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Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Autore | Eugenio Montale |
Titolo dell’opera | Ossi di seppia |
1ª edizione | 1925 |
Genere | poesia lirica |
Forma metrica | Due quartine composte da 7 endecasillabi ed un doppio settenario. Rima: ABBA-CDDA. Interna la rima con “strozzato” del v. 2. |
Commento
Spesso il male di vivere ho incontrato è una delle più alte poesie della raccolta Ossi di seppia presente nella sezione eponima. Già partendo dal titolo dell’intera raccolta e della particolare sezione in cui risiede la poesia, è possibile segnalare alcune caratteristiche fondanti di tutta l’opera. La poesia di Ossi di seppia è una poesia che, come l’osso di seppia, si lima, si fa «scabra ed essenziale», riduce le pretese eroiche e celebrative dei “poeti laureati” (in particolare Gabriele d’Annunzio, come si legge nei I limoni), per avvicinarsi alla quotidianeità, alla concretezza delle cose e spostandosi verso l’uso di toni ironici e colloquiali desunti in parte dal crepuscolare Guido Gozzano.
nota blog: eponimo ( dal gr. ἐπώνυμος, comp. di ἐπί sopra» e ὄνομα, ὄνυμα «nome») = che dà il nome- qui, sezione che si intitola ” Ossi di seppia “-
segue da:
Analisi del testo e Parafrasi: “I limoni” di Eugenio Montale
I Limoni – 1925
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
ui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
Forma Metrica:
Lirica di quattro strofe irregolari di versi liberi, prevalentemente endecasillabi
Parafrasi discorsiva
Ascoltami, i poeti illustri camminano sempre tra piante dal nome poco comune: bossi, ligustri o acanti. Dal canto mio, io preferisco le strade che vanno a finire tra erbosi fossi, dove nelle pozzanghere quasi asciutte i ragazzi si divertono a catturare le poche anguille che vi sono rimaste: le stradine costeggiate da argini, che poi scendono tra le canne e conducono negli orti, tra gli alberi di limoni.
È anche meglio quando i versi rumorosi degli uccelli si fanno silenziosi e salgono nell’azzurro del cielo: è così più facile sentire il fruscio dei rami colorati scossi da una brezza leggerissima, e l’essenza del loro odore che rimane attaccato al suolo e rovescia nel petto una dolcezza inquieta. Qui le passioni in tumulto trovano una pace miracolosa, qui anche noi poveri possiamo trovare la ricchezza che ci è dovuta ed essa è proprio l’odore dei limoni.
Capisci, in queste atmosfere silenziose in cui le cose si mostrano come sono e sembrano essere quasi pronte a rivelare la loro origine, ci si aspetta talvolta di poter scoprire qualche passo falso della Natura. il luogo in cui il mondo non esiste, l’anello mancante, il filo del gomitolo impossibile da sbrogliare, che finalmente ci faccia scoprire una qualche certezza. Lo sguardo allora cerca tutto intorno, la mente esplora, incatena ragionamenti e li disfa nel momento in cui quel profumo si espande maggiormente sul finire del giorno. In questi silenzi sembra che in ogni ombra umana che passando si allontana vi sia una entità divina che si vergogna di mostrarsi.
Ma quest’illusione svanisce e il tempo della nostra vita ci riporta nelle nostre rumorose città, dove il cielo si può vedere solo a piccoli pezzi, in alto, tra i tetti dei palazzi. La pioggia cade fitta sulla terra, poi; si fa fitta come un banco di nebbia la noia dell’inverno sulle case, la luce del giorno si fa via via più breve – si fa più malinconica l’anima.
Fino a un nuovo giorno in cui possiamo vedere attraverso un portone non del tutto chiuso tra gli altri alberi di un giardino il giallo degli alberi di limone; e la freddezza del cuore si riscalda e nel petto risuona il loro aspetto come fosse un inno suonato dai raggi del sole trasformati in trombe dorate.
Analisi e Commento
I limoni è la poesia che Eugenio Montale utilizza come dichiarazione aperta di poetica nell’edizione di Ossi di seppia del 1925, la sua prima e celebre raccolta. L’importanza programmatica del componimento fa sì che venga collocata pressoché in apertura del testo, in seconda posizione, preceduta solo dalla lirica introduttiva In limine.
Con I limoni, i cui riferimenti sono metaforici ma facilmente riconoscibile, Montale voleva esplicitare come Ossi di seppia fosse concepita quasi quale rovesciamento parodico dell’Alcyone dannunziano, testo poetico di riferimento dell’Italia dei primi decenni del Novecento. Ossi di seppia, come Alcyone, è formalmente il diario poetico di un’estate, ma si tratta dell’estate assolata e arida delle Cinque Terre in Liguria, ben lontana dalle atmosfere erotiche e idilliache cantate da Gabriele D’Annunzio, e popolata dal “male di vivere”.
Il titolo della raccolta allude agli scheletri delle seppie, “inutili macerie” lasciate dagli animali dopo la morte, trascinate a riva dalla corrente perché “rifiutate” dal mare stesso, utilizzate come simboli dell’esistenza umana.
I limoni è appunto la lirica in cui, mettendo immediatamente in chiaro la propria diversissima visione del mondo e della poesia rispetto alla generazione precedente, il poeta si smarca nettamente dal Vatismo del tardo Ottocento, apostrofando autori quali Giosuè Carducci e D’Annunzio come “poeti laureati”, specializzati nell’enfasi retorica e falsamente gloriosa. Proponendo la propria poesia, dal tono filosofico di ascendenza squisitamente leopardiana, che cerca il senso dell’esistenza tra stradine assolate e solitarie, Montale afferma che è venuto ormai il tempo delle incertezze piuttosto che dei proclami di grandezza.
I limoni che il poeta evoca al posto delle piante “dai nomi poco usati” sono allora un correlativo oggettivo, un oggetto quotidiano e semplice capace di sbloccare, almeno apparentemente, i meccanismi della memoria e del mistero dell’esistenza, che rendono solo apparentemente risolvibili i dubbi legati alla condizione umana.
E tuttavia i limoni sono anche metaforicamente “trombe della solarità” e della luce, ossia la fonte quegli attimi brevi e consolatori in cui l’intelletto umano e poetico si illude di poter afferrare certezze sull’esistenza, veritiere eppure aspre come l’odore degli agrumi.
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
Parafrasi discorsiva
Non chiederci la spiegazione – ossia la parola poetica – che dia una definizione precisa (squadri) dei segreti dell’animo umano indecifrabile (informe), e con lettere indelebili, e marchiate a fuoco lo descriva apertamente al mondo, risplendendo come un fiore giallo di zafferano rimasto solo in mezzo a un campo polveroso.
Ah, l’uomo che procede altezzoso e superbo, fiducioso nel prossimo e in se stesso, e non si dà preoccupazione alcuna della sua ombra che il rovente sole estivo proietta sopra un muro senza intonaco!
Non domandarci una formula matematica che possa rivelarti nuovi mondi e pianeti – le leggi dell’universo –, piuttosto chiedici solamente qualche sillaba dal suono aspro e secca come un ramo. Tutto ciò che noi siamo capaci di dirti oggi è ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
TRE FOTO DI EUGENIO MONTALE – stesso link sopra
Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981) è stato un poeta, scrittore, traduttore, giornalista, critico musicale, critico letterario e pittore italiano.