il 21 febbraio 1986 esce Master Of Puppets per la maior Elektra. L’Elektra (la casa discografica diDoors, Television, Cure, Bjork, Motley Crue, Queen, Tracy Chapman) fu fondata a New York nel 1950 da Jac Holzman per promuovere nuovi musicisti folk e jazz. Dal 1969 è nella Wea con la Warner e l’Atlantic (e dal 1973 acquistata dall’Asilium). La Warner è l’unica “major” oggi a essere ancora americana.
Master Of Puppets era stato registrato l’anno prima, sempre a Copenaghen, ma con tutte le comodità, i vezzi e i ferri del mestiere più alla moda, delle rockstar. Vende subito 700.000 copie (10 volte l’album precedente, già considerato un record di vendite), poi (4 novembre) diventa disco d’oro e rimane in classifica 72 settimane (28 luglio 1988, disco di Platino in Usa ). Sebbene in Usa sia ancora dominante il glam di Ratt e Motley Crue, l’heavy-metal comincia a essere preso in seria considerazione.
Master Of Puppets è allo stesso tempo il migliore e meno importante dei primi tre album dei Metallica (quelli artistici, cioè). Il migliore perché è il meglio suonato e ha le composizione più sapientemente e compiutamente confezionate; il meno importante perché non è comparabile all’inventiva d’avanguardia di Kill’em All, e si limita, per quanto sapientemente, a ribadire i concetti (di forma e contenuto) appresi in Ride The Lightning. Ciò non toglie che rimanga una pietra miliare dell’heavy-metal.
I capolavori.
“Master of Puppets” (Burton/Hammett/Hetfield/Ulrich) [8:38] è quello che “The Four Horsemen” prima e “Ride the Lightning” poi non erano riuciti a essere: un’epopea straordinariamente sostenuta e concepita, che comunica narrativamente proclami d’esistenza. Quando Hetfield dice “I’m your source of self destruction” lo fa, non come in Kill’em All per aderire a ciò, ma per essere contro ciò, che riporta riferendolo al “burattinaio” che ci asservirebbe. “Welcome Home (Sanitarium)” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [6:28] doveva essere la ballata di turno che invece si rivela come il capolavoro di turno, sfalsando i propri intenti e scodellando una commozione intima che supera, pur basandocisi su, anche “Fade to Black” (perché ha una carica di ricordo e delusione maggiori), e sarà ritrovata per l’ultima volta solo in “Unforgiven”.
“Disposable Heroes” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [8:14] è granito allo stato puro: niente compromessi: nemmeno più Motorhead: solo i Metallica col loro truce heavy-metal a confrontarsi solo con se stessi. Le chitarre erigono bastioni immani. “Damage, Inc.” (Burton/Hammett/Hetfield/Ulrich) [5:08] è uno scempio per i padiglioni uditivi, ricalcato sulla veemenza dell’hardcore dei Minor Threat. Si sente il peso di queste sproporzionate distorsioni atterrarci e seppellirci. Il finale, non pago del flagello, mozza quel poco di fiato casomai rimasto. Ma i Metallica sono al limite (ed è comprensibile!). Oltre, ed i prossimi album saranno questo oltre, la violenza continuerà sul fine a se stessa, ma non troverà più neanche il proprio se stesso.
Gli altri brani.
“Battery” (Hetfield/Ulrich) [5:10] introdotto da un contrappunto di acustica medievaleggiante prorompe in un ennesima, irrefrenabile, irriducibile catastrofe incestuosa, apocrifa, recidiva, alla “Fight Fire With Fire”.
“The Thing That Should Not Be” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [6:32] è un eccesso terrificante che perde in velocità (Kill’em All) ciò che acquista in pesantezza (Ride The Lightning). Se i Metallica nacquero per essere il complesso più veloce del mondo, ora vogliono essere il più pensante, il più “heavy”. Su questo brano si baserà tutto il brutto corso dei Metallica dal ’91 in poi (“Enter Sandman” è una brutta copia di questo pachiderma degli inferi).
“Leper Messiah” (Hetfield/Ulrich) [5:38] brano basato su riff ad alta tensione, pesanti così da schiacciare più che squartare (Kill’em All). Siamo nel mezzo di un vero e proprio eccidio. L’intensità è pari solo al death dei Possessed; l’estremismo al thrash iper-veloce (e apparentemente opposto) degli Slayer. È un brano del genere che pare far un sol boccone dei vari Megadeth. “Orion” (Burton/Hetfield/Ulrich) [8:12] è la risposta al lovergraftiano “The Call of Ktulu”, del quale se non eguaglia i vertici comunicativi pare addirittura superare quelli d’orchestrazione: ci si riallaccia addirittura ai sottotoni di “(Anesthesia) Pulling Teeth” dai quali potersi progressivamente innalzare ora a suon di ritmo, ora di fughe chitarristiche mai appagate di se stesse (pur spaziando dall’onirismo-slide alla carneficina elettrica).
Il 27 settembre 1986, in Svezia, in un incidente all’alba sul pulmino del gruppo, muore a 24 anni Cliff Burton.
Il 28 ottobre i Metallica ingaggiano Jason Newsted (MI, 1963, ex Flotsam & Jetsam): più freddo e meno comunicativo di Burton. Simbolicamente potremmo dire che l’arte dei Metallica si spegne in quella sfortunata mattina svedese. Per far uscire 5 album di materiale inedito, i Metallica impiegheranno 18 anni (1986-2004). Saranno 18 anni di successo e d’inutilità.
Il 10 agosto 1987 esce The 5.98 Ep – Garage Days Revisited (Top 30 americani, Top 20 inglesi: 7 dicembre disco d’oro Usa). Si trattò di un’operazione col precipuo scopo commerciale. Ma a posteriori è molto interessante. Primo perché inaugura, per quanto involontariamente, il post-metal. Infatti i Metallica hanno, a venticinque anni, già detto tutto ciò che avevano da dire d’importante. E con loro il metal ha in gran parte già detto, nel 1987, ciò che aveva da dire (il thrash e lo speed, propriamente, da tempo si erano esauriti). Secondo, troviamo oggettivati pressoché tutti gli stili che hanno reso possibile il fenomeno Metallica, nonché la profonda (sino al maniacale), vasta e non scontata conoscenza da parte di Hetfield e Ulrich della storia del rock. Si tratta di 5 cover (e il concetto di “citazione” è la quintessenza del “post-“, sia esso metal o rock o artistico e culturale in genere): dalla NWOBHM di Diamond Head 1981 (“Helpless”), dal thrash di Holocaust 1983 (“The Small Hours”), dal techno-dark di Killing Joke 1980 (“The Wait”), dall’hard-rock di Budgie 1971 (“Crash Course in Brain Surgery”), dall’hardcore di Misfits 1982 (“Last Caress/Green Hell”). Questo Ep influenzerà il grunge in generale e Nirvana e Alice In Chains in particolare.
…And Justice for All(1988): 65:10, 9 brani. Produttore: Flemming Rasmussen.
È l’album del successo mondiale per venticinquenni in pista da almeno cinque anni (nel 1988 raggiunse il n. 6 in Billboard, poi disco d’oro e di platino in Usa). Successo che risponde alla sterilità artistica. I Metallica hanno detto tutto quello (ed era molto) che avevano da dire. Ora eseguono spartiti, come suonatori di strada straordinariamente pagati, per impiegati annoiati o ragazzini incoscienti che vogliono godersi quello che Mtv fa passare come heavy-metal e, sacrilegio estremo, dal tranquillo salotto di casa.
…And Justice for All è un album così impeccabile ed esteriore che non dice nulla. Non è neanche il migliore album metal dell’anno (la concorrenza si è fatta su più fronti agguerrita: Death, Death Angel, Jane’s Addiction, Queensryche), sebbene ovviamente sia sul podio, sebbene, se lo avesse fatto un qualsiasi altro gruppo, si sarebbe, e a ragione, dovuto dire un capolavoro. Non è un lamentarsi, né voler essere ingiusti nei confronti di chi, al quarto album e dopo tanti capolavori, continua tutto sommato senza fronzoli né troppi compromessi verso la propria strada. È semplicemente un constatare. Lo stesso Hetfield ammetterà il mezzo passo falso, su quest’album che, come si dice in gergo, “non suona”. Troppo lungo, troppo indigeribile, troppo monotono: è eccesso, ma pare senza sostanza. I dischi dopo il ’91 non parranno neanche.
I capolavori, di cui prima c’era l’imbarazzo della scelta, si riducono a uno, per quanto notevole: è lo strumentale “To Live Is to Die” (Burton/Hetfield/Ulrich) [9:48], alla memoria di Burton; sposa tutta la più genuina teatralità (leggi possanza) dei tempi dell’ispirazione, con un retrogusto melodico (in acustico) di sconforto infinito che, ormai al di fuori di storia e mondo, pare inchiodare noi soli davanti al nulla. Aggiungo, per magnanimità a quell’uno un altro brano: “Dyers Eve” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [5:12]. È talmente concitato e dinoccolato che rende tutto sommato partecipi: un’altra “Battery”, sperando che con due batterie ci si diverta di più. Non solo: un interessante (e col cuore in mano) canto di Hetfield. Un applauso se lo merita. Due, considerando che è stata dimenticata.
Gli altri brani.
“Blackened” (Hetfield/Newsted/Ulrich) [6:40], ennesimo esordio ad alta tensione modellato su “Fight Fire With Fire”.
“…And Justice for All” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [9:44] ennesimo epos (e l’epos sociale è il peggiore), ennesima ricetta, ennesimo trucco, ma stalvolta sgradito, di “The Four Horsemen”, “Ride the Lightning”, “Master of Puppets”. “Eye Of The Beholder” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [6:25] una “Damage, Inc.” resa polpettone. “One” (Hetfield/Ulrich) [7:24] il singolo per Mtv, con relativo videoclip (35 in America, 13 in Uk): peccato sia un imbarazzante rifacimento di “Fade To Black”, per di più reso melenso dal pretesto pacifista, vietnamita di turno. Una bufala (c’hanno pianto d’emozione, quando bisognava piangersi di compassione!).
“The Shortest Straw” (Hetfield/Ulrich) [6:35] è uno spartito di impeccabile performance heavy-metal: vale uno sbadiglio?
“Harvester of Sorrow” (Hetfield/Ulrich) [5:42]: risolleva un po’ le sorti, ma si è già risentito in “Creeping Death” (che a sua volta era al limite del “non suonare”). “The Frayed Ends of Sanity” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [7:40] per quanto viva di un espediente sintetico è quanto di meglio si abbia tra questi serpentoni di noia: si digerisce male ma pare che valga la pena, per questa volta, di una digestione così difficoltosa.
Metallica(1991): 62:16, 12 brani. Produttore Bob Rock (Mötley Crüe, The Cult, Cher, Bon Jovi, Aerosmith, Bryan Adams ).
Con quest’album i Metallica diventano star, come Madonna o Springsteen.
Musicalmente cambiamo per la terza volta genere: dopo speed/thrash e heavy-metal è la volta di una sorta di metal-rock. Di un metal più involuto che barocco. Più costretto nei tempi, nelle dinamiche e nelle medietà del rock medio che libero nelle suite metal. Nonostante l’uomo che più si è arricchito alle spalle dei Metallica, un vile marpione con spirito artistico pari a un maiale, Bob Rock, il gruppo riesce a dare l’ultima prova degna di sé. Smettendo i panni metal, si guarda al futuro ponendosi il problema (pur sempre in termini heavy) della vecchia canzone rock o, a dirla tutta, country proprio. Ne risulta un lavoro più unico che raro nella storia che non è né hard-rock né rock, ma è come se un gruppo metal rifacesse brani di Johnny Cash. Siamo nell’era del grunge, e i Metallica si sentono più vicini a questa che comunque è cultura americana, rispetto al fanatismo (comunque più artistico) del metal (death, grind, gothic) scandinavo o europeo in genere (dai Carcass agli Entombed). In fondo, il grunge è il corrispettivo per la propria generazione dell’hardcore, e le parentele tra Metallica e hardcore sono sempre state evidenti. In fondo, Hetfield ha avuto modo di dichiarare i Nirvana come l’ultimo, vero gruppo rock.
Nonostante Bob Rock, nonostante l’orchestra sinfonica di Michael Kamen, nonostante i cinque videoclip, nonostante l’aver voluto far sborsare all’Elektra per le sole registrazioni un milione di dollari, nonostante il concerto a Mosca dinanzi a 300.000 persone (per inciso i Metallica sono uno dei gruppi rock più presenti in tour in assoluto: avranno passato tre quarti della loro vita in viaggio!) Metallica, tra il popolino il loro album più celebre (numero 1 in Usa, UK, Canada, Australia; 5 in Italia; top 5 in Europa), resta un album di gran qualità
I capolavori.
“The Unforgiven” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [6:26] è retorica, orchestrata, è sulla falsariga di “Welcome Home (Sanitarium)”. Ma quando c’è la sincerità del sentimento si vede, si sente: nei riff traboccanti, nel canto nostalgico e naufragato di Hetfield (che finanche sussurra) non si può non trovare pane per la commozione. Su di un’esile base acustica (e latineggiante) si innesta la gigantesca salmodia confessionale di Hetfield, in cui ognuno non può far a meno di identificarsi e lasciarsi prendere per mano, suonando essa come una contemplazione di ogni vita passata o futura. Il brano è anche una sorta di omaggio alle sinfonie di Morricone, disvelando così l’amplissimo spettro di possibilità musicali posseduto dai Metallica e da quello che può a ragione dirsi il loro classicismo; classicismo non solo perché classici del metal, ma anche perché ottenuto con costruzioni armoniche modellate sulla musica classica. Nel 1992 in Usa il singolo è n. 35 (vende mezzo milione di copie). “Wherever I May Roam” (Hetfield/Ulrich) [6:42] mostra una maschera orientale dietro cui si pianta un mesto volto solcato da violenza su violenza e ricordo su ricordo. La melodia qui prevale sull’armonia. La confessione sulla comprensione. Il pianto sulla parola. Colmo d’esistenza, ignaro di ogni condizionamento sociale o stoico, in fondo è un brano d’amore che trova agio nell’intonazione di Hetflield più partecipata di sempre. Nel 1992 il singolo in USA è n. 82.
Gli altri brani.
“Enter Sandman” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [5:29] dimostra come questo non sia l’album “nero” solo per la copertina: si tratta di dark-metal fatto da rocker (ne risulta un metal esistenziale o country, opposto del cosiddetto dark o black metal). Il singolo (con video) in America raggiunse il n.16 e il milione di copie vendute. Il brano dimostra anche come, con la musica, siano cambiati anche i contenuti dei Metallica: ora più borghesi, meno apocalittici, per nulla offensivi o scandalosi: si lamentano invece di attaccare, fanno rappresentazioni horror senza far paura loro stessi. Ne deriva una raffinatezza e una rotondità di suono (tutto smussato, talora pesante ma mai assordante o stridente) ignare al complesso. “Sad but True” (Hetfield/Ulrich) [5:24] è un imbrigliato rigurgito titanico: più Melvins che Motorhead. Di thrash-metal nessuna ombra. Casomai riemerge il dark-new wave di inizio Ottanta (con un sintetizzatore potrebbe essere brano da Ultravox). Questo sarà l’heavy-metal del futuro dei Metallica. Heavy-metal qui ben fatto e sentito. Nel 1992, il singolo è n.98 in America.
“Holier Than Thou” (Hetfield/Ulrich) [3:47] aumenta appena il ritmo frastornando però più per gli arrangiamenti che per il brano in sé.
“Don’t Tread on Me” (Hetfield/Ulrich) [3:59] dimostra come i Metallica non siano più né speed né thrash ma solo heavy: chitarre ritmiche da cui partono assoli hard-rock o melodie rock. “Through the Never” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [4:01] con una batteria che i Motorhead irriderebbero, mantiene invariata l’aurea mediocritas contemplativa e pittorica di tutto l’album, che pare non avere punti deboli.
“Nothing Else Matters” (Hetfield/Ulrich) [6:29] è, insieme a “One” (di cui è comunque superiore), la sola concessione smaccatamente commerciale da parte dei Metallica. Una vera e propria ballata i Metallica non l’avevano mai fatta. Ecco questo semi-acustico. A parte tale cornice il testo è più che dignitoso (anzi, come pochi nel rock) e la ballata si distingue per essere non d’amore, ma di disperazione (in fondo nichilista). Il singolo raggiunge il n. 34 in Usa nel 1992, ma spopolerà nel mondo grazie a Mtv. “Of Wolf And Man” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [4:16] è un altro (pesantissimo) viaggio per i nuovi bulldozer Metallica. Tutta pesantezza e soffocamento, nessun taglio o acidità. Dalle forme aguzze siamo passati a geometrie sferiche.
“The God That Failed” (Hetfield/Ulrich) [5:05], nel momento dove si decide se il disco annoia o meno (sta passando un’ora dall’inizio), salva le sorti con vari espedienti e una forma tutto sommato smagliante (cioè profonda di desolazione). Forse, il rock non aveva mai sentito brani del genere. Tra Melvins, Johnny Cash e Joy Division.
“My Friend of Misery” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [6:47] sublima il patetismo funereo (e non più bellico) di questo elegiaco album. Il lamento su se stesso è lezione di Nick Cave. “The Struggle Within” (Hetfield/Ulrich) [3:51] musicalmente pare un brano come tanti degli anni ’90 (da Machine Head a Fear Factory: ai quali apre la strada), ma il canto di Hetfield lo riporta a una dimensione che è l’opposto dell’autocompiacimento o della vita nel metallo: è metallo per vivere (in questo senso pop).
Load (1996): 14 brani, 74:59. Produttore: Bob Rock.
Dopo il ’91 (l’età media del gruppo è 28 anni) i Metallica non hanno più una vita artistica. Tour colossali, prestazioni live memorabili, tecnica impeccabile, sound stratosferico come il loro cachet. Passano cinque anni: abbiano ora dei trentenni con la forza, con le braccia per lavorare, non quanto hanno lavorato sino allora (15 anni), ma il doppio. Potrebbero puntare ai 60 anni e a essere tra i gruppi più longevi della storia del rock. Ma già i 5 anni di silenzio dimostrano il temuto: una sterilità senza pari e senza rimedio. Ora, più per se stessi che per i soldi, più per mettersi in discussione che per crogiolarsi su quanto ottenuto, si inerpicano alla ricerca di se stessi: mai incerti su questo, sempre sicuri e dediti all’esposizione del proprio sgomento esistenziale, è il momento in cui anche questo non dice più nulla e non sa dire più nulla. Agonizzano i Metallica rifugiandosi in 75, spropositati, interminabili, minuti di musica: musica che è quel rock-metal sviluppato dal ’91 per l’occasione contestualizzato invece che nel lato oscuro del proprio io e del mondo, in atmosfere neo-western, sudiste gangsteristiche. È il corrispettivo metal del Nick Cave dal blues più metropolitano e autocompiaciuto. Il gruppo cambia per la quarta volta approccio stilistico e contenutistico. L’album è un pretestuoso rispolverare ora l’esotismo violento di “Wherever I May Roam”, ora il sinfonico di “The Unforgiven”, ora gli eccessi di pesantezza di “Don’t Tread On Me”. Verbosità senza pari, cattedrali nel deserto, immani costruzioni barocche senza fondamento è ciò che ne risulta. Opera più difficile da sopportare che da comprendere. Ciò corrisponde ai pregi e ai difetti di certi baracconi di Tom Waits. Anche affascinante (soprattutto se fosse voluto!), ma alla fine indigeribile e sterile, non perché ha come soggetto la sterilità, ma perché ne è vittima impotente. È un …And Justice for All per l’epoca e il sound di Metallica, del quale eccede in negativo tutti gli estremi allora giustificati e sopportabili.
I Metallica, il gruppo che più di tutti, inventando l’heavy-metal (che è derivazione hardcore più che hard-rock), ha affrancato il rock dal blues, adesso sopravvive riproponendo i Rolling Stones. Al modello dei Motorhead si è sostituito quello di Nick Cave (il mito della maturità di Hetfield).
Nell’epoca in cui il metal, da anni esauritosi, si crede nuovo solo esasperando ossimoricamente la propria efferatezza (i generi capofila del ’96 sono da una parte death, gothic, dall’altra progressive, dall’altra il metal da strada di Korn e Deftones), i Metallica esasperano solo la propria mole, alla fine suonando non come metal, ma come un rock n’ roll espressionistico, deformato, fuso.
Dal vivo, in pratica, i nuovi brani non vengono considerati.
Nel 1996 Load raggiunse il n. 1 in Billboard.
I brani, di cui non ce n’è uno meglio dell’altro perché sono descrittivi e quantitativi e non significanti e qualitativi.
“Ain’t My Bitch” (Hetfield/Ulrich) [5:04] dice già tutto dell’album: un pasto indigeribile, che si i mpone e si impone solo per la propria pesantezza e mole (peraltro innocue e incapaci di colpire). “2 X 4” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [5:28] addirittura rollingstoniana nel maschilismo ed edonismo kitsch. “The House Jack Built” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [6:39] si crogiola in un sadismo a sfondo sessuale di grande atmosfera, ma fine a se stesso. Metal non sono che gli amplificatori.
“Until It Sleeps” (Hetfield/Ulrich) [4:30] fu uno dei due singoli principi (in Usa n. 10): il rock-metal melodico dei Metallica qui coglie, per quanto flebilmente, nel segno offrendo un mesto jingle che ad altri volumi potrebbe essere da Byrds. La sezione ritmica accompagna sinfonicamente: non conosce né speed né thrash; le chitarre rispolverano gli anni 70 (dai Grateful Dead ai Lynyrd Skynyrd): ne risulta un sound complessivamente originale e inusitato, pur alla fine di non gran valore. “King Nothing” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [5:28] vagola abbeverandosi di una noia che la uccide. Potenzialmente un’epopea del deserto; di fatto un effetto da cow-boy in pantofole.
“Hero of the Day” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [4:22] è folk-metal. Il folk: l’altra grande passione di Hetfield. Un Hetfield a cui va riconosciuta sincerità nel suo sentimento patriottico e atavico.
“Bleeding Me” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [8:18] lascia le vaste praterie per tornare nel deliquio urbano: addirittura tastiere anni 70. Ancora metà soft metà heavy, con la velocità di un pachiderma che balla su se stesso. “Cure” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [4:54] gioca al blues, propiziandosi i risvolti più trasfiguranti ed uterini di un’America trash e mafiosa (vedi Tom Waits). “Poor Twisted Me” (Hetfield/Ulrich) [4:00] è un esercizio per chitarre che, per lo più ritmiche, originalmente non sproloquiano più assoli ma sole distorsioni, accenni.
“Wasting My Hate” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [3:57] è un adagio su cui si innesta il martello pneumatico di quattro cow-boy nell’ora della riflessione. “Mama Said” (Hetfield/Ulrich) [5:19] un country revival (il corrispettivo, per questa ambientazione western, di “Nothing Else Matters”) perfettamente riuscito e sincero (l’altro singolo che spopolò all’epoca) e perfettamente vano, fagocitato dalla storia.
“Thorn Within” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [5:51] ancora una pastiglia di deflagrazione e possanza statica e implosa. Ci si lamenta di doversi lamentare. “Ronnie” (Hetfield/Ulrich) [5:17] sono i Rolling Stones che passano per la rozzezza degli Ac/Dc a mezzo di un immondo calice dal gusto intriso delle radici più perverse del continente americano.
“The Outlaw Torn” (Hetfield/Ulrich) [9:52] è il culmine della tortura: se si sarebbe voluto spegnere lo stereo da mezz’ora, adesso non ci sono più scuse . Tuttavia rispolverando a suo modo (ingenuo) tutta una serie di componenti della cultura americana più di frontiera, tra paganesimo e puritanesimo, tra pene di morte e mafia, tra metropoli e deserto, si accolla su di sé i precedenti brani che avevano teso illuminare ciascuno di questi aspetti, riassumendo, in modo epico, il succo dell’album.
Reload (1997): 13 brani, 75:56. Produttore: Bob Rock.
Considerato un album fatto con gli scarti del precedente (per le cui sessioni i Metallica avrebbero approntato 150 minuti di materiale), e uscendo l’anno successivo a quello rischiando d’esserlo (vedasi il titolo e i tempi di produzione dei Metallica), a conti fatti risulta intrinsecamente diverso. La forma è sempre quella del rock-metal di Metallica, ma rispetto a Load si passa dal tessuto riflessivo, senile, vissuto, tra prateria e metropoli, ad atmosfere ora più spensierate ora più apocalittiche e comunque mai concentrate sulla storia ma contese tra il divertimento rock n’ roll e la seriosità epica.
Load e Reload non hanno un valore diverso da And Justice For All. Solo che mentre quello faceva del manierismo sull’heavy-metal di Master Of Puppets, questi lo fanno sul rock-metal di Metallica. I Metallica fecero un egregio lavoro nel 1991 perché cambiarono genere. Peccato che dopo non sarà loro più possibile cambiare genere, avendo finito tutti gli spettri di possibilità. Da qui la mediocrità diLoad e Reload. Nel 1997 raggiunse il n. 1 in Billboard.
“Fuel” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [4:29] è forse il primo brano puramente garage-rock dei Metallica: le pesantezze di Metallica e le indigestioni blues di Load vengono convertite in un’arringa da balera solida, ma frivola, edonista più che impegnata. Il singolo dilagherà nelle chart. È, veramente, solo rock n’ roll. “The Memory Remains” (Hetfield/Ulrich) [4:39] converte i precedenti stilemi in una composizione tutto sommato altamente evocativa e commovente: di un’epica scorata e underground con Marianne Faithfull a fare la nonna dei nuovi Rolling Stones senza valori nemmeno edonistici. Il video e il singolo di questo brano rilanciarono in modo determinante i Metallica tra le nuove leve italiane.
“Devil’s Dance” (Hetfield/Ulrich) [5:18] infonde finalmente dell’aspro ai languori indecifrabili di Load. La sensazione è sempre quella di un gigante dai piedi d’argilla. Si volta anche in atmosfere collegiali tipo “L’attimo fuggente”. Se non altro con più decisione.
“The Unforgiven II” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [6:36], di cui uscì anche un lunghissimo video, si commenta da sola: è la versione country dell’altra. E se quest’altra non ci fosse stata si tratterebbe del miglior brano del disco. Ciò dice tutto. “Better Than You” (Hetfield/Ulrich) [5:21] riparte da “Sad But True” e non arriva ad altro che al proprio autocompiacimento.
“Slither” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [5:13] prova a scudisciare in una novelty acida che fa dei Kinks (i cui riff, assieme a quelli degli Who, sono il maggior influsso sui Metallica senili) dell’epoca nucleare. Questa poi è contemplata sentimentalmente (il tono non è dissimile dal grunge dei Soundgarden).
“Carpe Diem Baby” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [6:12] non vanta nemmeno la granitica struttura del precedente sproloquio e si nasconde in un ritornello che se per un attimo, nell’incedere partecipe di Hetfield, acchiappa, l’attimo dopo annoia. “Bad Seed” (Hetfield/Ulrich) [4:05] (omaggio a Nick Cave) è un’indigeribile enciclopedia deepurpeliana che non trova né trascendenza né immanenza. Violenza allo stadio impuro. “Where the Wild Things Are” (Hetfield/Newsted/Ulrich) [6:52] converte in atmosferico gli indugi bluesegginati di Load: poi si avventa sguaiato e malfamato in un rombo primigenio quanto post-mortem. Il tono tra il suadente, il mortifero e il sintetico ha qualche valore vitale (o qualche valore per cui morire). “Prince Charming” (Hetfield/Ulrich) [6:04] non trova riparo alla noia di riff rock puro e inutile altrettanto. Addirittura i Metallica si compiacciono e crogiolano su se stessi e sulla propria, non più thrash, ma trash musica: e soprattutto, che è forse peggio, su uno stile di vita da sex, drugs e rock n’ roll. “Low Man’s Lyric” (Hetfield/Ulrich) [7:36] è un country progressivo e cigolante alla “Mama Said”, di cui conserva la retorica ma non l’appeal.
“Attitude” (Hetfield/Ulrich) [5:16] è un branco di pachidermi su cui sparare e che si è sicuri di colpire occupando tutto lo spazio possibile. “Fixxxer” (Hammett/Hetfield/Ulrich) [8:15] è così ostico e anti-estetico da non poter far supporre che sia stato fatto senza cognizione di causa (un po’ come la musica degli Swans che è brutta perché così è voluta e così è arte): e allora diviene il brano meno-peggio del lotto; quello che significa anche il passaggio dal blues-paesaggistico di Load, a quello nucleare o industriale di Reload. Dopo il nichilismo nazista di Kill’em All, quello umanitario di Ride The Lightning, quello esistenziale di Metallica, si giunge a una sorta di nichilismo “del sesso femminile” che non è altro che l’alterigia ignominiosa del rock n’ roll o del blues dei Rolling Stones e dei Led Zeppelin (quest’ultimi specie in “Fixxxer” riproposti).
Garage, Inc.1998. Produttore Bob Rock.
Questo mastodontico album di cover ha nel rock una significativa importanza storica, di cui i critici non si sono avveduti, limitandosi a denunciare l’aspetto commerciale dell’operazione. Per prima cosa con la cover, con il manierismo, denuncia la fine e del rock e del metal a cui non rimane altro da fare che riproporre la tradizione, meglio, come qui, anziché nasconderla dietro pseudo-canzoni, palesarla nella riproposta di vecchi brani. Secondo consentì, grazie alla planetaria popolarità dei Metallica, da una parte a tutta una serie di gruppi storici di raggiungere un bacino più ampio di utenza e, come conseguenza, di farsi riscoprire col loro materiale originale dimenticato (da qui tutte le ristampe del caso a soddisfare la nuova domanda); dall’altra a migliaia di giovani o meno giovani di avere le referenze di gruppi fondamentali e di elevata taratura a cui non avrebbero mai posto mente. Infine, Garage, Inc. svela una volta di più tutti gli ingredienti dell’heavy-metal: dall’hardcore all’hardrock.
Per inciso, i Metallica, da grandi storici del rock che sono, scelgono, per le loro cover, un brano più memorabile e dimenticato dell’altro. Dopo il 1991, nel rock, sono da apprezzare molto di più iGarage, Inc. che i Vitalogy.
Discharge, Diamond Head, Mercyful Fate, Holocaust, Budgie, Blitzkrieg, Anti-nowhere League, Sweet Savage, sono tutti più o meno grandi gruppi che rinascono grazie ai Metallica. Ma ancheMotorhead, Misfits, Killing Joke e Thin Lizzy possono tirare il fiato di un nuovo interesse. Nel 1998Garage, Inc. raggiunse il n. 2 in Billboard.
S&M(produttore Bob Rock) è uno squallido live del 1999 con la San Francisco Symphony Orchestra, dove si può sentire tutto il cattivo odore della retorica americana. Il disco raggiungerà il n. 2 in Billboard.
Nei primi anni 2000 il mediocre e nevrastenico Newsted lascerà i Metallica (per Voivod e Echobrain); sostituito da un personaggio esteriormente singolare (sembra un aborigeno vestito da ska-punk) con la aleatoria funzione di iniettare nuova linfa all’atmosfera stantia dei Metallica: è Robert Trujillo (ex Infectious Grooves, Suicidal Tendencies e Ozzy Osbourne).
St. Anger(2003). Produttore Bob Rock.
Se gli ultimi album dei Metallica potevano meritare indifferenza, questo fa proprio stomacare. Addirittura si appella al nu-metal, all’ultima pseudo-trovata dei figli più bastardi dei Metallica. Questo lavoro, che merita infamia, è la prima prova, veramente negativa, dei Metallica. La paura è che non sia l’ultima. Viene addirittura chiamato Bob Rock (ormai quinto membro del gruppo) a comporre parte del materiale: il peggiore dei produttori si rivela ovviamente il peggiore dei compositori. Senza nulla da dire, senza nulla da fare, ciò che rimane ai Metallica è infangare la propria memoria e garantirsi il numero 1 in Billboard (vedi i tragicomici singoli “St. Anger”, “Frantic” e “The Unnamed Feeling”).
Death Magnetic (2008) si prefigura come il tentativo da parte dei Metallica di “tornare quelli di una volta”, di accalappiare i fan oltranzisti che in occasione della prova precedente avevano gridato al tradimento; nei fatti è un disco di thrash-metal passatista, nato già vecchio. I Metallica propongono esattamente la stessa musica di And Justice for All e del “Black Album”, solo più blanda, debole e senza la fruibilità delle canzoni del loro bestseller del 1991.
Il difetto principale del disco è che non c’è una sola canzone che possa definirsi tale: le tracce sono assemblaggi di riff thrash vecchia scuola che non cercano nemmeno di legarsi in modo coerente per formare brani compiuti, suonando pedanti e ripetitive. Se aggiungiamo una voce vuota e inespressiva, il drumming blando e ingenuo di un Lars Ulrich ai limiti storici e trovate di dubbio gusto – come l’attacco melodico di “That Was Just Your Life”, interrotto dalla batteria pestona nel modo più banale immaginabile – otteniamo un disco inutile e fastidioso.
Tutto quello che Death Magnetic può offrire è del metallaccio da headbangers (“Cyanide”), ballatone vetuste (“The Day That Never Comes”, l’ennesima rivisitazione di “Fade to Black”) e spudorati richiami al loro passato (“The Unforgiven III”).
Forse alla ricerca dell’eterna giovinezza e di uno spirito ribelle che difficilmente può essere ancora vivo e vegeto a 50 anni e dopo trenta anni di carriera, i Metallica provano comunque a stupire sé stessi e anche l’utenza rock. Nasce così la collaborazione con Lou Reed che si consolida nell’albumLulu, opera rock elaborata a livello tematico dal cantautore newyorkese sulla base dei due atti scritti all’inizio del ventesimo secolo dal tedesco Frank Wedekind. Alla musica ci pensa il combo di Frisco, elaborando un muro sonoro heavy tutt’altro che fantasioso ma tutto sommato consono alla storia narrata. Un disco di heavy rock magari dozzinale ma alla fine ben realizzato ed efficace. Il tutto mentre media e fan rimangono disorientati.
TRADUZIONE IN PERSIANO DELLA CANZONE
سوار بر آذرخش
گناهي كه انجام ميشه (مجرمي كه دستگير ميشه)٠
لعنت بهش ، اين درست نيست
يكي ديگه داره كنترلم ميكنه
مرگ در هوا جريان داره
درون صندلي برقي* پنهان شده
اين نميتونه براي من اتفاق بيافته
خدا چه كسي مجبورت كرد بگي
من زندگيتون رو ازتون خواهم گرفت !؟
جلو چشمام ظاهر شو
حالا وقته مردنه
توي مغزم داره آتيش ميگيره
و ميتوانم شعله ش رو حس كنم
منتظر علامت باش
براي ضربه بر اهرم مرگ
اين شروعِ پايان است
سرمايي سخت و ملال آور
به محض اينكه مرگ را بي پرده ميبينم
تنها رفيقم رو باخبر ميكنم
انگشتام از ترس سست شدند
من اينجا دارم چيكار ميكنم !؟
جلو چشام ظاهر شو
الان وقت مردنه
درونم مغزم آتش بگير و بسوز
من ميتونم شعله ها رو حس كنم
يكي كمكم كنه
اه لطفا ، خدايا كمكم كن
انها سعي ميكنن تمامش (جانم) رو ازم بگيرن
من نميخواهم كه بميرم
زمان به كندي ميگذره
يك دقيقه مثله ساعتها بنظر مياد
پرده نهايي گفت ميدونم و ميبينم
اين چقدر واقعيت داره
فقط باهاش كنار بيا
اگه اين حقيقت داره ، بگذار انجام بشه
با جيغي سركش بيدار شدم
و ازين خواب وحشتناك پريدم
جلو چشام ظاهر شو
الان وقت مردنه
درونم مغزم آتش بگير
من ميتونم شعله ها رو حس كنم
*صندلي الكتريكي كه براي اعدام استفاده ميشه
اسم آهنگ رو ميشه ” رعدوبرق را هدايت كن ” هم گذاشت ، اما بنظرما ين اسم كلاس كارش بيشتره !!!؟نه
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