“Che puro ciel”, cantata dalla sublime Grace Bumbry
GLUCK Christoph Willibald (1714-1787) opera “Orfeo ed Euridice” (1762)
[audio:https://www.neldeliriononeromaisola.it/wp-content/uploads/2013/02/GRACE-BUMBRY-_CHE-PURO-CIEL_.mp3|titles=GRACE BUMBRY _CHE PURO CIEL!_]
Dal capitolo 7
20 –11 –90 (diario)
“E’ strano, mi sono arrabbiata con Mario,
ma non mi sono “separata” da lui:
chi capirebbe cosa dico?
Solo l’anno scorso litigavo
e mi allontanavo emozionalmente così tanto
da sentirmi sola e abbandonata.
Si formava un vallo oscuro tra me e quella persona
e noi stavamo su due picchi contrapposti e incomunicabili.”
Tagliavo il legame
ecco la spiegazione
tagliavo per odio della persona
e per odio verso di me
per rabbia di quello che lei mi faceva:
abbandonarmi
e questo solo
perché mi si opponeva
mi dava sulla voce
invece di capirmi
o anche perché
capirmi
non mi capiva
affatto
per quanto mi spiegassi e mi spiegassi
passavo il tempo a spiegarmi
stupidamente credendo
nella razionalità.
In questo modo
le fondamenta emotive-comprensive
della mia vita
erano sempre interrotte.
Vivevo con un paio enorme di forbici in mano.
Di qui la mia insicurezza vitale insuperabile.
Lo facevo con Mario
il mio grande amore
ma non lo facevo con tutti
quelli che mi interessavano
tanto è vero che avevo amicizie di più di quarant’anni.
Ma non lo facevo con il terapeuta
con il quale avevo un rapporto intimo
come con Mario e, forse, di più.
Con lui non potevo permettermelo:
la mia distruttività doveva starsene in tasca:
era l’unico che si era impegnato a capirmi
e per come ero io
Chiara
nella realtà.
Quello cui
avevo
sempre
agognato
com-
prendermi
era parola che per me significa
com-
prendermi tra le braccia
ed era
ancora
possibile
e questa volta
lo faceva
un professionista
specializzato
in psicotici
e inoltre
capace
di osservare
questo l’avevo visto
e lo faceva
per lavoro.
questa volta
non dipendeva
da amore
e da buona volontà
Sapevo che solo questa comprensione
Che doveva essere emotivo-intellettuale
– Dovevo essere io
E potermi riconoscere –
mi avrebbe
gradualmente
tolto
il panico dell’abbandono
e le forbici dalle mani.
nota di chiara: parlando spiccio, solo per questo modo di reagire (“tagliavo i legami”), potevo definirmi una “persona con una bella fetta (non misurabile con precisione) di “narcisismo”: ovviamente sono io che parlo con le mie quattro idee, i miei schemini ecc…..ma insomma, il narcisismo, nel mio vissuto, è “fragilità della propria immagine” o…(dubbi)… sulla propria identità?
C’è distinzione tra immagine di sé e identità? Subito, adesso, non lo so.
Ma la mia ipotesi è che ci sia distinzione: posso avere fragilità di immagine in alcune circostanze, ma in altre no, in quelle “non ho bisogno dello sguardo di nessuno”. Quello che capisce Chiara è che questa persona di cui parliamo ha un’identità anche solida, o relativamente solida/ come tutti, che in certe circostanze-i motivi sono i più vari- si sente traballante. Basta una malattia, una febbre un po’ alta…
Narciso si specchia continuamente nelle acque (mito) perché, se non si guarda, perde i contorni di se stesso, la figura che lo rappresenta. “Non sa chi è”: questa è l’angoscia profonda che rende quasi impossibile vivere. “Ma ha uno specchio (un tu, o un Tu) che glielo comunica. Qui la risorsa vera o salvezza. Quando non c’è più questo X che ti rassicura – che esisti e sei vivo (senza immagini uno è paralizzato dall’angoscia, come in quegli attacchi di panico in cui uno “non sa chi è, non sa più dov’è, non sa se ha qualcuno cui ricorrere… Se è giovane, per esempio, non sa più se ha dei genitori e dove trovarli…”)- allora sei vivo ma in una maniera insostenibile, anche senza saperlo ti auguri la morte per far cessare questa sofferenza incomunicabile.
Da questo stato ti puoi rimettere: era passeggero, succede qualcosa, qualcuno che ti aiuta, o riesci ad aiutarti in te stesso, può durare anni e anni, ma poi ne esci in qualche modo e come puoi. Se niente di ciò si verifica, devi far appello ad un’immagine “falsa” di te, costruita o ripescata dai tempi della prima infanzia quando-senza esperienza del mondo e dei confronti, della relatività dell’umano- i tuoi genitori erano giganti e tu eri uno di loro, specchiato “meraviglioso” (desta meraviglia) nei loro occhi di tante attenzioni. Talmente impotente com’eri, “eri al centro dell’universo”, tutto ruotava intorno a te, ma tu non ne sapevi la ragione fisiologica, tu eri un sole con tanti pianeti da far correre qui e là al tuo servizio, e pensavi fosse “così”, semplicemente “perché eri tu”.
How many roads must a man…
Ma non tutti hanno occasioni di percorrerle.
Questa “grandiosità” immaginaria diventa l’unica rifugio per sopravvivere alle inverosimili frustrazione della vita che, ad ogni passo, ti rimandano la tua impotenza…e qui e là…e ancor più nei rapporti umani.
Nella realtà pratica, ti puoi sentire così fragile, un’immagine continuamente pugnalata alle spalle, la colpa-responsabilità è sempre “fuori”, da dover ricorrere ad un involucro – che a volte non ti puoi togliere- nel quale tu voli libero nel cielo delle stelle.
La terra, gli altri?
Mi distraggo, vivo sognando ad occhi aperti, non esistono, li disprezzo, sono dei fantocci…e non puoi sapere assolutamente che stai parlando di te. Per quanto crudele sia dirlo. Il tuo impegno vitale nella vita è “tenere lontano dal tuo io, dalla tua persona la critica, il giudizio e il rimprovero” (Freud).
Non sei matto, sei normale, al massimo restringi straordinariamente il tuo campo di azione, i tuoi rapporti…non te ne accorgi, ma operi ossessivamente una drammatica selezione sia delle situazioni che delle persone, del lavoro, delle letture, degli spettacoli ecc…
“MAI SENTIR PARLARE DI CORDA IN CASA DELL’IMPICCATO”
“CHI TE NE PARLA E’ PERCHE’ TI VUOLE UCCIDERE”…
…simbolicamente che, poi, in certi momenti di crisi, in cui il pensiero astratto si allenta, le nostre facoltà superiori si affievoliscono, il pensiero si fa “concreto” invece che simbolico…allora è: UCCIDERE PER DAVVERO.
Anche questi possono essere momenti passeggeri, e non costituiscono malattia. Certo, tanto bene non vivi.
Poi, per alcuni, in seguito a predisposizioni varie e circostanze ed esperienze, c’è il salto: diventi psicotico, a tratti, anche, non c’è bisogno che sia sempre: allora, solo a volte, succede che i momenti di “obnubilamento”, si allungano, quell’immagine grandiosa non è solo più un rifugio, diventa la “tua unica identità” possibile, l’unica in cui puoi sopravvivere a tanta crudeltà continua-ossessiva degli stimoli che invadono la tua mente producendo “troppo” dolore.
Devi rinunciare alla terra e agli altri, vivere con il cielo le stelle e tu il sole in mezzo a loro. Ma momenti di lucidità -purtroppo per te, perché è un dolore insopportabile agli umani- ci sono ancora, sempre più ristretti, a meno che non intervengano cure “serie”, non solo farmacologiche. Anche perché, in quello stadio, non tolleri di non avere controllo totale sulla tua mente, mai cedere il potere ad un farmaco che agisce “senza che io sappia”, subdolamente, fuori dal tuo controllo onnipotente o divino che tutto vede ecc.
Siamo talmente fragili, “quasi gelatina” che: meglio pazzi che “perdere o diminuire il nostro potere su noi stessi e il mondo, gli altri ///////// nel fondo del nostro cuore, nelle recondità della nostra mente, il potere su noi stessi, e gli altri, l’abbiamo proprio perso da tempo. Ci appelliamo, e difendiamo come ultima breccia, un potere virtuale o nominale, che per questo deve essere sempre più assoluto.
Per tornare al mio testo sulle forbici, come dice benissimo Donatella nel commento, ad una ferita fatta a me stessa (immagine di), taglio e, a volte, tiro su “per sempre” il ponte levatoio del mio castello. In genere “taglio” con quella persona.
Posso tagliare con così tante persone, da avere un giardinetto del mio “io” quasi spoglio. Lascio che ci stiano proprio – e solo- quelli che, negli anni, hanno dimostrato di saper fare “la funzione” di sostegno al mio “io”, ossia nella relazione con loro, nel rapporto reciproco, sento che la-le mie immagini si illuminano un po’, mi fanno sentire accettata (“vado bene così come sono”), anzi magari mi mostrano potenzialità, o lati miei sconosciuti a me stessa, che mi arricchiscono e “mi rendono più bella”: nei loro occhi, quindi, mi ci specchio volentieri. Chiara, per esempio, in ogni ambiente in cui vive e ha vissuto (adesso Milano e Sanremo), a forza di olio di gomito (che, con gli anni diventa automatico) possiede un habitat, una specie di quartiere esterno- intimo che diventa un “nido”, dove si aggira leggera guardandosi in un numero, anche grande, di specchi che le rimandano l’idea che “lei ha di se stessa” -cioè, in genere, è quell’immagine che lei “vorrebbe essere”.
E’ quello che, in genere, fanno tutti.
PS: chiara, scopre facendo questo articolo, che ha perso le forbici, non taglia piu’: quello che da un po’ cerca di fare è “allontanare” da sé, riuscire a vederlo come un oggetto “davanti” e non “dentro / sulla sua pelle”, l’origine del suo soffrire. Che è sempre una persona: le situazioni difficili che ti fanno soffrire, lei, come altri, cerca di affrontarle come un problema da risolvere. Anche in questo ci vuole un certo “allontanamento” dal concreto “qui e adesso”, ci vuole una prospettiva lunga ed una gradualità. Oltre a olio di gomito a barili.
Lei adesso sta percorrendo il cammino inverso di altre persone: queste potevano vedere il mondo e gli altri da uno spioncino del castello e – crescendo- aprono una finestra o addirittura fanno scendere il ponte levatoio del loro castello…. Essendo che questo, per lungo allenamento, è sempre agilissimo…Direi che un modello di queste persone può essere Donatella, ammesso che ci si riconosca.
Chiara era invece della tribu’ che il ponte levatoio lo lasciava sempre sceso e tutti entravano ed uscivano come volevano. Non aveva difese. Queste si imparano soprattutto da un altro, un adulto, o anche un bambino, in cui ti specchi ed impari, che ti difendeva dal male-proteggeva.
Non aveva queste difese perché il suo disturbo mentale era cominciato molto presto, quando era piccolissima, e non aveva potuto apprenderle.
Adesso ogni tanto lo tira sù…in certi momenti, felici, come ha già scritto, credo qui, è ancora capace di guardare un albero di mimosa, in febbraio, e sentirsi splendente di piumini gialli perché lei è quell’albero; in certi momenti le succede anche con una persona, come per esempio, Diletta: attimi, sia pure, e necessariamente attimi, di straordinaria “comunione”:in quel momento si sfrangia la nozione di chi è chi, “attimi” e ritorni all’ovile, altrimenti sei malato.
Entrambi sono lunghi allenamenti che occultano processi complessi, soprattutto inconsci, che Chiara lascerebbe “per un’altra storia”.
Perché questo PS è dedicato a Diletta Luna, lei lo sa. BACI BACI PER LA NOTTE. ch.
Credo che “litighiamo” con gli altri, quelli che ci sono vicini e di cui ci importa, perché siamo noi insicuri di quello che siamo e ogni attacco all’immagine che abbiamo di noi diventa distruttivo dell’intera nostra personalità. Interpreto così quello che scrivi, non so se giustamente. Mi ha fatto pensare a come mi è pesato quanto mi è accaduto recentemente con i miei di Sanremo.
Mi sembra che hai espresso molto bene e chiaramente dei momenti, dei nodi, molto difficili da districare dentro di noi. E’ importantissimo riuscire a capirli e aiutare gli altri a comprenderli. Se si riesce a fare un po’ di chiarezza dentro di noi si soffre di meno e si fa soffrire meno gli altri. Una cosa che ho capito ultimamente ,o mi sembra di avere capito un po’ di più, è che il rancore verso gli altri fa prima di tutto male a noi stessi. Sei stata veramente …chiara, comprensibile e profonda al tempo stesso.
“Talvolta penso che la mia anima ardente ricordi un altro amore verso cui tende ancora/ come se questo nostro fuoco non fosse che la cenere calda di una fiamma ardente consumatasi in passato./ Forse in altri tempi raggiunsi ciò che ora cerco invano e forse la mia anima allora si fuse e si uni’ alla tua, in una splendida notte, da lungo tempo svanita e spenta./ O forse il mio spirito ha la divina visione di una vaga passione per i giorni avvenire, quando le anime forti vinceranno ogni ostacolo e due saranno come un’anima sola eternamente…/ provando infin nella suprema unione una calma inesprimibile e un infinito riposo”. Dagli “Ultimi Poemi” di L. Hope (sottolineatura di chiara)
PS. è una risposta al tuo commento, ma-dubbi-si capisce?
Preferisci questa?
EMILY DICKINSON
F5 – J14 (1858)
Una sorella ho in casa nostra –
E una, a una siepe di distanza.
Ce n’è soltanto una registrata,
Ma entrambe mi appartengono.
Una fece la strada che feci io –
E portava i miei abiti dell’anno prima –
L’altra, come un uccello il suo nido,
Costruì fra i nostri cuori.
Non cantava come noi –
Era un’armonia diversa –
Di per sé una musica
Come un Bombo di giugno.
L’oggi è lontano dall’Infanzia –
Ma su e giù per le colline
Tengo più stretta la sua mano –
Che accorcia tutte le distanze –
E tuttora il suo ronzio
Anno dopo anno,
Inganna la Farfalla;
Tuttora nei suoi Occhi
Restano Violette
Polverizzate da molte Primavere.
Versai la rugiada –
Ma serbai il mattino;
Scelsi quest’unica stella
Dagli immensi spazi della notte –
Sue – per sempre!
Scritto in ‘forma poetica’ ( breve poema ? ) con ‘funzione’ catartica (redenzione ?) .
Sei troppo gentile, caro Nemo…scritto, sì, per condividere ricerche interiori, ormai non più “in ebollizione”, conquiste, se vogliamo, nel cammino della sanità (compito che abbiamo tutti, non solo per la salute fisica), ma anche- e soprattutto-perché altri possano – se il Caso mai volesse– sentire le orecchie fischiare…e farsi la fatidica domanda – che nessun cosiddetto normale si vuole fare, specie a “quella nostra età”, in cui “gli equilibri o gli squilibri”, così come stanno-inamovibili- perché “fondano” la nostra sicurezza di poter sopravvivere–la domanda, dicevo, che è questa: “ed io?”. A mio modo di vedere, in quello scritto, si dice molto sulla vita di tutti noi, anche se non è immediatamente evidente come lo sono le cose inondate dalla “luce del giorno”, a cui “il normale” guarda quasi esclusivamente (parlo per schemini). Le cose che descrivo – e, soprattutto, “tento di descrivere”- come ti ho già detto in un MS- sono cose inafferrabili e, in realtà, “indicibili”. Ho ben presente il mio “tormento” (senza l’estasi!…dal famoso film su Michelangelo) nel mettere in parole “cose che vedevo come fossero oggetti del mondo quotidiano”, senza averne le parole. E’ difficile passare ad altri lo sforzo -quasi-impossibile – vissuto, ed è necessariamente così perché la nostra lingua ha un vocabolario prevalentemente per il mondo che vive nello spazio, il nostro mondo esterno. Fin dall’inizio, nel tempo in cui mi sono messa a scrivere, ho sentito la necessità di avere vicino un poeta cui raccontare una storia – la storia di un viaggio di un qualsiasi Ulisse, come ce ne sono tanti, nel mondo degli abissi e nei paesaggi lunari della nostra mente ma anche nelle sue “primavere” – un Ulisse legato, che si legava da solo (dando ossigeno alla sua parte sana), ma che voleva sentire e vedere a qualunque costo -lasciando a lui il compito di metterla in parole. Ho addirittura – “addirittura” perché è un personaggio assai difficile come in genere sono gli artisti, fuori le eccezioni- contattato Franco D’Imporzano (un poeta, scrittore di commedie ed altro, famoso a Sanremo e Liguria, e fratello della nostra Donatella…quest’ultima la sua fama migliore…) ricevendone, come si puo’ immaginare, un rifiuto assoluto. Nel mondo della scienza, per quel che possa sapere, da parecchi anni, fuori quei pochissimi scienziati che sanno fare “ottima divulgazione” da soli, un libro che riferisca una ricerca viene scritto a due mani dallo scienziato e da uno scrittore. Il mio, però, è “un certo tipo” di libro di scienza, una testimonianza, piuttosto, per alcuni non è “una scienza” neanche la psicologia, fuori quella sperimentale…Ma mi viene in mente – che, prima di tutto e al solito, ognuno al suo posto “a cambiarsi tutte le mutante che mutano” – le scoperte di Freud sono nate dalla ricerca su se stesso. Il famosissimo libro sui sogni (1900), che ha cambiato – nelle radici – la cultura del Novecento, in ogni campo, è nato dalla sua autoanalisi e dalla interpretazione dei suoi sogni. Oggi (da venti-trenta anni, forse più), le neuroscienze o scienze sperimentali del cervello, stanno dando ragione, non in tutto si capisce, a Freud. Del resto era proprio questo il suo sogno, dall’inizio alla fine, fino alla sua ultima opera pubblicata postuma (1940): che gli studi sul cervello un giorno potessero tradurre in biologia le sue scoperte. Ma vorrei aggiungere che, con tutta la devozione che ho alla scienza, non vorrei che questa fosse l’unica parola sull’umano e sulla vita: quante cose ci hanno detto i poeti nei millenni, anche nei riti, nelle favole, nel culto dei morti, nei graffiti delle rocce, nelle ceramiche e nell’arte in genere, nei primi balbettii della filosofia in Asia Minore (Grecia), nel libro dei Veda e nella cultura sanscrita in genere, di cui, purtroppo, non so quasi niente? Dico questo per difendere “il valore di verità” che esiste nelle testimonianze. Livelli diversi a parte. Da questa insormontabile difficoltà linguistica, che ho raccontato sopra, nasce, a mio modo di vedere, guardando in retrospettiva, questo modo di parlare che non è poesia, ma usa “la maschera” della poesia anche nel modo di mettere le parole sulla pagina. Nel disperato tentativo di far sapere ad altri…. un reporter dell’inconscio, potrei definirmi per scherzo…nel tentativo disperato che “non tutto sia stato invano”…troppo dolore da buttare nella pattumiera, senza vederne sorgere almeno una minuscola luce. Una parola, un suggerimento agli altri – normali e malati- che, in cammini estremamente diversi, sentono, se fortunati solo in ceri momenti, l’affanno che è per tutti vivere.
Il y a tant de soleil au dehors/ et si peu dans mon coeur./ Une brume pale et épaisse/ respire mon ame/ et ne veux voir le soleil./ Mon esprit s’est alégéré en parlant/ et je veux entevoir une lumiére:/Elle est déjà plus forte/et je peux sourire—30 gennaio 1960 (data di origine della funzione catartica…senza ahimé alcuna redenzione, come sai!), ciao, chiara
Ho capito dal tuo lungo ragionamento, cara Chiara, che ci sono veramente momenti di pesante incomunicabilità così come altri di vera comunione, ( chiaro il riferimento ). Non parlerei invece di rancore verso altri, come dice la Do, perchè non conosco questo sentimento e perciò lo ritengo….impossibile.
cara mia Diletta, forse ti direbbe qualcosa la risposta (lunga, lo so) che ho dato al commento di Nemo, a questo stesso articolo su “rabbia e vendicatività”…sono testi, i miei, che pur non essendo assolutamente “poesia”, come questa, vanno letti soprattutto come “disposizione d’animo” cioè in silenzio dagli affari quotidiani e in attesa delle immagini che alcune parole possono far sorgere dalla nostra mente, più specificamente, in questo caso, da quella parte della mente legata alle emozioni e ai sentimenti, non dico “inconsci”, ma a lui molto vicini al punto da essere “presi” alla rete della stessa logica, che è quella del sogno, del “sogno ad occhi aperti” o reverie (parola tecnica, da Bion, un celebre psicoanalista inglese del Novecento, una curiosità insulsa) ben differente dalla logica del giorno e della luce. Uno potrebbe anche dire (non tu): “Ma ce l’abbiamo questa logica nella nostra mente?” Be, la comunanza che troviamo con i bambini, alcuni di noi anche con i bambini in fasce, o la possibilità di recepire “il linguaggio dell’arte”, fosse anche solo la musica- possibilità comune, direi, a tutti, qualunque musica, intendo- ci suggeriscono che forse c’è in noi “una maniera di fare le tabelline” che non è solo quella del “due più due fa quattro”. Tutti, nella nostra vita, al di fuori dei “fatti-fatti che ci arrivano addosso”, abbiamo sentito che “quella situazione”, quel complesso-groviglio, a volte, “nodi” (come dice benissimo la Do, citando-credo senza saperlo- il titolo di un libro, che ho qui davanti, di un famosissimo psichiatra-psicoanalista inglese, il Laing, famoso negli anni Sessanta, in quanto protagonista del Movimento dell’Antipsichiatria, diffuso in tutto il mondo, cui ha partecipato da noi – ne è anzi l’esponente più famoso – Franco Basaglia), dicevo, “quel complesso contraddittorio di sentimenti che ci tirava un po’ da tutte le parti”, che tutti noi, più o meno (fuori “i tagliatori” di professione…lo spiego sotto), abbiamo almeno “una volta” sentito nella vita, ebbene, dicevo, noi sappiamo che quel “nodo” che “ci aggruppava”, faceva cinque sei e sette…Del resto, tutti noi siamo stati bambini e qualche bambino lo conosciamo anche noi, qualche bambino da osservare, imparando che per lui, per esempio, gli oggetti sono vivi, oppure che per loro, le immagini si associano in una maniera molto particolare (molto simile alle nostre associazioni nel sogno, quelle stesse che spesso ci lasciano stupefatti) ecc.. Il sistema nervoso, che io sappia, non cancella-se non apparentemente- i suoi tracciati nervosi, quella “logica” nostra da bambini è inscritta in una parte del nostro cervello e “sa”, lei sa, venirci in soccorso davanti ad una poesia che ci commuove ecc. ecc. Nei matti (parlo spiccio) questa logica antica “emerge” alla superficie, in certi casi, come nel delirio, sovrapponendosi, mai del tutto, a quella della luce quotidiana. Poi-rinsavendo-torna al suo posto “come sottofondo”. A differenza di quello che “ingenuamente” si crede (“ingenuità”, tra molte virgolette, in difesa della nostra “tranquillità”-equilibrio mentale) c’è differenza tra un normale ed un malato mentale (a parte i miliardi di tipi sia di sanità che di malattia), sì, c’è senz’altro, ma non così grande come un normale-cosiddetto-ha bisogno di credere per starsene isolato, “non contaminato”…A differenza del matto durante una crisi, adesso non considerando i cronici, un normale, quella logica bambina, la tiene sullo sfondo e spende una valanga di energie psichiche perché “cosi’ sia” cioè “lei”, la logica bambina o pazza, sempre parlando per schemi grossolani, DEVE, anche a costo della vita (PARLO SUL SERIO), deve assolutamente rimanere sullo sfondo, ce la tengo io, personalmente, con le mie mani inchiodata, perché c’è stato, magari nell’infanzia o nell’adolescenza, un’esperienza che mi ha fatto intravvedere “una foschia”, un disorientamento “serio” che per un secondo, o anche meno, mi ha fatto “barluminare” un abisso…un perdere i punti di riferimento, un allentamento, anche impercettibile della bussola, che ci guida per affrontare la realtà, così puo’essere stato, posso anche ammetterlo “possibile”, anche se non ricordo nulla di tutto cio’… se non, a volte, di aver sentito una specie di “malessere”, diciamo un insignificante disagio che mi ha “spinto” ad impegnarmi subito in una serie di faccende nel mondo esterno…arrivo addirittura a non avere un momento “libero” per “ariare la testa”…un momento libero “non sotto controllo”…la parola “totem” è appunto questa: “controllo”…sì, la poesia, il romanzo, l’arte, la musica…ma anche quella è “sotto controllo”, il mio, perché l’arte, per essere tale è “scompiglio-incandescenze-caos”, tutto quello che si vuole, ma “ricomposte”-filtrate, anche quando apparentemente non si vede, da una logica che è quella tranquillizzante della luce del giorno, ossia da un ordine, una -chiamiamola-possibile razionalità anche quando è contro la ragione…perché questo “contro” è tale contro “un” tipo di ragione, per esaltarne un’altra…non so se riesco a spiegarmi…Per esempio, gli Illuministi (salto il reverso della medaglia che c’è anche lì) ci hanno regalato un’idea di ragione, cosiddetta /da Cartesio/ “chiara e distinta” (parlo grossolanissimo, come per fare dei fumetti ai bambini), poi è arrivato il Romanticismo in Germania, i grandi, e hanno detto: “noi in questa ragione ci stiamo troppo stretti, nella nostra “ragione” ci deve stare anche il sentimento, la passione, non vogliamo amare tutto il mondo in quanto “la ragione è in tutti”, nella nostra “ragione” c’è posto per il primitivo, l’irrazionale, le fiabe, la religione, e la nazione invece del mondo… Ma qui, lo dichiaro ufficialmente, mi sono persa in una traversa che non c’entra niente! Scusatemi! Comunque, voglio finire, più in linea, pero’: con la poesia, io mi immetto nell’irrazionale dell’altro, lui ha vissuto, è stato in prima linea e mi racconta, io sono seduto, tra pareti che mi nascondono e proteggono, sono rilassato, in un momento, quasi fossi in sogno, che “non mi è richiesto di agire”…allora posso anche farmi “contaminare” dall’irrazionale altrui che diventa il mio…Ma solo a queste condizioni.
Finisco con quelli che – da buon carattere psicotico- tutte cose che dico io- non invidio, ma un po’ delle loro difese vorrei averle, che sono poi quelli che chiamo ” i tagliatori di professione”: intanto la grande maggioranza delle persone, giustamente, si difendono da ogni tipo di squilibrio, soprattutto mentale; diciamo che loro, “i tagliatori”, si difendono più degli altri perché qualche “disagietto” l’hanno sentito, in qualche momento della loro vita, qualche disagietto serio, che li ha portati a vivere con un’accetta in mano: questo lo taglio via, non è mai successo, non me lo ricordo affatto, quest’altro, be’, è un’esperienza penosa, via, il dolore lo devo bandire il più possibile perché, io, quando sto male, sto malissimo, più di tutto nella vita ho bisogno di “sicurezza” come tutti, devo avere le mie sicurezze, come tutti, ma le mie devono essere a prova speciale, l’insicurezza, anche minima, è troppo per me (e, sia chiaro, è troppo sul serio, per queste sensibilità quasi inimmaginabili), allora taglio…anzi, meglio guardare la vita da una vetrina, io vivo, s’intende, ma mi sono fatto i miei binari dai quali non esco, o faccio solo finta di uscire, così per gusto di irregolatezza, ma subito rientro, troppi spifferi dai finestrini non li tollero, meglio viaggiare sicuri…l’ideale è riuscire ad abbarbicarsi “in” un altro, una persona che amo appassionatamente perché-letteralmente- mi dà la vita…lui vive, sta in prima linea, si piglia le facciate del caso e se le smaltisce…io sto con lui, l’energia della vita, la passione che abbiamo della vita, mi arriva ma come attraverso un leggero specchio, mi tengo riparato e lascio lui che vada, ma se posso lo guido e lo dirigo, non immaginate quante idee mi vengono su come guidare, quando è l’altro che è sulla macchina a rischiare in prima persona…io da qui, da una specie di torre di controllo, so benissimo cosa lui deve fare…la mia creatività e saggezza sono al massimo…
Le persone che devono vivere “sotto totale controllo” degli spifferi della vita (così non c’è nessuno!, è modo di parlare), sono-per quel poco che la mia tana mi consente di vedere- persone serene, magari si dichiarano felici, in genere straordinariamente interventiste nella vita degli altri, mentre sulla propria guai a mettere, non dico un riflettore, ma anche una fiacca lampadina fioca…loro sono “perfetti” per definizione cioè inamovibili dall’equilibrio, unico, che si sono trovate e “adagiate finalmente!”…be’ alcune che conosco, attivissime nel mondo esterno, instancabili, un’energia strabiliante nel fare…ma quello che vedo io, quindi con tutti i difetti della vista e della mia in particolare, a forza di tagliare sentimenti-squilibri ecc. hanno il mondo psichico stretto come una tagliatella. Cosa te ne fai? Mi direte. Ed infatti, lo trovo perfetto, ognuno le tagliatelle se le dosa e condisce a modo proprio, io guardo con piacevolezza del mondo, ma non voglio che mi diano lezione di normalità, la famosa normalità! Una persona normale, a mio povero modo di vedere, dovrebbe avere uno sviluppo armonioso, per dire “in relazione”, tra mondo esterno e mondo interno…non puo’ essere che so tutto sul fuori e “dentro”…? :”no, niente, non so, dovrei pensarci ma non ne ho voglia, tanto non importa, non ricordo, vivo nel presente – senza memoria- e vivo mille volte meglio di te…che ti ricordi tutto o te lo credi”…
Se, in questo ultimo pezzetto, Nemo vuol dire che sono caduta in uno sfogo, che il raccontino, solo questo, però, ha funzione catartica…ha ragione. Sì, questo episodio della mia vita è troppo vicino, ancora caldo sulla pelle…pero’, vale in genere, per tutti i famosi teorizzatori di cosa è normale e di cosa non lo è: è proprio la storia della trave…almeno nella mia piccola vita è stato così, anche persone che si sono prese la briga di ricoverarmi…E poi, le stesse, a distanza di molti anni….penso ad una in particolare, una persona da me amatissima ed eccezionale, ha scoperto, molto dolorosamente anche se si è salvata – attraverso la religione- dalla pazzia, che la normalità in cui credeva e attraverso la quale mi ha “giudicato”, clinicamente almeno, era -per lei stessa- una gabbia strettissima nella quale si era rifugiata per proteggersi proprio dalla vita e dai suoi spifferi. Non vorrei essere volgare, ma i tre mesi di ospedale psichiatrico, Natale compreso, da sola, me li sono pero’ fatti io! CIAO CIAO, dice Nicolo’ all’americana…
cara Diletta, sei passata, come me, ma più di me, almeno nel tempo, attraverso le manine di carissime suorine che, terrorizzate dalla vita, ci hanno insegnato ad amare ad amare ad amare…io ho appreso, e, – ma questo è più tragico- messo in pratica / che “in ogni volto del prossimo, cioè di tutti, dovevo vedere il volto di cristo sofferente sulla croce”…Come potevamo mai ascoltare il nostro cuore umano dove c’è posto, anche nei migliori, per tutti i sentimenti umani, il male compreso, l’odio ecc. Se non senti questi sentimenti, intanto non li senti “coscientemente”…la coscienza è un’isoletta che galleggia sul mare, molto spesso in tempesta, della nostra vita mentale, fatta di passioni contrapposte, odi e amori, istinti di uccidere e di abbracciare…Non c’è disciplina morale che ti possa “guarire” (per me, grazie al cielo) dalla nostra vita animale e plantare e dei sassi e delle stelle ecc. Ci hanno insegnato fin dall’infanzia (a me “mi” hanno beccato verso i 12-13 anni, in una famiglia – in cui- e, qui, “che ogni cielo sia lodato!”- di bontà e religione manco si parlava…forse solo per questo, per non avere subito, appena entrata nella vita, tante sovrastrutture fantastiche ed astrattissime dalla vita concreta, è che mi sono potuta salvare dalla pazzia…in quella lotta, indicibile, se puoi credermi, tra una parte sana e una parte malata, entrambe col coltello in mano, cose da film , per noi, ma lì erano “vere”… se non saliva alla mia mente un micidiale egoismo di vita, io, proprio quella merda che ero io, che voleva vivere a qualunque prezzo… non solo non ero “sana” ma non ero viva…), ci hanno insegnato, dicevo, ad essere “altruisti”…ma dice la Bibbia prima del Vangelo: “ama gli altri come te stesso”: in questa frase c’è la grande saggezza di antichi popoli, che è, a mio parere, questa: se non ti sai amare bene (e su questo “non amarti” si fonda quello strano altruismo che mi ha insegnato una suora morta giovanissima di consunzione cioè un amore degli altri che si basa sul disprezzo di sé: ” tu conti meno, vali meno”, meglio gli altri, ma questo non è amore degli altri, è malattia o cultivo intensivo del masochismo, un piacere erotico ed egoistico di soffrire), dicevo che “se non ti sai amare bene, ossia, se non hai un vero amore sano ed egoistico verso di te, non puoi amare gli altri perché è proprio l’amore per te, in seno molto ampio, che deve essere il metro dell’amore verso gli altri. Se non è così, è amore… come quello della barzelletta che ti racconto adesso (è di Eliano, mio zio): alla sera i ragazzi boys-scout si riuniscono con il loro Padre per dire le loro buone azioni quotidiane: comincia Giorgio: “io ho fatto attraversare una vecchietta”; segue Marco: “Io ho aiutato Giorgio a fare attraversare la vecchietta”; be’ -dice il padre- in due, forse una vecchietta molto acciaccata…; segue Giuseppe: “io ho aiutato Giorgio e Marco a fare attraversare la vecchietta”. “eh, TRE NO!- dice il padre confessore- in tre per fare attraversare la vecchietta!!”. “Be, sa, padre-dice Marco- la vecchietta non voleva attraversare!”. E così, molto probabilmente, è stato per me, di te non posso sapere, ho passato il tempo a far attraversare vecchiette-“per essere buona-per dare tutto l’amore che avevo in cuore con la “q””- che di attraversare non ne avevano la minima voglia…le persone intorno a me potrebbero anche aprire la bocca…ma grazie al cielo, non siamo in giudizio…Loro non lo so, ma io non mi pento della mia vita, è grazie agli altri, a questa estrema facilità che ho ad immedesimarmi e far qualcosa, che ho avuto straordinarie esperienze del mondo interno della mente, che mai avrei potuto in una vita sola, ho come vissuto mille altre vite mentali – io come tanti altri “altruisti”-non necessariamente cattolici o religiosi- che mi fanno sentire enormemente ricca di vita e di bene; come lo hai tu, ho dentro di me un giardino di fiori e piante, con scoiattoli e pescecani, tutti “gentili”, “quasi” sempre, direi, ho- “praticamente”, come dice sempre mia figlia che in questi giorni è qui- “ingoiato” mille facce +mille che mi guardano con amore, mi accettano e mi nutrono di cose buone…una privilegiata, come vedi, e anche questa volta non parlo di soldi…privilegio quest’ultimo che è, forse, forse (ho qualche dubbio, a volte mi sembra più grande il privilegio di essere nata con tanta voglia di lottare per vivere), i soldi, il mio privilegio più grande perché senza i soldi duramente lavorati dei miei, non avrei mai potuto curami con i migliori specialisti, la colf per avere il tempo libero di studiare, tenere i diari a scopo di cura…fare la formazione in psicoanalisi studiando ec ecce…. Il mio ragazzo, quello che non c’è, una volta mi ha scritto che ” i soldi non fanno la felicità”: approfitto della tua letterina per rispondergli: “i soldi non fanno la felicità, ma qualcosa di molto simile, specie alla nostra età, fanno la comodità, il non doversi invejendare per ogni piccola cosa…quando non si deve parlare di cure speciali…E poi, perché no, fanno anche la felicitò di spendere che, in una società così delirante sui consumi, tocca anche la tua anima di sinistra…a meno di non giocare al contrario…tutti consumano, io no; tutti si slavazzano di bevande e di cibo, io no; tutti viaggiano, io no…E’ necessario, per essere felici così, avere l’orgoglio dell’ “io no”, io sono diverso, a parte…Ma, già, la Donatella, per esempio, posso azzardarmi, io credo, direbbe: “me ne frego assai di essere diversa, voglio non vivere di restrizioni, un po’ di relax almeno in quello, sarei meno depressa se potessi mettere le ruote sotto il mio culo ed andare in giro per l’Italia a veder tante bellezze d’arte…E’ ora di pranzo, nemmeno voi lo crederete, ma vi lascio, ho il sedere perfettamente quadrato, muscoli e ossa paralizzati, il cervello per primo…e mi costa anche lasciarvi…!! vostra e per sempre (una maledizione!) chiara
Ecco, Diletta mia diletta…hai scritto…”ragionamento”…il mio non lo è, bacini da micino, ch.
” …non tutto è stato invano ” se l’ esperienza aiuta il presente e …. il futuro tuo ma non solo .
Oh ciccy!
I tuoi ragionamenti lunghissimi sono da rileggere e meditare : c’è sempre da chiarire il discorso dell’incapacità del normale di capire chi non è come lui. A parte che le incomprensioni esistono anche tra i normalissimi ( ! ). Invece devo assicurarti che le ” carissime suorine ” di quando eravamo piccoli, tipo quelle di Villa S. Pietro , quelle di S. Marta e più tardi quelle della Misericordia, non mi sono mai piaciute e tanto meno carissime. Ricordo benissimo i miei buoni motivi per tale antipatia e mai ho pensato di dover vedere nel volto del mio prossimo quello di Cristo in croce. Allora non sapevo bene il perchè, oggi posso dire che il crocifisso mi dice ben poco, se non addiritura mi invoglia a contestare un Dio che manda morte suo figlio !