5 MARZO 2013 ORE 18:55 IL TRIONFO DEI NUOVI BARBARI DI EUGENIO SCALFARI—REPUBBLICA 23 FEBBRAIO 2012

 

Il trionfo dei nuovi barbari

di Eugenio Scalfari

C’è una massa che vive il presente senza progetti e con uno sbiadito ricordo del passato. Il Festival di Sanremo è l’apoteosi di questa società. Che non ha una visione politica del bene comune

(23 febbraio 2012)

Ho letto domenica scorsa sulla “Repubblica” tre articoli che riguardano un tema molto importante, visto da diverse angolazioni. Ne cito gli autori perché vale la pena di leggerli: Massimo Recalcati, Benedetta Tobagi, Giuseppe Videtti.

Il tema è questo: “E’ sempre più difficile crescere in un mondo che sogna l’eterna giovinezza. Dai videogame ai social network si è diffuso un modello di società a “responsabilità zero””.

 

E’ un bel tema, non è vero? Ne parlò un anno fa il compianto Tommaso Padoa-Schioppa con la parola “bamboccioni” che allora fece molto discutere. Più recentemente l’ha ripreso Mario Monti a proposito della monotonia del posto di lavoro fisso. Ma qui si tratta d’altro. Non più e non soltanto di giovani che non vogliono invecchiare ma di adulti che non sono tali e diventeranno vecchi essendo rimasti bambini per tutta la vita. Ce ne sono sempre stati al mondo di tipi così, a cominciare da Telemaco col padre Odisseo; ma ora sono diventati massa, una massa che vive il presente senza progetti e speranza di futuro e con uno sbiadito ricordo del passato.

Questo tema dell’eterno presente mi è familiare e gli ho dedicato molte pagine nei miei ultimi libri, ma forse vi stupirete se dico che, dopo aver letto gli articoli sopracitati, m’è venuto in mente per associazione di idee il Festival di Sanremo da poco concluso. Gianni Morandi, Pupo, i cantanti e il pubblico, quello dell’Ariston e quello appiccicato ai televisori: 12-14 milioni di persone con punte anche superiori.

Bamboccioni? Adulti non cresciuti? E Celentano, bravissimo cantante e modesto profeta, per il quale vale la perfetta definizione datagli all’Ariston da Geppi Cucciari: “Nessuno deve sapere prima che cosa dirà e nessuno deve capire dopo che cosa ha detto”. Ma forse siamo noi, io e voi che mi leggete, a essere fuori del tempo, chiusi in torri non certo d’avorio ma di plastica per ripararci dal nuovo che avanza?
Il discorso è lungo e per quanto mi riguarda l’ho già fatto nel mio libro “Per l’alto mare aperto” dove racconto che cosa è stata l’epoca della modernità fino all’arrivo dei nuovi barbari.

Io vedo i nuovi barbari come una generazione di giovani vigorosi che scelgono nuove forme di linguaggio e lottano per costruire un futuro del tutto diverso dal nostro lascito, ma confesso che questa visione positiva dei barbari ha trovato fin qui scarso riscontro.

La modernità è certamente un’epoca ormai conclusa, ma la società attuale è profondamente imbarbarita, non crea nuovi valori e si limita a deturpare quelli ricevuti dal passato. Non è capace né di custodire il ricordo della modernità né di rinnovarla e di proiettarla verso il futuro.

Una società imbarbarita può avere una visione politica del bene comune? Ne dubito. Una visione del bene comune comporta un’assunzione di responsabilità poco compatibile con l’imbarbarimento. Le società imbarbarite sono piuttosto sedotte dal populismo e dall’antipolitica. Gli interessi particolari soverchiano quelli generali, lo Stato è considerato un nemico, la Costituzione un vincolo inutile, la legalità una parola vuota, una sorta di plastilina che ciascun interesse lobbistico modella a proprio uso e consumo. E questa è appunto la situazione dalla quale il nostro Paese è appena uscito, o almeno così sembra. Naturalmente il rischio di ricascarci dentro è tutt’altro che scongiurato.

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