” L’invenzione del popolo ebraico”, di Shlomo Sand, professore ordinario di Storia Contemporanea presso l’Università di Tel Aviv.
Il libro è edito in Italia da Rizzoli, prima edizione 2010.
IL POPOLO EBRAICO E LA BIBBIA.
l’AUTORE dimostra come il sionismo abbia considerato ” storici” i testi biblici, privilegiando la narrazione biblica anche quando essa contrasta con le fonti esterne ( ritrovamenti archeologici ed epigrafici).
Dice l’autore a pag.173 :
” Nei primi anni dello Stato d’Israele tutte le élite intellettuali contribuirono a far prendere corpo al culto della sacra triade “libro-popolo-terra” e la Bibbia divenne un’icona fondamentale per l’elaborazione di una “rinnovata” sovranità statale.
Sostanzialmente la Bibbia è stata spostata dallo scaffale dei libri di teologia a quello dei libri di storia.
La Bibbia…” fu la base su cui costruire l’immaginario di un’antica “nazione”, le cui origini risalivano quasi alla creazione, che si impresse nella coscienza del passato di persone smarrite nel labirinto di una modernità veloce e turbolenta. L’accogliente grembo identitario della Bibbia, malgrado la sua natura di leggenda miracolosa ( o forse proprio grazie a essa), riuscì a fornire un duraturo e quasi eterno senso di appartenenza che il presente pressante e opprimente non era in grado di procurare.
Fu così che la Bibbia divenne un libro laico letto dai bambini per sapere chi fossero i loro avi e con cui ben presto gli adulti sarebbero orgogliosamente partiti per combattere le guerre di colonizzazione e indipendenza” .
ISRAELE E “l’invenzione dell’Esilio”:
Il mito dell’esilio fu necessario per creare una memoria di lungo periodo in cui un popolo-razza immaginato ed esiliato costituisse il discendente diretto del ” popolo biblico” che lo aveva preceduto.
L’autore sostiene che il popolo ebraico, anche dopo la distruzione del Tempio fatta da Tito nel 70 d.C. e da cui si fa partire la diaspora, non andò in esilio.
Probabilmente vi fu una temporanea contrazione della popolazione, dovuta alla guerra e alla devastazione, ma in nessuna fonte romana si fa cenno ad un qualsiasi esilio dalla Palestina .
Degli studiosi ebrei hanno dimostrato che il termine “galut”,esilio, indicava un asservimento politico, non uno sradicamento territoriale.
In alcuni testi rabbinici l’unico esilio menzionato era quello babilonese. Tra l’altro a Babilonia, a partire dal sesto secolo a.C e senza soluzione di discontinuità, risiedeva una comunità ebraica che non si diede mai la pena di tornare a Sion.
DONATELLA:
Naturalmente tutte queste notizie servono, secondo me, a smitizzare un po’ il mito dell’ebraismo e a considerare con mente più laica la politica dello Stato d’Israele, che paradossalmente, come accenna anche l’autore del libro, sta fraudolentemente sfrattando con la forza dalla loro terra i propri fratelli, i contadini che non si sarebbero mai mossi dalla Palestina e che sarebbero niente altro che le popolazioni mai allontanatesi dalla Terra Promessa.
Un altro argomento trattato è quello che dello Stato attuale, che non assicura pari diritti a tutti i suoi abitanti, ma li discrimina sulla base della religione.
DONATELLA:
mi pare un libro contro i luoghi comuni che vengono accettati per ignoranza, molto utile anche perché, dati gli orrori inenarrabili della Shoa, chiunque azzardi critiche allo Stato attuale di Israele viene tacciato di antisemitismo.
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