Marco Mauro, Famija Sanremasca ( link Facebook sotto ) : Buon Compleanno Italo ! Il 15 ottobre 1923 nasceva Italo Calvino.– la foto : bello, ma terribile ! + ” La strada di San Giovanni di Italo Calvino, pubblicata sul blog di Agnese Gatto ( link sotto )

 

 

chi avesse voglia di aprire, vedrebbe anche lui- come me-  che Chiara fa sempre le stesse cose, anzi le fa e le rifà–

 

EUGENIO SCALFARI :: Eugenio Scalfari: io, Italo Calvino e l’Italia ferita del 1943 –REPUBBLICA DEL 31 LUGLIO 2021

 

 

 

15 ottobre 2024

 

 

Famija Sanremasca

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Buon Compleanno, Italo!

 

” Una spiegazione generale del mondo e della storia deve innanzi tutto tenere conto di com’era situata casa nostra, nella regione un tempo detta < punta di Francia>, a mezza costa sotto la collina di San Pietro, come a frontiera tra due continenti. In giù, appena fuori del nostro cancello e della via privata, cominciava la città coi marciapiedi le vetrine i cartelloni dei cinema le edicole, e Piazza Colombo lì a un passo, e la marina; in su, bastava uscire dalla porta di cucina nel beudo che passava dietro casa a monte…. e subito si era in campagna, su per le mulattiere acciottolate, tra muri a secco e pali di vigne e il verde…..”

Il 15 ottobre 1923 nasceva Italo Calvino.

 

 

Potrebbe essere un'immagine in bianco e nero raffigurante 2 persone e bimbo

Italo con la mamma  Eva Mameli, la prima donna a conseguire la libera docenza in botanica nell’Università italiana–Sua è anche l’unica opera di botanica del secolo scorso, il “Dizionario etimologico dei nomi generici e specifici delle piante da fiore e ornamentali”, del 1972.

 

Eva Mameli Calvino, i fiori e le palme di Sanremo - Heraldo

(Sassari, 12 febbraio 1886 – Sanremo, 31 marzo 1978)

Sembravo timida ma non lo ero per niente.
Dentro di me sentivo una gran voglia di imparare.
Non avevo ancora idea di cosa avrei fatto,
però sapevo che desideravo scoprire per essere utile.
A chi o a che cosa lo ignoravo,
ma l’idea di diventare qualcuno
mi accompagnò sempre in quegli anni.

Eva Mameli Calvino

foto e citazione da:

HE Heraldo- sito che si occupa di donne scienziate

16 settembre 2022

 

 

 

link

Eva Mameli Calvino, i fiori e le palme di Sanremo

 

 

 

 

 

La strada di San Giovanni, di Italo Calvino

pubblicata da Agnese Gatto nel suo blog:

 

Il Gesto e il Segno  ( link  )

11 febbraio 2011

 

 

Io no, tutto il contrario: per me il mondo, la carta del pianeta, andava da casa nostra in giù, il resto era spazio bianco, senza significati; i segni del futuro mi aspettavo di decifrarli laggiù da quelle vie, da quelle luci notturne che non erano solo le vie e le luci della nostra piccola città appartata, ma la città, uno spiraglio di tutte le città possibili, come il suo porto era già i porti di tutti i continenti, e a sporgermi dalle balaustre del nostro giardino ogni cosa che mi attraeva e sbigottiva era a portata di mano eppure lontanissima ogni cosa era implicita, come noce nel mallo, il futuro e il presente, e il porto sempre a sporgersi da quelle balaustre, e non so bene se sto parlando di un’ età in cui non uscivo mai dal giardino o d’ una età in cui scappavo sempre fuori in giro, perché ora le due età si sono fuse in una, e questa età è una cosa sola con i luoghi, che non sono più luoghi né nulla, il porto non si vedeva, nascosto dall’ orlo dei tetti delle case alte di piazza Sardi e piazza Bresca, e ne affiorava solo la striscia del molo e le teste delle alberature dei battelli; e anche le vie erano nascoste e mai riuscivo a far coincidere la loro topografia con quella dei tetti, tanto irriconoscibili mi apparivano di quassù proporzioni e prospettive: là il campanile di San Siro, la cupola a piramide del teatro comunale Principe Amedeo, qua la torre di ferro dell’ antica fabbrica d’ ascensori Gazzano (i nomi, ora che le cose non esistono più, si impongono insostituibili e perentori sulla pagina per essere salvati), le mansarde della cosiddetta casa parigina, un palazzo d’ appartamenti d’ affitto, proprietà di cugini nostri, che a quel tempo (ora mi fermo verso il ‘ 30) era un avamposto isolato delle lontane metropoli finito sul dirupo del torrente San Francesco… Al di là si levava, come una quinta, il torrente era nascosto giù in fondo, con le canne, le lavandaie, il lerciume dei rifiuti sotto il ponte del Roglio, la riva di Porta Candelieri, dov’ era uno scosceso terreno ortivo allora di nostra proprietà, e s’ aggrappava la vecchia casbah della Pigna, grigia e porosa come un osso dissotterrato, con segmenti neri catramati o gialli e cespi d’ erba, sormontata al posto del quartiere di San Costanzo, distrutto dal terremoto dell’ 87 da un giardino pubblico ben ordinato e un po’ triste, che saliva con le sue siepi e spalliere la collina: fino al ballo d’ un dopolavoro montato su palafitte, al palazzotto del vecchio ospedale, al santuario settecentesco della Madonna della Costa, dalla dominante mole azzurra. Richiami di madri, canti di ragazze o di beoni, secondo l’ ora e il giorno, si staccavano da queste pendici sopraurbane, e calavano sul nostro giardino, chiari attraverso un cielo di silenzio; mentre chiusa tra le scaglie rosse dei tetti la città confusamente suonava i suoi sferragli di tram e di martelli, e la tromba solitaria nel cortile della caserma De Sonnaz, e il ronzio della segheria Bestagno, e a Natale la musica delle giostre alla marina. Ogni suono, ogni figura rimandava ad altri, più presentiti che uditi o veduti, e così via. Anche la strada di mio padre portava lontano. Lui del mondo vedeva solo le piante e ciò che aveva attinenza con le piante, e di ogni pianta diceva ad alta voce il nome, nel latino assurdo dei botanici, e il luogo di provenienza la sua passione era stata per tutta la sua vita quella di conoscere e acclimatare piante esotiche e il nome volgare, se ce n’ era uno, in spagnolo o in inglese o nel nostro dialetto, e in questo nominare le piante metteva la passione di dar fondo a un universo senza fine, di spingersi ogni volta alle frontiere estreme d’ una genealogia vegetale, e da ogni ramo o foglia o nervatura aprirsi una via come fluviale, nella linfa, nella rete che copre la verde terra. E il coltivare, perché questa era anche la sua passione, la sua prima passione, anzi, nel coltivare la nostra campagna di San Giovanni, là egli andava tutte le mattine uscendo per la porta del beudo con il cane, mezz’ ora di strada a piedi del suo passo, quasi tutta in salita, metteva un’ ansia perpetua come non tanto il far rendere quei pochi ettari gli stesse a cuore, ma il fare quanto poteva per portare avanti un compito della natura che aveva bisogno dell’ aiuto umano, coltivare tutto il coltivabile, porsi come anello d’ una storia che continua, dal seme, dalla talea da trapianto, dalla marza da innesto fino al fiore al frutto alla pianta e via di nuovo senza principio e senza termine nello stretto confine della terra (il podere o il pianeta). MA DI LA’ dalle fasce coltivate, uno squittire, un frullo, uno smuovere d’ erba, bastava a fargli alzare di scatto i tondi fissi occhi e la barbetta appuntita, restare a orecchio teso (aveva un viso fermo, da gufo, con scatti talora come un rapace da preda, aquila o condor), e già non era più l’ uomo dei campi ma l’ uomo dei boschi, il cacciatore, perché questa era la sua passione la prima, sì, la prima, ossia l’ ultima, l’ estrema forma della sua unica passione, il conoscere il coltivare il cacciare, in tutti i modi il darci addosso, dentro, in questo bosco selvatico, nell’ universo non antropomorfo, in faccia al quale (e soltanto lì) l’ uomo era uomo cacciare, appostarsi, la notte fredda avanti all’ alba, per i dossi brulli di Colla Bella o Colla Ardente, aspettando il tordo, la lepre (cacciatore da pelo, come sempre gli agricoltori liguri, il suo cane era segugio), o addentrarsi nel bosco, batterlo a palmo a palmo, col cane a naso in terra, per tutti i posti di passo degli animali, in ogni anfratto dove negli ultimi cinquant’ anni avevano scavato tane volpi e tassi e lui solo li sapeva, oppure quando andava senza fucile là dove i funghi affiorando gonfiano la terra fradicia dopo la pioggia o la striano le lumache mangerecce, il bosco familiare nella sua toponomastica dei tempi di Napoleone Monsù Marco, la Fascia del Caporale, il Cammino dell’ Artiglieria, ed ogni selvaggina ed ogni pista era buona pur di fare chilometri a piedi fuori delle strade, battendo vallata per vallata la montagna giorni e notti, dormendo in quei rudimentali essiccatoi per castagne, costruiti di sassi e rami, che chiamano cannicci, solo con il cane o il fucile, fino in Piemonte, fino in Francia, senza mai uscire dal bosco, aprendosi la strada, quella strada segreta che lui solo sapeva e che passava attraverso tutti i boschi, che univa ogni bosco in un bosco solo, ogni bosco del mondo in un bosco al di là di tutti i boschi, ogni luogo del mondo in un luogo al di là di tutti i luoghi. Capite come le nostre strade divergevano, quella di mio padre e la mia. Ma anch’ io, cos’ era la strada che cercavo se non la stessa di mio padre scavata nel folto d’ un’ altra estraneità, nel sopramondo (o inferno) umano, cosa cercavo con lo sguardo negli androni male illuminati nella notte (l’ ombra d’ una donna, a volte, vi spariva) se non la porta socchiusa, lo schermo del cinematografo da attraversare, la pagina da voltare che immette in un mondo dove tutte le parole e le figure diventassero vere, presenti, esperienza mia, non più l’ eco di un’ eco di un’ eco? Parlarci era difficile. Entrambi d’ indole verbosa, posseduti da un mare di parole, insieme restavamo muti, camminavamo in silenzio a fianco a fianco per la strada di San Giovanni. Per mio padre le parole dovevano servire da conferma alle cose, e da segno di possesso; per me erano previsioni di cose intraviste appena, non possedute, presunte. Il vocabolario di mio padre si dilatava nell’ interminabile catalogo dei generi, delle specie, delle varietà del regno vegetale ogni nome era una differenza colta nella densa compattezza della foresta, la fiducia d’ avere così allargato il dominio dell’ uomo e nella terminologia tecnica, dove l’ esattezza della parola accompagna lo sforzo d’ esattezza dell’ operazione, del gesto. E tutta questa nomenclatura babelica s’ impastava in un fondo idiomatico altrettanto babelico, cui concorrevano lingue diverse, mescolate secondo i bisogni e i ricordi (il dialetto per le cose locali e brusche aveva un lessico dialettale di ricchezza rara, pieno di voci cadute in disuso , lo spagnolo per le cose generali e gentili il Messico era stato lo scenario dei suoi anni più fortunati, l’ italiano per la retorica era, in tutto, uomo dell’ Ottocento, l’ inglese aveva visitato il Texas per la pratica, il francese per lo scherzo) e ne veniva un discorso tutto tessuto d’ intercalari che tornavano puntualmente in risposta a situazioni fisse, esorcizzando i moti dell’ animo, un catalogo anch’ esso, parallelo a quello della nomenclatura agricola, e a quell’ altro non di parole ma di zufolii, pispoli, trilli, zirli, chiù, che era dato dalla sua bravura ad imitare i versi degli uccelli, sia col semplice atteggiare delle labbra, sia aiutandosi con le mani disposte in modo adatto attorno alla bocca, sia mediante fischietti e macchinette, a fiato o a molla, di cui portava nella cacciatora un vario assortimento. “Puntare su carte ignote” Io non riconoscevo né una pianta né un uccello. Per me le cose erano mute. Le parole fluivano fluivano nella mia testa non ancorate a oggetti, ma ad emozioni fantasie presagi. E bastava un brandello di giornale calpestato che mi finiva tra i piedi ed ero assorto a bere la scrittura che ne sortiva mozza e inconfessabile nomi di teatri, attrici, vanità e già la mia mente aveva preso il galoppo, la catena delle immagini non si sarebbe fermata per ore e ore mentre continuavo a seguire in silenzio mio padre, che additava certe foglie di là da un muro e diceva: Ypotoglaxia jasminifolia (ora invento dei nomi; quelli veri non li ho mai imparati), Photophila wolfoides diceva (sto inventando; erano nomi di questo genere), oppure Crotodendron indica (certo adesso avrei potuto pure cercare dei nomi veri, invece di inventarli, magari riscoprire quali erano in realtà le piante che mio padre andava nominandomi; ma sarebbe stato barare al gioco, non accettare la perdita che mi sono io stesso inflitto, le mille perdite che ci infliggiamo e per cui non c’ è rivincita). (Eppure, eppure, se avessi scritto qui dei veri nomi di piante sarebbe stato da parte mia un atto di modestia e pietà, finalmente un far ricorso a quell’ umile sapienza che la mia gioventù rifiutava per puntare su carte ignote e infide, sarebbe stato un gesto di pacificazione col padre, una prova di maturità, e invece non l’ ho fatto, mi sono compiaciuto di questo scherzo dei nomi inventati, di quest’ intenzione di parodia, segno che ancora una resistenza è rimasta, una polemica, segno che la marcia mattutina verso San Giovanni continua ancora con il suo dissidio, che ogni mattina della mia vita è ancora la mattina in cui tocca a me accompagnare nostro padre a San Giovanni). Dovevamo accompagnare nostro padre a San Giovanni a turno, una mattina io e una mattina mio fratello (non in tempo di scuola, perché allora nostra madre non permetteva che fossimo distratti, ma nei mesi delle vacanze, proprio quando avremmo potuto dormire fino a tardi), e aiutarlo a portare a casa le ceste di frutta e di verdura. (Parlo di quando eravamo già più grandi, giovinetti, e nostro padre vecchio; ma l’ età di nostro padre pareva sempre uguale, tra i sessanta e i settanta, un’ accanita infaticabile vecchiaia). Estate e inverno, lui si alzava alle cinque, si vestiva rumorosamente dei suoi panni di campagna, s’ allacciava i gambali (vestiva sempre pesante, in qualunque stagione portava giacca e gilè, soprattutto perché gli servivano moltissime tasche per le varie forbici da potare e coltelli da innesto e matasse di spago o di raffia che aveva sempre con sé; solo d’ estate al posto della cacciatora di fustagno e del berretto a visiera col passamontagna metteva una tenuta di tela gialla sbiadita dei tempi del Messico e un casco coloniale da cacciatore di leoni), entrava in camera nostra per svegliarci, con bruschi richiami e scuotendoci per un braccio, poi scendeva le scale con le suole chiodate sui gradini di marmo, girava per la casa deserta (nostra madre s’ alzava alle sei, poi nostra nonna, e per ultime la cameriera e la cuoca), apriva le finestre della cucina, faceva scaldare il caffelatte per sé, la zuppa per il cane, parlava col cane, preparava le ceste da portare a San Giovanni vuote, o con dentro sacchi di semente o d’ insetticida o di concime (i rumori ci arrivavano attutiti nella semincoscienza, perché dopo la sveglia di nostro padre eravamo ripiombati di colpo nel sonno), e già apriva l’ uscio del beudo, era in strada, tossendo e scatarrando, estate e inverno. Al nostro dovere mattutino eravamo riusciti a strappare una tacita dilazione: anziché accompagnarlo finivamo per raggiungere nostro padre a San Giovanni, mezz’ ora o un’ ora dopo, cosicché i suoi passi che s’ allontanavano per la salita di San Pietro erano il segno che ancora ci restava un rottame di sonno cui aggrapparci. Ma subito veniva a darci una seconda sveglia nostra madre. Su, su, è tardi, babbo è già andato da un pezzo!, e apriva le finestre sulle palme mosse dal vento del mattino, ci tirava le coperte, Su, su, che babbo vi aspetta per portare le ceste! (No, non è la voce di mia madre che ritorna, in queste pagine risuonanti della rumorosa e lontana presenza paterna, ma un suo dominio silenzioso: la sua figura si affaccia tra queste righe, poi subito si ritrae, resta nel margine; ecco che è passata nella nostra stanza, non l’ abbiamo sentita uscire, ed il sonno è finito per sempre). Devo alzarmi in fretta, salire fino a San Giovanni prima che mio padre si sia messo sulla strada del ritorno, carico. Tornava sempre carico. Era un punto d’ onore per lui non fare mai il viaggio a mani vuote. E poiché per San Giovanni non passava la carrozzabile non c’ era altro modo di portar giù i prodotti della campagna che a forza di braccia, (di braccia nostre, perché le ore dei giornalieri costano e non si possono buttar via, e le donne quando vanno al mercato sono già cariche della roba da vendere). (C’era stato pure il tempo ma questo è un ricordo d’ infanzia più lontano del mulattiere Giuà con la moglie Bianca e la mula Bianchina, ma da un pezzo la mula Bianchina era morta, a Giuà era venuta l’ ernia, e la vecchia Bianca invece vive ancor oggi mentre scrivo). D’ ordinario era verso le nove e mezza o le dieci che mio padre faceva ritorno dalla sua gita mattutina: si sentiva il passo nel beudo, più pesante che all’ andata, un colpo alla porta di cucina (non suonava il campanello perché aveva le mani ingombre, o forse più ancora per una specie d’ imposizione, di enfasi del suo arrivare carico), e lo si vedeva entrare con un cesto infilato a ogni braccio, o una sporta, e sulle spalle uno zaino o addirittura una gerla, e la cucina era subito invasa d’ insalata e di frutta, troppa sempre per il fabbisogno dei pasti familiari (ora sto parlando dei tempi d’ abbondanza prima della guerra, prima che coltivare il podere diventasse il mezzo quasi esclusivo per procurarsi il necessario), con la disapprovazione di nostra padre, preoccupata sempre che nulla andasse sprecato, nelle cose, nel tempo, negli sforzi. (Che la vita fosse anche spreco, questo mia madre non l’ ammetteva: cioè che fosse anche passione. Perciò non usciva mai dal giardino etichettato pianta per pianta, dalla casa tappezzata di bouganvillea, dallo studio col microscopio sotto la campana di vetro e gli erbari. Senza incertezze, ordinata, trasformava le passioni in doveri e ne viveva. Ma ciò che muoveva mio padre ogni mattina su per la strada di San Giovanni e me giù per la mia via più che dovere di proprietario operoso, disinteresse d’ innovatore di metodi agricoli, e per me, più che le definizioni di doveri che via via mi sarei imposto, era passione feroce, dolore a esistere cosa se non questo poteva spingere lui a arrampicarsi per i gerbidi e i boschi e me a addentrarmi in labirinto di muri e carta scritta? confronto disperato con ciò che resta fuori di noi, spreco di sé opposto allo spreco generale del mondo). Mio padre non faceva mai risparmio di forze, ma solo di tempo: non evitava la salita più erta se era la più breve. A San Giovanni da casa nostra si poteva arrivare in molti modi a seconda di quali tratti di mulattiera e scorciatoie e ponti si sceglievano: il percorso che mio padre seguiva era certamente frutto d’ una prolungata esperienza e di miglioramenti e rettifiche successive; ma ormai era diventato come le scale di casa, un seguito di passi da compiersi a occhi chiusi, che nel pensiero occupano solo l’ intervallo d’ un secondo, come se l’ impazienza abolisse lo spazio e la fatica. Bastava pensasse: Ora vado a San Giovanni (aveva ricordato a un tratto che una fascia di topinambur non era stata irrigata, che un semenzaio di melanzane doveva già mostrare le prime foglie), e già si sentiva trasportato lì, già la sgridata ai manenti o ai giornalieri che gli ribolliva dentro prorompeva dal petto in una valanga d’ improperi a uomini e donne, dove l’ oscenità aveva perso ogni calore di complicità ed era divenuta austera e squadrata come un muro di pietra. “Prìncipi caduti in rovina” Questa impazienza, quest’ insofferenza a trovarsi altrove che nella sua campagna, lo prendeva talvolta anche a mezzo della giornata, quand’ era già disceso dalla solita ispezione mattutina a San Giovanni e s’ era cambiato con i vestiti da città, il colletto duro, il gilè con la catena d’ argento, in testa il fez rosso, comprato in Tripolitania, che teneva in casa e in ufficio per riparare la testa calva, e a un tratto, in mezzo ad altre faccende, gli veniva in mente perché sempre il pensiero che l’ occupava era quello d’ un lavoro di San Giovanni non portato a termine o non eseguito come si doveva o d’ un operario che per mancanza d’ ordini forse stava in ozio, ed ecco lo vedevamo levarsi dalla scrivania, salire in camera sua, scendere bardato di tutto punto dal casco ai gambali, slegare il cane e prendere per la porta del beudo, magari nell’ ora più calda d’ un pomeriggio estivo, guardando fisso davanti a sé, in mezzo al sole. Dal beudo si usciva nella scalinata di Salita San Pietro, a ciottoli e mattoni. Vi si incontravano i vecchi dell’ Ospizio Giovanni Marsaglia, col berretto grigio e le iniziali rosse, (tra loro, si sapeva, erano anche principi russi caduti in rovina, lord che avevano scialacquato patrimoni in Riviera), le monache e le bambine in fila delle colonie milanesi, i parenti dei malati che salivano al Nuovo Ospedale. L’ abitato di quella regione percorrevamo adesso un tratto di carrozzabile presentava sedimenti diversi: in antico come dappertutto era stata una distesa d’ orti custoditi da casolari; poi al volgere del secolo anche lì intorno era sorta qualche villa signorile con giardini sventaglianti di palme, come quella abitata da noi (primo acquisto dei miei genitori al ritorno dall’ America), e un’ altra un po’ più a monte, in stile indiano, tutta guglie e cupole fusiformi, chiamata Palais d’Agra (nome per me misterioso finché non lessi Kim di Kipling), un’ altra ancora adibita a lazzaretto civico, con le persiane sempre chiuse; in seguito le zone residenziali agiate della città si erano disposte altrove e qua s’ era stabilito un regno di villette modeste, palazzine familiari con un piccolo terreno coltivato a semenzai e col casotto del pollaio o della conigliera. Così si andava fino al ponte di Baragallo in una periferia mezzo campestre ma già presa d’ assalto dalla città, dove alle tracce della vita agricola più antica (un vecchio frantoio d’ olive, che scrosciava acqua e muschio sulle ruote arrugginite; una cantina con le tine e i torchi, violacea), si affiancavano garages, magazzeni di fioristi, segherie, depositi di mattoni, una centrale elettrica tutta vetrate che incombeva illuminata vuota e ronzante nelle mattine avanti l’ alba, e là in fondo il massiccio parallelepipedo delle case popolari, primo e unico lotto d’ un progettato villaggio, opera del Regime iniziata di slancio e rimasta senza seguito, ma sufficiente a ricordare che la civiltà delle masse già occupava l’ Europa. Al ponte di Baragallo lasciavamo la carrozzabile che continuava verso la Madonna della Costa (là passavamo soltanto quando si andava a trovare lo zio Quirino detto Titin, nella casa ottocentesca dei Calvino che affiorava col vecchio intonaco rosa dalla nuvola grigia degli olivi in cima alla collina, dove erano state le fornaci di mattoni dei miei bisavoli), e si costeggiava il torrente. Qualche cosa era cambiato all’ improvviso, e il primo segno era questo: che fino a Baragallo la gente che s’ incontrava era come sempre la gente per la strada che nemmeno ci si guarda; dopo Baragallo incontrandosi tutti si salutavano, anche tra sconosciuti, con una Bona ad alta voce o con un’ espressione generica di riconoscimento dell’ esistenza altrui come: Andamu andamu o Semu careghi, ancoei, o un commento al tempo che fa, Mi digu ch’ a va a cioeve, messaggi di riguardo e amicizia pieni di discrezione, pronunciati com’ erano senza fermarsi, quasi tra sé, alzando appena gli occhi. Anche mio padre dopo Baragallo cambiava, smetteva quell’ impazienza nervosa nel passo che aveva mostrato fin lì, quella scontentezza nello sgridare il cane, nel dargli strattoni se lo teneva alla catena; ora il suo sguardo correva attorno più sereno, il cane di solito veniva slegato, ed ammonito con parole e fischi e schiocchi più bonari e quasi affettuosi. Questo senso di ritrovarmi in luoghi più raccolti e familiari prendeva me pure, ma sentivo insieme anche il disagio di non potermi più credere il passante anonimo della carrozzabile; di qui in poi ero u fiu du prufessù sottoposto al giudizio di tutti gli occhi altrui. “Un lungo e vasto dirupo” Oltre un assito si scontravano strillando i maiali (vista insolita da noi) allevati da una famiglia di piemontesi che avevano messo su una cascina come nei paesi loro. (Già per via avevamo incontrato il carro col vecchio Spirito a cassetta che andava a consegnare i bidoni del latte ai clienti). Dall’ altro lato la strada dava sul torrente scosceso, e affacciate a una specie di parapetto-canale c’ era la fila delle donne che lavavano i panni. Più in là si poteva scegliere tra due strade, a seconda se si riattraversava o no il torrente su un antico ponte a schiena d’ asino. Non passando il ponte, si prendeva per certi tratti di beudo e scorciatoie fiancheggianti fasce coltivate, e si raggiungeva la mulattiera di San Giovanni attraverso una salita a gradini, recente di costruzione (o riattamento) che andava su così diritta ed assolata ed era erta da mozzare il fiato. (Dopo quest’ ultima guerra, una mano aveva scritto su di un muro in cima alla salita in enormi lettere di catrame una parola laida, a scherno della pazienza e del sudore di chi va su carico, forse per risvegliare un istinto di ribellione, o solo per chiedere conferma alla propria mancanza di speranze). Poi la mulattiera s’ addentrava verso San Giovanni per un bel tratto in piano; il mare, era alle nostre spalle; di là dal torrente la riva di Tasciaire era squarciata da un lungo e vasto dirupo, prodotto da un’ antica frana, azzurro nella pietra scheggiata e color terra. Da una certa svolta in poi già si vedeva in fondo alla valle aprirsi di sbieco la valletta di San Giovanni, nitida da poterla distinguere fascia per fascia dove gli olivi non annuvolavano la vista e chi vi lavorava, e il fumo dai tetti rossi dei casoni. Questo percorso era preferito per la discesa; salendo eravamo più attratti dall’ altro: passato il ponte, la salita era quella della mulattiera di Tasciaire, ripida e soleggiata anch’ essa, ma ritorta e varia, e selciata di vecchie pietre logore e sbilenche, da apparire in confronto comoda e familiare. Ci se ne distaccava a un certo punto per inoltrarsi in un lungo beudo che percorreva a mezza costa la vallata, ai piedi di quell’ enorme dirupo che si vedeva dall’ altra riva. Il beudo era sopraelevato sulle fasce e per non mettere un piede in fallo bisognava guardare bene ai propri passi e talvolta appoggiare una mano al muro storto e panciuto. Il cane di solito trovava la sua via sicura nel canaletto, zampettando nell’ acqua. Alberi di fico sporgevano qua e là dalle fasce e un’ ombra verde proteggeva il beudo; alcuni casolari ne erano proprio a ridosso e camminando quasi ci si entrava dentro, mescolandosi alle vite di quelle famiglie, tutti sul lavoro dall’ alba, donne e uomini e ragazzi a rivoltare la terra della fascia a sordi colpi di magaiu (il bidente a tre becchi), o, sempre col magaiu, facendo girar l’ acqua nel loro, cioè abbattendo i rincalzi di terra del beudo e ribadendone altri per condurre il rivolo a serpeggiare in mezzo ai semenzai. Più in là il beudo si perdeva in una macchia di canne fitte e fruscianti, ed eravamo arrivati al torrente. Occorreva guadarlo, con salti a zig-zag tra gli scogli bianchi, secondo un disegno a noi ben noto ma sempre soggetto a cambiamenti, quando le giornate piovose ingrossavano la corrente e facevano sparire qualche appoggio. Risalendo dal torrente si tagliava per passaggi privati, tra le fasce, fino a una scorciatoia che era un mezzo torrente anch’ essa, e si raggiungeva anche qui la mulattiera di San Giovanni, ma in un punto molto più avanti che per l’ altra via. Mio padre, più ci avvicinavamo a San Giovanni, più era preso da una nuova tensione, che non era solo un ultimo scatto dell’ impazienza di trovarsi nel solo luogo che sentiva suo, ma anche come il rimorso d’ esserne stato per tante ore lontano, la certezza che in quelle ore qualcosa si fosse perso e guastato, l’ urgenza di cancellare tutto quello che nella sua vita non era San Giovanni, e insieme il senso che San Giovanni, non essendo tutto il mondo ma solo un angolo del mondo assediato dal resto, sarebbe stato sempre la sua disperazione. Ma bastava che dall’ alto d’ una fascia qualcuno che poteva o che dava il solfato alle viti lo interpellasse: Prufessù, pe’ piaxè, a vureiva faghe ina dumanda, e gli chiedesse un consiglio sulle miscele dei concimi, sull’ epoca migliore per gli innesti, sugli insetticidi o le sementi nuove del consorzio agrario, e mio padre, rasserenato, calmo, esclamativo, un po’ verboso, si fermava a spiegargli il perché e il percome. Insomma, non aspettava altro che il segno che in questo suo mondo fosse possibile una convivenza civile, mossa da una passione di miglioramento, guidata da una ragione naturale; ma subito tornavano a stringerlo da vicino le prove di come tutto fosse insidiato e precario e lo riprendeva la furia. E uno di questi segni ero io, il mio appartenere all’ altra parte del mondo, metropolitana e nemica, era il dolore che questa sua ideale civiltà di San Giovanni non la si poteva fondare con i suoi figli e fosse per ciò senza un futuro. Dunque l’ ultimo tratto della strada era compiuto con una fretta ingiustificata, come il lembo della coperta da rincalzare per chiudersi dentro a San Giovanni; e così si passava un decrepito frantoio abitato da due vecchie ancora più decrepite, il ponte di cemento armato che riattraversava il torrente (qui la strada prendeva lentamente a salire), la casa del nostro parente Regin, guardia daziaria, il cui cane dall’ alto di un muro attaccava col nostro cane un interminabile litigio di balzi e latrati, (qui la salita diventava erta), la campagna d’ un altro nostro parente, Bartumelìn che aveva passato la giovinezza nel Perù (la moglie, che vedevamo risciacquare i panni nel lavatoio, era un’ india peruviana, una donna grassa in tutto simile alle nostre, nel viso e nel dialetto), (e s’ attaccava l’ ultimo tratto di salita, il più ripido), la campagna di due allampanati mulattieri che a un certo punto sostituirono il mulo con un tozzo bue da carico… Il petto di mio padre ansava non di fatica ma d’ improperi e rimproveri: eravamo arrivati a San Giovanni, ora entravamo nel nostro. “Litigio di balzi e latrati” Mi toccherebbe qui di raccontare ancora ogni passo e ogni gesto e ogni mutamento d’ umore all’ interno del podere, ma tutto ora nella memoria prende una piega più imprecisa, come se, finita la salita col suo rosario di immagini, io venissi ogni volta assorbito in una specie di limbo attonito, che durava finché non veniva l’ ora di dare mano alle ceste e riprendere la strada per tornare. Ho già detto che soprattutto in questo aiutare nostro padre a portare le ceste consisteva il nostro dovere quotidiano. Ossia, avremmo dovuto aiutarlo in tutto, per imparare come si governa una campagna, per assomigliare a lui, come è giusto che i figli assomiglino al padre, ma presto s’ era capito da una parte e dall’ altra che non avremmo imparato niente, e l’ idea di educarci all’ agricoltura era stata tacitamente dimessa, o rimandata a un’ età di nostra maggiore saggezza, come ci fosse concesso un supplemento d’ infanzia. Quindi il portare le ceste era l’ unica cosa sicura, l’ unico dovere accettato come innegabilmente necessario. Non era un compito privo, direi, d’ un suo piacere: ben bilanciato il carico, una gerla di vimini sulle spalle, un cesto infilato a un braccio meglio se l’altro braccio era sgombro, per alternare il peso mi davo alla strada a testa bassa, con una specie di furia, un po’ come mio padre; e intanto, sgravato d’ ogni dovere d’ attenzione per il mondo intorno e di scelta dei miei movimenti, impegnate tutte le energie nello sforzo di reggere il carico a buon fine e nel posare i passi lungo un percorso immutabile come un binario, la mente poteva vagare libera e protetta. Ci davamo dentro in questa mansione di camallo, con un impegno sproporzionato, io, mio fratello, e lo stesso nostro padre; perché anche per lui sembrava che non fossero più tanto l’ inventiva delle coltivazioni, l’ esperimento, il rischio ad attirarlo, di San Giovanni, quanto il trasportare e accumulare roba, questa fatica da formiche, una questione di vita o di morte (e di fatto quasi lo era: erano cominciati gli anni interminabili della guerra; la nostra famiglia, nella generale penuria, era entrata, grazie al podere di San Giovanni, in una fase d’ economia agricola indipendente o come si diceva allora autarchica), e se non c’ eravamo noi ad accompagnarlo scendeva carico in maniera esagerata come un mulo era l’immagine rituale, ostentata, forse anche per farci pesare la nostra diserzione; ma pure se lo accompagnava uno dei figli o entrambi, scendevamo tutti egualmente carichi, sbilenchi, muti, guardando terra, assorti ognuno nel proprio pensiero, impenetrabili. La nostra cupezza contrastava con la ricchezza del contenuto delle ceste. Questo era nascosto (secondo l’ abitudine contadina di gelosa diffidenza degli sguardi altrui) da uno strato di larghe foglie di vite o di fico, ma la copertura instabile col dondolio del passo si disperdeva per via e ne sporgevano le trombe verdi degli zucchini, le pere coscia di monaca, i grappoli d’uva Saint-Jeannet, i fichi fiori, la peluria dura del chayote, le spine verdiviola dei carciofi, le pannocchie di mais dulce o sweet corn da sgranocchiare bollite, le patate, i pomodori, i bottiglioni del latte e del vino, e alle volte uno stecchito coniglio già scuoiato, il tutto disposto in modo che le cose dure non ammaccassero le molli, e vi restasse il posto per il cespo d’ origano o di maggiorana o di basilico. (Insignificanti allora queste ceste ai miei occhi distratti, come sempre al giovane appaiono banali le basi materiali della vita, e invece, adesso che al loro posto c’ è soltanto un liscio foglio di carta bianca, cerco di riempirle di nomi e nomi, stiparle di vocaboli, e spendo nel ricordare e ordinare questa nomenclatura più tempo di quanto non facessi per raccogliere e ordinare le cose, più passione… non è vero: credevo mettendomi a descrivere le ceste di toccare il punto culminante del mio rimpianto, invece niente, ne è uscito un elenco freddo e previsto: invano cerco di accendergli dietro un alone di commozione con queste frasi di commento: tutto rimane come allora, quelle ceste erano già morte allora e lo sapevo, parvenza d’ una concretezza che non esisteva già più, e io ero già quello che sono, un cittadino delle città e della storia ancora senza città né storia e di ciò sofferente, un consumatore e vittima dei prodotti dell’ industria candidato consumatore, vittima appena designata , e già le sorti, tutte le sorti erano decise, le nostre e quelle generali, però cos’ era questo rovello mattutino di allora, il rovello che ancora continua in queste pagine non completamente sincere? Forse tutto avrebbe potuto essere diverso, non molto diverso ma quel tanto che conta se quelle ceste non mi fossero state già talmente estranee, se il crepaccio tra me e mio padre non fosse stato così fondo? Forse tutto quello che sta avvenendo avrebbe preso un’ altra china, nel mondo, nella storia della civiltà , le perdite non sarebbero state così assolute, i guadagni così incerti?). “Le bianche capre svizzere” La tavola dove si posava la frutta e la verdura e si riempivano le ceste da portare giù, era sotto il fico, a fianco dell’ antico casolare di Cadorso, (dove viveva la famiglia dei manenti) con ancora la traccia sbiadita, sopra la porta, del simbolo massonico che i vecchi Calvino mettevano sulle loro case. La vigna occupava la parte più bassa della campagna, con le piante da frutto tra i filari; più in su era la piantagione dei grape-fruit, e sopra ancora gli ulivi. Là, all’ ombra delle verdi alte piante degli avogado-pears o aguacate, pupilla degli occhi di mio padre, era la casa costruita da lui, la villa in cui vivemmo poi i tempi più brutti della guerra; con a pianterreno la cantina modello e la stalla per le bianche capre svizzere. La nostra proprietà s’ interrompeva sulla piazza della chiesa di San Giovanni (dove ogni 24 di giugno si drizzava l’ albero della cuccagna e suonava la banda civica) e riprendeva dopo un tratto di mulattiera, comprendendo tutta una valletta, occupata nella parte più bassa da una piantagione di foglie di palma per corone da morto, più in su tutta a verdura e frutta, col casolare detto Cason Bianco (dove tenemmo per un certo tempo le pecore), e una sorgente nascosta tra rocce verdi di capelvenere, e una caverna di tufo, e una grotta di roccia, e una peschiera, e altre meraviglie che non erano più per me meraviglie, e ora lo sono ritornate, ora che al posto di tutto questo si estende squallida geometrica e feroce una piantagione di garofani con i muri squadrati, le terrazze tutte con la stessa inclinazione, la distesa grigia degli steli nel reticolato di stecchi e fili, le opache vetrate delle serre, le vasche di cemento cilindriche, e tutto quello che c’ era prima è scomparso, tutto quello che pareva ci fosse e già non era che un’ illusione o un eccezionale rinvio. La vallata di San Giovanni, in ombra durante parte del giorno, era a quel tempo considerata inadatta alle colture industriali di fiori e perciò aveva ancora l’ aspetto antico della campagna. E così tutte le contrade attraversate dall’ itinerario mattutino di mio padre, come se egli avesse scelto apposta la sua via per fuggire le distese grigie e uniformi dei campi di garofani che ormai cingevano da Poggio a Coldirodi la città, come se lui che pure dedicava la sua attività professionale alla floricoltura ne sentisse un segreto rimorso, avvertisse che questo, da lui auspicato e aiutato, era sì un progresso economico e tecnico per la nostra agricoltura arretrata, ma anche distruzione d’ una completezza e armonia, livellamento, subordinazione al denaro. E perciò ritagliava dalle sue giornate quelle ore di San Giovanni, cercava di allestire un podere moderno che non fosse prigioniero della monocoltura, faceva spese dall’ ammortamento sempre incerto moltiplicando le coltivazioni, le varietà importate, le tubature da irrigazione, tutto per trovare un’ altra via da proporre, che salvasse lo spirito dei luoghi e insieme l’ inventiva innovatrice. Era un rapporto con la natura che voleva stabilire, di lotta, di dominio: darle addosso, modificarla, forzarla, ma sentendola sotto viva e intera. E io? Io credevo di pensare ad altro. Cos’era la natura? Erbe, piante, luoghi verdi, animali. Ci vivevo in mezzo e volevo esser altrove. Di fronte alla natura restavo indifferente, riservato, a tratti ostile. E non sapevo che stavo anch’ io cercando un rapporto, forse più fortunato di quello di mio padre, un rapporto che sarebbe stata la letteratura a darmi, restituendo significato a tutto, e d’ un tratto ogni cosa sarebbe divenuta vera e tangibile e possedibile e perfetta, ogni cosa di quel mondo ormai perduto. Dove grida mio padre di portare la manica e dar l’acqua, che c’ è tutto secco? Da una fascia viene il suono del bidente del vecchio Sciaguato che batte e ribatte nella terra. Qualcosa si muove su quegli alberi: la figlia di Mumina s’ è arrampicata per riempire un cesto di ciliege. Io accorro con la gomma arrotolata sulla spalla, ma non vedo mio padre tra i filari e sbaglio fascia. Devo portare il gancio per piegare i rami del ciliegio, la macchina del solfato, il nastro adesivo per gli innesti, ma non conosco la mia terra, mi perdo. (Ora sì, dall’ alto degli anni, vedo ogni fascia, ogni sentiero, ora potrei indicare la strada a me che corro tra i filari, ma è tardi, ormai tutti se ne sono andati). Vorrei che fossero pronte subito le ceste, per tornare a casa e andare al mare. Il mare è lì, in uno spacco triangolare della valle, a vu; ma è come se fosse miglia e miglia lontano, il mare estraneo a mio padre e a tutta la gente che si muove per le nostre strade mattutine. Ora stiamo tornando. Io cammino curvo sotto la mia gerla. Il sole è alto; dalla carrozzabile più vicina, sulla collina di San Giacomo, romba un camion; qui nella valle il grigio degli olivi e il fruscio del torrente smorzano i colori e i suoni. Sull’ altro versante sale dalla terra un fumo: qualcuno ha acceso un debbio. Mio padre dice cose sulla mignolatura degli olivi. Io non ascolto. Guardo il mare e penso che tra un’ ora sarò alla spiaggia. Alla spiaggia le ragazze lanciano palloni con le braccia lisce, si tuffano nel luccichio, gridano, schizzano, su tanti sandolini e pedalò.

( ITALO CALVINO)

 

 

Il Berigo
da: https://liguriadascoprire.it/calendario/la-strada-di-san-giovanni-sulle-tracce-di-italo-calvino/

 

 

Mondadori 2020

Oscar Mondadori, 2022

 

 

La strada di San Giovanni (Mondadori) è una raccolta di storie autobiografie, pubblicate postume. Prefazione di Esther Calvino, la moglie.

 

 

 

 

ALCUNE FOTO DI CALVINO E SANREMO

https://www.internetculturale.it/it/175/incontro-con-italo-calvino-sanremo-una-tranquilla-adolescenza

 

 

 

ITALO E IL FRATELLO FLORIANO ALLA CAMPAGNA DI SAN GIOVANNI nel ’33

 

 

La strada da Sanremo a San Giovanni

 

 

Panorama di Sanremo tra le due guerre

 

 

La città vecchia

“I Liguri sono di due categorie: quelli attaccati ai propri luoghi come patelle allo scoglio che non riusciresti mai a spostarli; e quelli che per casa hanno il mondo e dovunque siano si trovano come a casa loro”.

 

 

 

Calvino con due amici in gita sulle montagne liguri nel 1939.
“Eravamo i ‘duri’ di provincia, cacciatori, giocatori di biliardo, gradassi, fieri della nostra rozzezza intellettuale, schernitori d’ogni retorica patriottica o militare, grevi nel parlare, frequentatori di bordelli, sprezzanti ogni sentimento amoroso e disperatamente senza donne”

nota chiara : quello con il cappello è mio zio Ermanno Siffredi ( Eliano, in Italia, poi nei ’50 è andato in Brasile ), si conoscevano dal liceo, anche se Eliano aveva un anno in più di lui.

Nella stessa classe di Calvino, se non sbaglio, c’era Eugenio Scalfari

 

 

 

Scalfari è il primo a sinistra, Calvino il penultimo, il secondo mi sembra il notaio Birone, il terzo il dentista Pigati che è andato in montagna nel ‘ 43/ ’44; gli  altri non li conosco..
Se qualcuno volesse aiutarci, magari qualcuno della Famijia Sanremasca  che li conosceranno senz’altro–

 

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Man Lan @ManLanTuit – 9.23 — 15 ottobre 2024 — DOMANI IN ALBANIA ” IL PRIMO CARICO ” . Il Viminale non avrebbe saputo etichettarlo meglio. Il degrado si vede dal lessico : inaccettabile ( MAN LAN ). – ringraziamo Man Lan di aver condiviso.

 

 

LINK DI MAN LAN SU X
Man Lan  @ManLanTuit

 

 

 

 

Esseri umani: “il primo carico”.
Il Viminale non avrebbe saputo etichettarlo meglio.
Il degrado di una società attraverso un lessico. Inaccettabile.
#migranti #Albania #governo #Meloni #15ottobre

 

 

 

 

 

Immagine

 

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LUCIANA CIMINO, «Una norma che guarda al passato, di formativo non c’è nulla»- L’intervista:::  Il pedagogista Daniele Novara: La scuola non è un centro di recupero come il carcere minorile– IL MANIFESTO DEL 26 SETTEMBRE 2024

 

 

 

IL MANIFESTO DEL 26 SETTEMBRE 2024
https://ilmanifesto.it/una-norma-che-guarda-al-passato-di-formativo-non-ce-nulla

 

 

 

«Una norma che guarda al passato, di formativo non c’è nulla»

 

 

 

Daniele Novara

Daniele Novara

 

 

 

Luciana Cimino

 

«In questo provvedimento di pedagogico non c’è niente». Daniele Novara, pedagogista di fama internazionale, autore di oltre 50 libri e fondatore del Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti,ammette di aver provato un misto di incredulità e preoccupazione quando ha letto la proposta di Valditara sulla riforma del voto in condotta, approvata ieri alla Camera. «Mi sono chiesto cosa sta succedendo? Questi dove vivono?»

 

Cosa non la convince della riforma?

 

Chiariamo: il termine riforma che usa il governo è assolutamente improprio, le riforme guardano al futuro. Questo è un intervento normativo che ripesca delle pratiche in uso prima degli anni Settanta. Faccio molto fatica a dare un commento da pedagogo perché qui di pedagogico non c’è niente. Come in altri provvedimenti dell’esecutivo Meloni, anche in quelli sulla scuola ci sono ragioni revanscistiche e ideologiche dietro, che non tengono in nessuna considerazione le necessità degli alunni. Misure come queste portano allo scontro con gli alunni e con i genitori e portano chi ha 5 mila euro da spendere a ricorrere al Tar, che si intasa per le bocciature.

 

Perché non hanno valutato questo aspetto?

Hanno un’idea di istruzione che appartiene a un altro tempo, dimenticano che la bocciatura per condotta venne abolita per creare un clima più benevolo nei confronti degli alunni e non uno di scontro aperto. Perdere un anno come causa di un «cattivo» comportamento costituisce una punizione che ha implicazioni estremamente negative e problematiche per i ragazzi. Devono rimanere un anno in più a scuola, maturando la convinzione che l’istruzione sia una pena e la classe un luogo di espiazione. Questo travalica il significato profondo della scuola. Non è un centro di recupero come il carcere minorile, ci si va per imparare. E la benevolenza socio-affettiva è alla base della costruzione di un clima dove l’alunno si sente motivato a collaborare.

 

Valditara ne ha parlato come di una misura necessaria a contrastare il bullismo.

Non vedo come. Questa visione punitiva e restrittiva della scuola non ha niente a che vedere con la costruzione di un ambiente pedagogico dove si lavora assieme per imparare. L’Italia è la patria di Maria Montessori eppure il governo ha dedicato un ennesimo francobollo a Giovanni Gentile, ucciso dai partigiani, che non può dare più nulla alla scuola di oggi. L’istruzione non può diventare il luogo per un risarcimento politico o culturale e purtroppo i segnali vanno in questa direzione.

 

La redazione consiglia:

La protesta No Ddl sicurezza arriva al senato

Hanno fatto discutere le Nuove Linee guida per l’Educazione civica: contengono cose come l’educazione alla patria, quella finanziaria, la promozione della cultura d’impresa e dell’iniziativa privata.

Una virata patriottica assoluta, insistita e inutile. La cittadinanza è un continuo processo di partecipazione democratica, di tensione verso il potere decisionale. Non verso quello finanziario o pensionistico.

 

Con i provvedimenti sulla condotta forse agli studenti passerà la voglia di partecipare. Potrebbero rischiare la bocciatura per un’occupazione o un’assemblea.

Ho sempre sostenuto che le occupazioni sono un gesto d’amore per la scuola. Anziché scappare dal sistema d’istruzione, i ragazzi se ne preoccupano e ci vanno anche a dormire: è straordinario. Darei dei crediti formativi a quei ragazzi, non certo una sospensione.

 

Con i decreti sicurezza i ragazzi rischiano di essere puniti sia se manifestano nella scuola che fuori, per le strade.

È inquietante che chi protesta per il clima venga trattato al pari di un mafioso o di un terrorista. C’è un valore etico in determinate manifestazioni che la magistratura ha sempre riconosciuto, spero i giuristi democratici si attivino per dare il patrocinio gratuito ai manifestanti denunciati. Con questo tipo di provvedimenti si corre il rischio di mutare l’antropologia democratica del nostro paese.

 

La redazione consiglia:

La stretta sul voto in condotta è legge

 

 

Ieri ha presentato al Senato una petizione per vietare l’uso dello smartphone e dei social sotto i 16 e i 14 anni. Valditara ha una posizione simile.

L’unica che condivido. Per il resto possiamo dire che il suo operato si è distinto per scelte ideologiche davanti alle quali noi esperti e tecnici non possiamo che alzare gli occhi al cielo e sperare in una mobilitazione con i sindacati per farli ravvedere. Le questioni scolastiche sono complesse, non si possono trattare con l’accetta.

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LUCIANINA CIMINO, Repressione più castigo, la scuola di Valditara. La security Voto in condotta, la controriforma targata Lega – IL MANIFESTO 26 SETTEMBRE 2024

 

 

 

IL MANIFESTO 26 SETTEMBRE 2024
https://ilmanifesto.it/repressione-piu-castigo-la-scuola-di-valditara

 

 

 

Repressione più castigo, la scuola di Valditara.

 

 

 

 

 

 

Liceo occupato a Roma

Liceo occupato a Roma – La Presse

 

 

 

Luciana Cimino

 

 

Si aggiunge un altro tassello al modello di scuola securitario e sovranista della destra imposto a colpi di provvedimenti dal ministro leghista all’Istruzione (e merito) Giuseppe Valditara. È stato approvato ieri in via definitiva dalla Camera (con 154 voti a favore, 97 contrari e sette astenuti) il ddl che riforma il voto in condotta e quello della primaria. Giuseppe Valditara ha disegnato il provvedimento ufficialmente per contrastare il bullismo ma il vero obiettivo del governo è reprimere ogni iniziativa politica o civile degli studenti. Dentro la scuola e fuori, con l’inasprimento delle pene per gli ambientalisti che lottano contro il riscaldamento climatico o il ponte sullo Stretto.

 

 

LE NORME APPROVATE ieri, che il ministro vorrebbe introdurre a metà anno scolastico, prevedono il ritorno del voto di condotta in pagella, già dalle scuole medie, e la sua valutazione ai fini della Maturità. Con un’insufficienza lo studente sarà rimandato a settembre con obbligo di recupero in educazione civica e di presentazione di un elaborato sull’educazione civica.

 

Per quanto riguarda le sospensioni, gli alunni puniti per due giorni dovranno svolgere attività di recupero e produrre un testo sulle conseguenze dei propri comportamenti, in linea con la concezione del ministro sull’umiliazione come «fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità».

 

 

 

Per le sospensioni da tre giorni in su sono previste attività di cittadinanza solidale presso strutture convenzionate con le scuole, come ospedali o case di riposo, scelte da elenchi predisposti da viale Trastevere. Vengono anche introdotte sanzioni pecuniarie, da 500 a 10 mila euro, in caso di aggressioni a docenti e personale scolastico. I soldi raccolti saranno donati poi all’istituto per «riparare il danno di immagine».

 

 

PER QUANTO RIGUARDA la scuola primaria, la riforma segna il ritorno dei giudizi sintetici, eliminati solo due anni fa perché ritenuti problematici da pedagogisti ed esperti. «Il ddl Valditara è inefficace – tuona Gianna Fracassi, segretaria generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza Cgil -, propone un’idea di scuola autoritaria che dimentica la propria missione principale di educare, con personale formato e motivato, con strumenti didattici adeguati e tempi scuola distesi».

 

 

PER IL SINDACATO, «IL VOTO in condotta e le multe previste dal provvedimento sono quanto di più distante da una reale restituzione agli insegnanti della rilevanza sociale che spetterebbe loro e che deve passare innanzitutto per il riconoscimento economico e per la stabilizzazione dei posti di lavoro».

 

 

Per Elisabetta Piccolotti, deputata di Avs, la norma sulla condotta costituisce «un altro pezzetto della riforma silenziosa di Valditara che smonta la scuola di oggi per trasformarla nella scuola di ieri e contro cui sta montando un forte malcontento in tutto il Paese». Avs si dice inoltre preoccupata dalla possibilità data «agli insegnanti di bocciare uno studente: è un mezzucolo per reprimere il dissenso, per silenziare una generazione».

Mentre per il M5S si tratta di «educazione punitiva, mentre sarebbe stato molto più utile parlare di aumento degli stipendi dei docenti italiani». Si tratta di un «altro tassello al progetto repressivo del governo, di cui la criminalizzazione degli studenti è la base» per la Rete degli Studenti Medi. «Il voto in condotta diventa uno strumento per punire la partecipazione politica degli studenti – ha commentato il coordinatore nazionale della Rete, Paolo Notarnicola – chi garantisce l’obiettività del giudizio e la libertà di espressione del singolo alunno?».

 

 

Il ddl interviene anche sull’insegnamento dell’educazione civica. La «piccola rivoluzione» di cui parla il ministro non è altro che una lista di nozioni per la formazione del «nuovo uomo sovranista»: patria, educazione stradale, educazione finanziaria. Gli verrà altresì insegnato il valore del lavoro e della responsabilità individuale e la «cultura dei doveri» necessaria a rispettare «le regole per una società ordinata». Le linee guide erano state ampiamente contestate alla presentazione e bocciate anche dal Consiglio superiore della Pubblica istruzione.

 

 

MENTRE IL PARLAMENTO era chiamato a ratificare le norme sulla condotta, a Torino si vedevano gli effetti delle politiche securitarie della destra: due ragazzi che avevano contestato Valditara mentre interveniva a una conferenza, in rappresentanza degli studenti in presidio fuori la sede, sono stati subito trascinati fuori dalla sala dalle forze dell’ordine e trattenuti per l’identificazione per circa un’ora.

 

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AA. VV. MICROMEGA.NET — 3 OTTOBRE 2024 –Appello a difesa di Christian Raimo, nel mirino del ministro Valditara

 

 

 

MICROMEGA.NET — 3 OTTOBRE 2024
AA.VV.
https://www.micromega.net/appello-a-difesa-di-christian-raimo-nel-mirino-del-ministro-valditara

 

 

Condividiamo l’appello lanciato a sostegno di Christian Raimo, scrittore e insegnante, “reo” di aver criticato il ministro Valditara. 

 

 

Appello a difesa di Christian Raimo, nel mirino del ministro Valditara

 

 

Condividiamo l’appello che un gruppo di intellettuali, scrittori, giornalisti e attivisti ha lanciato dopo il provvedimento disciplinare a carico di Christian Raimo, scrittore e insegnante, “reo” di aver criticato il ministro Valditara. 

 

 

In Italia un insegnante rischia il licenziamento per aver criticato il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. È una notizia grave e allarmante, che dice molto sulla democrazia sostanziale che viviamo oggi in Italia e sulla torsione autoritaria in atto.

 

Il docente in questione si chiama Christian Raimo, insegna storia e filosofia in un liceo, si occupa di storia della scuola e di pratica pedagogica. È anche scrittore e giornalista, insomma è un intellettuale il cui lavoro e la cui passione è fare l’insegnante e rendere la scuola più democratica. In questa doppia veste, quella dell’intellettuale e quella del professore, ha criticato l’idea di scuola che propugna il ministro del governo Meloni. Non è il solo, considerato che le nuove linee per l’educazione civica proposte dal ministro sono state bocciate del Consiglio superiore della Pubblica istruzione, che ha sottolineato l’approccio squisitamente personalistico e produttivistico, in cui sparisce tra l’altro il valore della collettività e della responsabilità sociale indicata dalla stessa Costituzione come  fondamentale.

 

Raimo si è visto raggiunto dall’istruttoria di un procedimento disciplinare che rischia di provocarne la sospensione dall’insegnamento senza stipendio, fino ad arrivare al licenziamento. La situazione ha dell’incredibile, visto e considerato che il docente ha semplicemente paragonato, con una citazione pop immediatamente comprensibile, le politiche del ministro Valditara alla “Morte Nera” che nel film-cult Star Wars l’alleanza ribelle colpisce mentre se ne sta ultimando la costruzione. Un modo popolare per dire che il punto debole del governo è proprio l’idea di scuola della destra.

 

Adesso quelle dichiarazioni vengono utilizzate per tentare di silenziare Raimo, minacciando di estrometterlo dalla scuola, adducendo come ragione il fatto che avrebbe leso l’immagine dell’istituzione scolastica in pubblico, per di più facendolo sui social.

 

Come arma di censura si usa un codice comportamentale per i docenti adottato con D.M. n. 105 del 26.04.2022, che all’articolo 13 dispone che il dipendente si astenga “dal pubblicare, tramite l’utilizzo dei social network, contenuti che possano nuocere all’immagine dell’Amministrazione”.

 

Cosa hanno a che fare questo articolo e questo intervento del ministero con l’articolo 21 della Costituzione, che recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»? Cosa hanno a che fare con l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che dice: «Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera»?

 

Crediamo che la voce e la passione di Christian Raimo siano un valore importante per il dibattito sulla scuola pubblica, che è e deve restare luogo di confronto di idee e crescita democratica, e che per questo Raimo vada difeso da questo attacco. Crediamo soprattutto che, lungi dall’essere un caso personale, questo genere di norme e di provvedimenti – di cui il disegno di legge “Sicurezza” in via di approvazione è esempio tristemente calzante – assomiglino a quelle di governi che chiamiamo democrature. Cioè democrazie solo formali, sospese, regimi, e non democrazia liberali che abbiano a cuore la libertà di espressione e di critica come principio fondante.

 

Per sottoscrivere: liberidicriticare@gmail.com

 

I primi firmatari:

Marco Balzano
Marco Jacopo Bianchi (Cosmo)
Daria Bignardi
Giulia Blasi
Vasco Brondi
Giulia Caminito
Ascanio Celestini
Teresa Ciabatti
Francesca Coin
Giancarlo De Cataldo
Mario Desiati
Antonio Dimartino
Paolo Di Paolo
Claudia Durastanti
Matteo Garrone
Carlo Ginzburg
Vera Gheno
Fabrizio Gifuni
Paolo Giordano
Carlo Greppi
Nicola Lagioia
Vincenzo Latronico
Gad Lerner
Loredana Lipperini
Franco Lorenzoni
Luigi Manconi
Marco Missiroli
Tomaso Montanari
Claudio Morici
Valerio Nicolosi
Giorgio Parisi
Valeria Parrella
Alessandro Robecchi
Vanessa Roghi
Roberto Saviano
Tiziano Scarpa
Giovanni Scifoni
Giorgia Serughetti
Marino Sinibaldi
Adriano Sofri
Valeria Solarino
Lorenzo Urciollo (Colapesce)
Chiara Valerio
Sandro Veronesi
Zerocalcare

Credit foto: ANSA/ANGELO CARCONI

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video, 6 min. ca — Alberto Negri: “avete mai messo una sanzione a Israele? Quanti morti volete ancora per muovere il culo?” + video, 7.23 –Gaza, Alberto Negri Negri: “abbiamo appaltato la nostra sicurezza a Israele e siamo complici della colonizzazione”

 

 

Convegno “Cessate il fuoco ora, a Gaza e in Ucraina! Prefigurare un percorso di pace oltre il cessate il fuoco: un mandato ONU per Gaza”, registrato a Roma martedì 6 febbraio 2024 L’evento è stato organizzato da Coordinamento per la Democrazia Costituzionale.

Alfonso Gianni

ALFONSO GIANNI ( Milano, 1950 )

Presenta al centro del tavolo, Alfonso Gianni – con i capelli tutti bianchi è irriconoscibile — a meno che non sia sbagliata l’etichetta con il nome.. ?

Negri: “avete mai messo una sanzione a Israele? Quanti morti volete ancora per muovere il culo?”

video, 6.26

Convegno “Cessate il fuoco ora, a Gaza e in Ucraina! Prefigurare un percorso di pace oltre il cessate il fuoco: un mandato ONU per Gaza”, registrato a Roma martedì 6 febbraio 2024 L’evento è stato organizzato da Coordinamento per la Democrazia
Costituzionale
( se vuoi vedere chi sono, apri il link )

 

 

Ecco come non prendiamo ordini da Israele ::

Gaza, Negri: “abbiamo appaltato la nostra sicurezza a Israele e siamo complici della colonizzazione”

video, 7.23

 

Nell’ambito dell’iniziativa dal titolo “L’ombra delle bombe”, organizzata dall’associazione “Il Coraggio della Pace – Disarma”. Convegno “A che punto è la notte”, registrato a Napoli sabato 24 febbraio 2024 L’evento è stato organizzato da Il Coraggio della Pace – Disarma.

L’evento è stato organizzato da Il Coraggio della Pace – Disarma.

 

 

 

ALBERTO NEGRI

L’Occidente lascia fare in attesa del «nuovo ordine»

 

Il Manifesto 12 ottobre 2024

SE VUOI, APRI QUI
https://ilmanifesto.it/loccidente-lascia-fare-in-attesa-del-nuovo-ordine

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ANSA.IT –14 OTTOBRE 2024 // video 13.43 + video, 16.19 +notizie :: 16.28 + 16.38 + 17.54 ::: Raid israeliano su un ospedale a Gaza. L’Idf: ” Era un centro di comando di terroristi “. I media: “Obiettivo è eliminare i droni di Hezbollah’ – + cartina LIMESONLINE

 

 

 

Gaza, bambini uccisi e feriti in un bombardamento mentre giocavano a biglie

video, 1.29

 

 

Redazione ANSA –14 ottobre 2024, 13:43

https://www.ansa.it/sito/videogallery/mondo/2024/10/14/gaza-bambini-uccisi-e-feriti-in-un-bombardamento-mentre-giocavano-a-biglie_92a8379b-33a2-490e-b67a-88e1ee0daaf4.html

 

 

 

 

Gaza, incendio in campo profughi dopo un raid israeliano

 

ANSA- 14 OTTOBRE 2024 — 16.19
https://www.ansa.it/sito/videogallery/mondo/2024/10/14/

 

 

 

CARTINA ISRAELE E LIBANO– DA LIMES – LINK SOTTO

 

LIMESONLINE.COM- carta di Laura Canali- 01 agosto 2019 —link

 

 

ANSA.IT — 14 OTTOBRE 2024 — 16.28
https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2024/10/14/obiettivo-dellidf-eliminare-lunita-droni-di-hezbollah_c61e90be-0aeb-4b0c-ad5f-c048d86f2701.html

 

 

‘Obiettivo dell’Idf eliminare l’unità droni di Hezbollah’

Media: ‘Uccidere ogni membro ha la priorità’

 

 

 

ANSACheck

 

 

© ANSA/EPA

© ANSA/EPA

 

 

In seguito all’attacco con un drone che ha provocato la morte di 4 soldati e il ferimento di altre decine nella base di addestramento vicino Binyamina la scorsa notte, l’aeronautica militare israeliana si è posta l’obiettivo di eliminare completamente l’unità 127 di Hezbollah, responsabile della produzione, manutenzione e funzionamento dei droni: lo riferisce il Times of Israel.

Lo sforzo di uccidere ogni membro dell’unità avrà ora la priorità in termini di raccolta di informazioni e attacchi aerei.

 

 

 

ANSA.IT –14 OTTOBRE 2024 — 16.38

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/10/14/raid-israeliano-su-un-ospedale-a-gaza.-feroci-combattimenti-tra-hezbollah-e-idf-al-confine_c0dd4a5f-8352-485b-9c96-4550783737b7.html

 

 

 

Raid israeliano su un ospedale a Gaza. L’Idf: “Era un centro di comando di terroristi”. I media: “Obiettivo è eliminare i droni di Hezbollah’ –

 

 

 

Hamas denuncia: ‘Almeno 4 morti e 40 feriti’ nell’attacco alla struttura sanitaria. Tel Aviv insiste: ‘L’Unifil è inutile, si ritiri’

 

 

 

 

 

 

Feroci combattimenti tra Hezbollah e Idf al confine © ANSA/AFP

Feroci combattimenti tra Hezbollah e Idf al confine © ANSA/AFP

 

 

 

apri qui sotto   —Video — 1.26 min

Libano, danni e macerie nella periferia sud di Beirut

 

 

Anche per il governo italiano si è trattato di un “ennesimo incidente inaccettabile”, ha avvertito il ministro della Difesa Guido Crosetto, mentre il capo di Stato Maggiore Luciano Portolano ha chiesto al suo omologo israeliano Herzi Halevi di “evitare ulteriori azioni ostili”. Richiesta formulata in precedenza dalla premier Meloni, che al telefono con Netanyahu ha rinnovato l’impegno di Roma attraverso Unifil per “la piena applicazione della risoluzione 1701”, considerata la strada maestra per “contribuire alla stabilizzazione del confine israelo-libanese”.

L’azione di pressing dell’Italia su Israele è condivisa dai partner dell’Ue, che hanno trovato un’intesa per un documento di risposta agli attacchi all’Unifil. Per gli Stati Uniti, il capo del Pentagono Lloyd Austin ha espresso all’omologo Yoav Gallant “profonda preoccupazione” sui peacekeeper ed ha chiesto di “passare a una soluzione diplomatica in Libano appena possibile”. Quanto all’Onu, rispetto alla richieste di Netanyahu, Antonio Guterres ha più volte ribadito che la missione di pace non si muove.

 

Al termine di questa ennesima giornata di tensione, l’Idf ha dato la sua versione sui nuovi incidenti che hanno coinvolto l’Unifil: “Un carro armato che cercava di evacuare soldati feriti, mentre si trovava sotto il fuoco nemico, ha indietreggiato di diversi metri e ha colpito una postazione dell’Unifil”. E “una volta cessato il fuoco nemico, e in seguito all’evacuazione dei i feriti, il carro armato ha lasciato la postazione”.

Al netto delle giustificazioni di Israele, la situazione lungo la Linea Blu del confine si conferma sempre più incandescente. Tanto che lo stesso premier libanese Najib Mikati ha condannato la richiesta di ritiro dell’Unifil da parte di Netanyahu, ed anzi ha accusato lo Stato ebraico di insistere con il suo “approccio del mancato rispetto delle norme internazionali”.

 

 

 

Onu, attacchi a Unifil potrebbero essere crimini di guerra

 

“Gli attacchi di Israele contro l’Unifil” in Libano “potrebbero essere dei crimini di guerra”. Lo ha detto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. “Il personale dell’Unifil e le sue strutture non dovrebbero mai essere attaccate – ha sottolineato -. Gli attacchi contro le forze di pace sono una violazione della legge internazionale e del diritto umanitario. Potrebbero essere un crimine di guerra”.

 

 

 

Idf al Tg1, ‘gli spari contro Unifil sono stati un errore’

 

“Ogni incidente nel quale l’esercito ha forse sparato contro basi di Unifil e’ un errore, non stiamo puntando contro Unifil. L’Italia e’ un amico molto importante di Israele, è una amicizia sincera ed anche una alleanza importante”. Lo ha dichiarato il portavoce dell’Idf Daniel Hagari al Tg1 rispondendo sugli attacchi alle basi Unifil nel sud del Libano. “Stiamo indagando sugli eventi accaduti nei giorni scorsi, incluso quello dove erano coinvolti gli italiani. Stiamo indagando in modo molto serio per evitare che una cosa del genere si ripeta. Stiamo attaccando solo Hezbollah che in certi casi si nasconde vicino o dietro le basi dell’Onu”, ha aggiunto. “Quando operiamo in Libano il nostro obiettivo e’ esclusivamente Hezbollah, non il Libano come Paese e neanche i cittadini libanesi. Siamo esclusivamente concentrati sul gruppo terroristico di Hezbollah”, ha detto ancora Hagari.

 

 

 

ANSA.IT — 17. 54 — 14 OTTOBRE 2024
https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/10/14

 

 

Caschi blu italiani trovano ordigni incendiari in Libano

 

Una serie di ordigni esplosivi incendiari posizionati lungo la strada che conduce alla base operativa avanzata UNP 1-32A, nel sud del Libano, è stata individuata questa mattina da una pattuglia del contingente italiano di Unifil durante un movimento logistico.

Un team di artificieri del contingente nazionale, intervenuto, ha messo in sicurezza l’area ma non ha potuto completare le operazioni di bonifica poiché, per cause in via di accertamento, uno degli ordigni si è innescato provocando un rogo nell’area circostante. Non si registrano danni a persone o mezzi.

 

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Ginevra martini @03Ginevra, 7.40 — 8 novembre 2023 – Matisse, Lezione di piano, 1916, olio su tela, 245,1 x 212,7 cm — MoMa – New York – grazie cara Ginevra !

 

 

CAFFETTERIA DELLE MORE  — 22  MARZO 2011
https://caffetteriadellemore.forumcommunity.net/?t=44625032

 

 

 

Henri Matisse
Lezione di piano
1916
Olio su tela
245,1 x 212,7cm
MoMa – New York

 

 

Nel 1916 il figlio di Matisse, Pierre ha sedici anni.

Il padre lo ritrae mentre suona il piano, in una grande tela, dipinta a Issy-les-Moulineaux: il volto del ragazzo, coperto dall’ombra del metronomo sopra il pianoforte, dimostra meno della sua età.

Nella grande stanza, costruita con astratte linee geometriche, si apre un’ampia finestra, al di là della quale si intravede, stilizzato un grande prato verde.

L’atmosfera è resa inquietante da alcune presenza, come la piccola scultura con “Figura decorativa” eseguita nel 1908, che spicca in un angolo a sinistra del pianoforte, fatta di linee sinuose che contrastano con il rigore geometrico dell’insieme.

Alle spalle del ragazzo, una sagoma stilizzata riprende un dipinto di Matisse, “Donna sullo sgabello alto“, del 1914, una delle prime composizioni vagamente cubiste.

La persona ritratta è Germaine Raynal, moglie del critico Maurice Raynal, immortalata l’anno prima da Juan Gris.

Un piccolo candeliere dai colori accesi, posto sul pianoforte, crea un contrasto con il grigio del metronomo: tutto il dipinto è all’insegna del triangolo, forma del metronomo, posto davanti agli occhi di Pierre.

Ed è su questo elemento che sembra orientata anche la simbologia del quadro: Pierre osserva con tristezza l’oggetto dei suoi studi musicali, cui il padre lo ha obbligato, togliendolo dal liceo, nella speranza che il figlio intraprendesse una carriera artistica.

Un vero martirio per lui.

Diversi riferimenti ricordano motivi cari a Matisse: il rapporto interno-esterno, i contrasti tra geometria e decorazione, cioè tra ragione e sentimento, e “l’arte nell’arte”, evocato nell’inserimento nel dipinto di due opere dell’artista. ( Mar L8v )

 

 

dettagli dallo stesso link messo all’inizio ::

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Henri Matisse quotazioni gratis e opere

foto Stile Arte

 

Henri-Émile-Benoît Matisse (Le Cateau-Cambrésis31 dicembre 1869 – Nizza3 novembre 1954) è stato un pittoreincisoreillustratore e scultore francese.

Firma di Matisse

Matisse è uno dei più noti artisti del XX secolo, esponente di maggior spicco della corrente artistica dei Fauves.

 

 

 

 

MATISSE, VITA E OPERE IN 10 PUNTI

video, 3.05 minuti

 

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Rispondo a Donatella che commenta l’articolo ” Treni inchiodati al binario unico ” :: ” Il ” chiodo ” è Matteo Salvini ! ” – pubblicando la prima pagina dell’Extraterestre 10 ott0bre il Manifesto..

 

 

*** ma dovete aprirlo !

 

GIORNALONE, PRIMA PAGINA, EXTRATERRESTE, IL MANIFESTO 10 OTTOBRE 2024

apri qui-– è carino, anche ” era carino ” !

https://www.giornalone.it/prima-pagina-l-extraterrestre/

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FACEBOOK – Museo della Resistenza – Costa di Carpasio — ” Questa pagina nasce allo scopo di far conoscere e promuovere il Museo. Raccolta unica e importante.. “

 

Fischia il vento- cantata dal Nuovo Canzoniere Partigiano

un po’ moderna .. ma mi pare bella se ci si abitua un po’ — all’inizio c’è vari minuti di silenzio. ch.

 

” Il Nuovo Canzoniere Partigiano nasce da un lavoro di ricerca e attualizzazione dei canti della Resistenza italiana.
Canti di
lotta su nuovi percorsi sonori, che ricordano a tutti noi, dopo 71 anni, uno dei momenti più importanti della storia del popolo italiano “–

“Con queste canzoni vogliamo provare ad avvicinare i giovani di oggi ai coetanei di allora per salvaguardare un pensiero di giustizia e libertà, un germoglio di condivisione e

https://nuovocanzonierepartigiano.bandcamp.com/track/il-partigiano

 

 

PAROLE DI FELICE CASCIONE, U MEGU-   ( morto  a 26 anni ucciso dai tedeschi e fascisti )– vedi sotto verso il fondo

 

 

 

 

 

 

 

 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

CARPASIO

 

 

 

ELENCO E MAPPA DEI COMUNI DELLA PROVINCIA DI IMPERIA

( Carpasio è insieme a Montalto )

 

 

 

Museo della Resistenza – Costa di Carpasio 

https://www.facebook.com/profile.php?id=100063678817975

 

** tutte le foto sono del link sopra **

 

Potrebbe essere un'immagine raffigurante natura, albero e strada

 

 

 

 

Potrebbe essere un'immagine raffigurante albero e strada

 

 

 

 

 

Un documento importante al Museo, eccidio di Molini di Triora direttamente dalla parrocchia di San Lorenzo!

 

 

NOTA :

Eccidio di Molini di Triora e Triora

 

Trucioli

Molini di Triora e Triora. Luglio di 80 anni fa: eccidio, saccheggio, distruzione tra incendi e tritolo. La furia nazista

 

 

LEGGI NEL LINK SOTTO  ( CLIC sotto il titolo o sotto ” Trucioli ” )

 

Molini di Triora e Triora. Luglio di 80 anni fa: eccidio, saccheggio, distruzione tra incendi e tritolo. La furia nazista

 

 

 

ANPI

 

 

 

 

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 7 persone e testo

in primo piano, in rosa, è

AMELIA NARCISO SELLA SEZIONE ANPI  PESAVENTO DI SANREMO ED E’ PRESIDENTE PROVINCIALE DELL’ANPI DI IMPERIA

 

 

 

Potrebbe essere un'immagine raffigurante testo

FELICE CASCIONE- PARTIGIANO
Veduta su Case Fontane ( Alto ), località ove avvenne lo scontro a fuoco con tedeschi e fascisti e venne ucciso Felice Cascione

 

 

 

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 6 persone e testo

Carlo Greppi si trova presso Laterza libreria.

 

Nella Resistenza italiana, parte integrante di un conflitto globale che travolge i confini nazionali e spazza vite e destini ai quattro angoli del pianeta, hanno combattuto migliaia di persone – non meno di 15-20.000 – che italiane non erano. Perché se il nazifascismo ha avuto un’indubbia efficacia è stata quella di saper compattare le file di chi gli si è opposto ed è stato sconfitto proprio perché hanno combattuto, fianco a fianco, più generazioni di uomini e donne, di ogni credo politico e religioso, ceto sociale e di ogni nazione.

L’autore scrive:

È un lavoro corale, questo, del quale sono davvero fiero. In questi due anni ho avuto l’ennesima conferma della serietà, della professionalità e dalla passione che muovono Chiara Colombini – una grande storica, una compagna di strada, un’amica -, con cui l’ho curato, e tante altre persone che hanno contribuito a portare a termine questa piccola impresa collettiva. Un grazie di cuore, dunque, alle autrici e agli autori degli otto saggi che, preceduti da una nostra introduzione, compongono il volume: Enrico Acciai • Valeria Deplano e Matteo Petracci • Eric Gobetti • Isabella Insolvibile • Mirco Carrattieri • Laura Bordoni • Liliana Picciotto • Luca Bravi.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "sentiamo nostro dovere prendere mano nostro destino riconoscendoci uomini liberi, di decisioni libere scelte rispetto del singolo co la celebrazione bene Pigna" 29 Agosto Ottobre 1944 Pigna libera Repubblica Sabato 12 Ottobre 2024 PIGNA 80° Anniversario di una "parentesi di democrazia" PROGRAMMA 16:00 Consiliare Saluti Autorità 16:30 Intervento del Presidente ILSREC Giacomo Ronzitti del Presidente ISRECIM Giovanni Rainisio Interverranno gli autori del volume "Libera Repubblica di Pigna" Giorgio Caudano, Graziano Mamone, Paolo Veziano 17:30 Piazza Umberto/ Deposizione targa ricordo delle vittime civili dei bombardamenti aerei del Dicembre 1944 Parteciperà la Banda Filarmonica "L'Alpina" di Pigna Cittadinanza invitata partecipare Isrecim"

Amelia NarcisoANPI Sanremo – sezione Gian Cristiano Pesavento

 

 

 

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone e testo

 

 

 

 

 

 

Potrebbe essere un'immagine raffigurante testo

ANPI Sez. S.Bonfante/Montegrande – Imperia

 

 

 

 

 

Museo della Resistenza – Costa di Carpasio

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Amelia NarcisoANPI Sanremo – sezione Gian Cristiano Pesavento

 

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Bruno Lauzi – E penso a te – ( Lucio Battisti, testi di Mogol ) Live @RSI 1978 + Mille lire al mese –+ Onda su Onda + Ritornerai + Amore bello amore caro + Lo straniero di Moustaki + l’originale di Moustaki 1969

 

 

BRUNO LAUZI ( Asmara, 1937, cresciuto a Genova / Peschiera Borromeo, 2006 )-
E’ considerato, insieme a Fabrizio De AndréUmberto BindiLuigi Tenco e Gino Paoli, tra i fondatori e maggiori esponenti della cosiddetta scuola genovese dei cantautori.

segue:   https://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Lauzi

 

 

 

 

 

 

MILLE LIRE AL MESE

 

 

 

 

 

ONDA SU ONDA  canzone di Paolo Conte  – 1978

 

 

 

 

Ritornerai di Bruno Lauzi -1965

 

 

 

 

Amore bello amore caro   (testo: Mogol – musica: Lucio Battisti )- 1971

 

 

 

 

 

 

LO STRANIERO DI GEORGES MOUSTAQUI

 

 

 

 

 

L’originale : Le Métèque  di Georges Moustaki– 1969

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ANSA.IT   13 OTTOBRE 2024 –10.00 __ Croce Rossa, feriti paramedici in raid nel sud del Libano. Erano in coordinamento con Unifil

 

 

ANSA.IT   13 OTTOBRE 2024 –10.00

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/10/13/croce-rossa-feriti-paramedici-in-raid-nel-sud-del-libano-_dc4de1af-e2c9-45a6-a341-7538c64a3624.html

 

 

Croce Rossa, feriti paramedici in raid nel sud del Libano.

Erano in coordinamento con Unifil. ‘Hamas pianificava attacco stile 11 settembre su Israele’. Iran e Hezbollah smentiscono Nyt, nessun legame con il 7 ottobre. Israele, intercettati cinque razzi dal Libano+

 

 

Smoke rises following an Israeli airstrike in Dahieh, a southern suburb controlled by Hezbollah RIPRODUZIONE RISERVATA

Fumi salgono dal fuoco che Isreale ha provocato su Danieh

 

 

La Croce Rossa riferisce che diversi dei suoi soccorritori sono rimasti feriti oggi in un attacco ad una casa nel sud del Libano dove erano stati inviati “in coordinamento” con la missione delle Nazioni Unite che funge da cuscinetto tra Israele e Libano. “Mentre la squadra cercava vittime da soccorrere, la casa è stata colpita per la seconda volta, provocando traumi ai soccorritori e danni a due ambulanze”, ha riferito la Croce Rossa libanese. Questa squadra, ha aggiunto, “era stata inviata in coordinamento con la Forza ad interim delle Nazioni Unite (Unifil) dispiegata nel sud del Libano, bombardato quotidianamente da aerei israeliani.

 

++ altre notizie importanti ore per ora nel link

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video, 3 min ca. ” Israele attacca basi Unifil e postazioni italiane in Libano “- il commento di Lucio Caracciolo-La 7 otto e mezzo, 10 ottobre 2024 +Lucio Caracciolo, 8 ottobre 2024, video 3 min. ca :: “USA sono i veri sconfitti. Israele ha perso la guerra di propaganda”

 

I.

video, 4. 29 min. ca

da La7 — Otto e mezzo – 10 ottobre 2024

 

 

 

II.

video, 3 min. ca

LUCIO CARACCIOLO — LA 7 – 7 OTTOBRE 2024

“USA sono i veri sconfitti. Israele ha perso la guerra di propaganda”- 8 ottobre 2024 

apri qui

https://www.la7.it/otto-e-mezzo/video/7-ottobre-lucio-caracciolo-usa-sono-i-veri-sconfitti-israele-ha-perso-la-guerra-di-propaganda-08-10-2024-561400

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Torriglia, area metropolitana di Genova e i suoi ” canestrelli ” – con ricetta della pasticceria Guano di Torriglia + foto di dolci .. + Genova per noi in doppia versione–

 

 

segue da :

https://stock.adobe.com/it/search?k=torriglia&asset_id=535765146

 

 

 

TORRIGLIA 

 

 

 

video, 0.07 minuti

 

 

 

 

 

 

 

 

Over view of the village of Pentema in the inland of Genoa, Italy

 

Torriglia    (Toriggia in ligure) è un comune italiano di 2 185 abitanti ( dati 31 aprile 2022 ) della città metropolitana di Genova in Liguria.

 

 

 

 

 

 

canestrelli quattro

i suoi famosi canestrelli

 

 

 

typical sweet of ligurian tradition called canestrello

così è meglio..

 

 

Lake Brugneto and hills in Park Antola, Liguria, ItalyLago Brugneto e le colline del parco dell’Antola

 

 

 

Lake Brugneto in Park Antola, Liguria, Italy

 

 

 

freshness green wood

 

 

 

 

mountains rock with yellow flowers

 

 

 

tramonto nuvoloso con cielo colorato e magico di inverno, alberi secchi, Torriglia, liguria

 

 

 

 

The Eye of Fire: First the Sun bent the Clouds, blew Fire in them and watched us, Lago del Brugneto, Parco dell'Antola, Liguria, Italy, Europe

Lago del Brugneto

 

 

castagne e autunno

 

 

 

 

TORRIGLIA : UNA STRADA DEL CENTRO

 

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Davide Papalini

 

Il borgo di Torriglia ebbe molto probabilmente origine in epoca romana.

In epoca medievale Torriglia fu sede di un vero e proprio centro di evangelizzazione della val Trebbia con la presenza dell’antica abbazia di Patrania, citata nei testi come abatiam de Patrania.

In seguito divenne feudo dal 1227 della famiglia Malaspina, già signori della Lunigiana e del levante ligure, grazie all’approvazione dell’imperatore Federico II di Svevia.

Intorno alla metà del XIII secolo fu sottoposto ai conti Fieschi di Lavagna, i quali edificheranno in un periodo successivo il locale castello per la difesa del borgo; quest’ultimo venne poi sottoposto al controllo della Repubblica di Genova, mantenendo però ai Fieschi l’ufficiale investitura sul feudo.

Durante la seconda guerra mondiale si distinse per le lotte partigiane di Resistenza, infatti qui nacque quella che divenne nota come Repubblica di torriglia, la “Prima Repubblica partigiana della Liguria”

 

altro nel link :
https://it.wikipedia.org/wiki/Torriglia

 

 

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La parrocchia San Pietro nel borgo di Pentema ( Torriglia )
Davide Papalini

 

 

Questa è sicuramente una storia golosa, la storia del Canestrello di Torriglia

 

Questa è la storia di un dolce che fu moneta, una lunga storia che narra di tempi in cui in Alta Valle e in tutta la Val Trebbia, lontano dal mare, le farine in generale, sia di segale che di frumento scarseggiavano, e la farina bianca era un lusso per pochi, certo da non sprecare per qualcosa di superfluo come un dolce.

Un giorno però, pare che dei produttori di ostie,che all’epoca erano sicuramente commercianti benestanti, cominciarono a sfornare dei biscotti a forma di margherita prodotti con farina bianca e burro, il massimo dell’abbondanza per l’epoca, questi biscotti furono chiamati Canestrelli.

La vendita di queste “primizie” cominciò sui sagrati delle chiese per finire poi sui mercati ed arrivare a Genova “La Superba” la quale, decise di rappresentarli sul Genovino, la moneta d’oro coniata dai genovesi, di fatto la prima moneta della storia di cui parleremo in un’altra occasione.

Il Canestrello che diventa moneta

Dalle storie raccontate davanti ai camini, si narra di come in Alta Val Trebbia per un periodo non meglio precisato i Canestrelli furono una moneta di scambio, pare utilizzata per diverse compravendite, da qui si dice, l’idea di rappresentare il Canestrello anche sul Genovino coniato dalla Repubblica di Genova. 

Secondo alcuni a conferma di quanto narrato, vi è il fatto che all’inizio dell’ Ottocento con Genova entrata nel Regno di Sardegna, gli iscritti alla Confraternita di San Vincenzo di Torriglia, pagavano la tassa di iscrizione di una “Mutta” moneta allora corrente coniata dai Savoia, ricevendo come resto un Canestrello, a parziale conferma di un’abitudine risalente all’anno 1500.

Tornando al valore dei Canestrelli, la loro comparsa su di un documento ufficiale risale al 1576 per un fatto accaduto in Val Trebbia, dove un tizio fu aggredito e derubato di una cesta di Canestrelli, tanto questi fossero considerati di valore.

Oggi invece…

Storie o leggende a parte, una cosa è certa, nel 1829 nel Bar Caffè di Torriglia gestito da una certa “Pollicina” nome d’arte di Maria Avanzino che insieme al marito gestiva il famoso bar, cominciarono ad essere commercializzati diciamo ufficialmente i primi Canestrelli.

Da quel periodo in poi fino ai giorni nostri, il successo del dolce che fu moneta non si fermò più, tanto che ogni anno all’inizio del mese di giugno vi è un Festival del Canestrelletto di Torriglia a celebrarne la bontà.

Oggi sul mercato vi sono i Canestrelli di Torriglia, quelli ufficiali, ma nel tempo la produzione di questi biscotti che ingolosiscono anche per l’abbondanza di burro nell’impasto, è diventata famosa anche a Santo Stefano D’Aveto e all’Acquasanta, paesi entrambi nella provincia di Genova come Torriglia.

 

 

 

 

 

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Il ritratto di Rosa Garaventa, possibile “Bella de Torriglia”, realizzato da Lumàchi. Si trova sotto l’Arco in Piazza Fieschi –àòGiodiassi5 – Opera propria
O ritræto da Rêuza Garavénta, poscìbile “Bèlla de Torìggia”, fæto da-o Lumàchi. O s’atróva sótta l’Èrco inta Ciàssa Fiéschi.

A Torriglia si può trovare, una tipica torta, composta da pasta frolla e impasto di mandorle, che porta il nome di Bella di Torriglia.

 

Filastrocche : 

  • A bella de Torriggia cô çento galanti a l’é morta figgia. (La bella di Torriglia con cento galanti è morta signorina).
  • A l’é a bella de Torriggia: tutti a vêuan e nisciûn s’a piggia, ma quando poi a s’é maiâ, tutti orieivan aveila sposâ. (È la bella di Torriglia: tutti la vogliono e nessuno se la piglia. Ma quando poi si è maritata, tutti avrebbero voluto averla sposata).
  • A dixe a figgia de Torriggia: chi vêu troppo, ninte piggia. (Dice la ragazza di Torriglia: chi troppo vuole, niente piglia).

 

 

 

video, 4 min. ca —

Castello Fieschi di Torriglia

 

 

**Promozione del patrimonio culturale e naturale “Terre di Castelli” Cofinanziato dal Comune di Cogorno, Regione Liguria ed Unione Europea 

 

 

RICETTA DEI CANESTRELLI DELLA PASTICCERIA DELLA PASTICCERIA GUANO
che, da quasi quarant’anni, sforna i classici biscotti a sei punte con l’inconfondibile ‘buco’, largo ‘un dito

 

 

 

 

 

” Il ‘segreto’ dei canestrelli è la frolla tre, due, uno, composta di tre etti di farina, due di burro e uno di zucchero, a cui aggiungere a piacimento aromi o liquori, secondo i propri gusti.

INGREDIENTI

300 grammi di farina

200 grammi di burro

100 grammi di zucchero

Cinque uova

PROCEDIMENTO E COTTURA

Amalgamare insieme zucchero e burro fino a ottenere un impasto omogeneo. “In questa fase – aggiunge Massimo – chi lo desidera può aggiungere qualche goccia di marsala o di rum, per aromatizzare”.

Una volta uniti i primi due ingredienti, si aggiungono cinque rossi d’uovo, come vuole il disciplinare del consorzio, mentre il bianco si tiene da parte e si impiega successivamente. Si aggiunge poi la farina e quando l’impasto è omogeneo, lo si lascia riposare per un paio d’ore in frigo o in un luogo fresco.

Si stende poi la pasta con uno spessore che varia tra gli otto millimetri e il centimetro, di dà la forma e con il bianco d’uovo si spennellano i biscotti per far si che diventino lucidi. Si inforna poi a 200/220 gradi fino a che i biscotti non sono dorati.

Il consiglio di Maurizio, poi, è quello di adottare uno stratagemma per dare a tutti la stessa altezza: “si possono creare degli spessori su cui far scorrere il matterello, un ‘trucco’ che le donne, una volta, usavano spesso in cucina”. ”

 

 

 

DA :

Pare – leggendo l’articolo – che oggi siano molto apprezzati i canestrelli ricoperti di cioccolato fondente o bianco

https://www.lavocedigenova.it/2024/01/01/leggi-notizia/argomenti/attualita-4/articolo/io-lo-faccio-cosi-i-dolci-della-tradizione-genovese-raccontati-dai-pasticcieri-i-canestrel.html

PASTICCERIA GUANO –link
se aprite il link  vedete  e con gli occhi mangiate delle meraviglie
Foto di canestrelli
Pasticceria Guano (4)

a Torriglia, ma c’è anche a Genova:

 

( sembra essere questa ) —

Pasticceria Guano Molassana 

Pasticceria Guano – Pasticceria – Genova (GE) - Liguria Shopping

Pasticceria Guano – Pasticceria – Genova (GE) - Liguria Shopping

 

Pasticceria Guano Genova, Genova - Recensioni del ristorante

 

Pasticceria Guano Genova, Genova - Recensioni del ristorante

 

 

010 8360310 via molassana 102 r

 

 

paolo conte ( l’autore ) ci canta Genova per noi

 

 

 

BRUNO LAUZI — Se lo preferite, io l’ho  conosciuta così, 1975- L’ho sentita per la prima volta in un quartiere di Genova, in un bar con il juke- box, quando ho avuto il permesso di uscire, accompagnata—

 

Discografia Nazionale della canzone italiana

 

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ANSA.IT — 12 OTTOBRE 2024 –18.46 –Un altro casco blu è stato ferito nel sud del Libano. L’Iran: ‘Maxi cyberattacco, colpiti anche impianti nucleari’

 

 

ANSA.IT — 12 OTTOBRE 2024 –18.46

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/10/12/un-altro-casco-blu-e-stato-ferito-nel-sud-del-libano.-liran_75de5a01-a08f-4d2f-bd56-d96687030beb.html

 

 

Un altro casco blu è stato ferito nel sud del Libano. L’Iran: ‘Maxi cyberattacco, colpiti anche impianti nucleari’

Tra i target governo e magistratura, ha detto l’ex segretario del National Virtual Space Center Abolhassan Firouzabadi. Tajani: ‘Su Unifil vogliamo sapere cosa è successo’. Libano: ’60 morti e 168 feriti nelle ultime 24 ore’

Fonti, il militare Unifil ferito sarebbe indonesiano

Non è un militare del contingente italiano il casco blu dell’Unifil ferito la scorsa notte a Naqoura, nel sud del Libano. Secondo quanto si apprende da fonti qualificate della sicurezza, il peacekeeper ferito sarebbe indonesiano, la stessa nazionalità dei due militari colpiti e rimasti feriti due giorni fa quando un carro armato israeliano ha sparato contro una torretta di osservazione, sempre alla base di Naqoura.

Gli scontri fra Israele e Hezbollah nel sud del Libano hanno inflitto “molti danni” alle postazioni dell’Unifil. Lo ha detto il portavoce dei Caschi Blu Andrea Tenenti.

“Proprio ieri sera, sulla posizione delle forze di peacekeeping ghanesi, appena fuori, l’esplosione è stata così forte che ha distrutto alcuni dei container all’interno in modo molto grave”. Lavorare è “molto difficile perché ci sono molti danni, anche all’interno delle basi”, ha aggiunto.

 

09:39

Libano, ’60 morti e 168 feriti nelle ultime 24 ore’

Il ministero della Sanità libanese ha annunciato che 60 persone sono state uccise e altre 168 sono rimaste ferite negli attacchi israeliani delle ultime 24 ore: lo riporta Al Jazeera. Il bilancio complessivo delle persone uccise e ferite in Libano nell’ultimo anno di conflitto tra Israele ed Hezbollah sale così rispettivamente a 2.229 e 10.380, ha aggiunto il ministero. Il Libano ha registrato anche 57 attacchi aerei e bombardamenti nelle ultime 24 ore, per lo più concentrati nel sud del Paese, nella periferia meridionale di Beirut e nella valle della Bekaa.

 

ALTRE NOTIZIE +++ SULL’IRAN SONO NEL LINK ALL’INIZIO

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Alcune immagini di Palau in Sardegna — da Getty Images + Costa Smeralda, la chiesa Stella Maris a Olbia + video, 6 min. Costa Smeralda

 

 

 

 

PALAU (Olbia-Tempio) guida e foto

cartina da Settemuse.it

 

 

 

 

 

Seaside between Santa Teresa di Gallura and Palau, Sardegna, Italy

il mare tra Santa Teresa di Gallura e Palau

 

 

 

 

Pietra dell'orso

Pietra dell’Orso  vicino a Palau

 

 

 

 

Porto Mannu. Capo d’Orso. Palau. Sardinia. Italy. Europe

capo Manno, Capo d’Orso, Palau

 

 

 

 

Windsurf at Porto Pollo beach. Palau. Sardinia. Italy

per chi sa fare windsurf..

 

 

 

 

 

Italia. Sardegna. Palau (ss). Capo D'orso

Palau, Capo d’Orso

 

 

 

 

Palau and. view from the granite Bear Rock dominates Palau. Bocche di Bonifacio. La Maddalena Archipelago. Sardinia. Italy. Europe

Palau dalle rocce di pietra che lo dominano dall’alto- Bocche di Bonifacio.  Archipelago La Maddalena

 

 

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https://it.wikipedia.org/wiki/Bocche_di_Bonifacio#/media/File:Bocche_di_Bonifacio.png

 

 

 

 

nota :

 

Le Bocche di Bonifacio (in corso Bucchi di Bunifaziu, in bonifacino Bocche de Bunifazziu, in gallurese Bocchi di Bunifaciu, in sassarese Bocchi di Bonifaziu, in sardo Buccas de Bonifatziu, in algherese Estret de Bonifacio) sono uno stretto di mare che separa la Sardegna dalla Corsical’Italia dalla Francia; nel punto più breve distano circa 11 km

Il nome deriva dal comune francese di Bonifacio, in Corsica, che a sua volta deve il nome al marchese Bonifacio II di Toscana, un nobile margravio d’origine bavarese dell’VIII secolo, che fu prefetto della Corsica.

Lo stretto mette in comunicazione il mar di Sardegna, a ovest, con il mar Tirreno, a est, con una larghezza di circa 15–20 km e una profondità massima di 100 m. All’imbocco orientale, si trovano le isole italiane dell’arcipelago di La Maddalena e quelle francesi di Cavallo e di Lavezzi.

È molto conosciuto dai naviganti per la pericolosità delle sue acque, disseminate di scogli e attraversate da forti correnti. Furono fatali per la fregata francese Sémillante, che il 15 febbraio 1855, mentre era diretta da Tolone al mar Nero per partecipare alla guerra di Crimea, a causa di una violenta tempesta fu sbattuta sugli scogli. Nel naufragio morirono tutti i 700 soldati che trasportava.

Dal 1993, dopo l’ennesimo naufragio di una nave mercantile, il passaggio sullo stretto è proibito alle navi che trasportano sostanze inquinanti.

segue : https://it.wikipedia.org/wiki/Bocche_di_Bonifacio

 

 

 

 

La Sciumara beach. Palau. Sardinia. Italy

La spiaggia di Sciumara a Palau– il nome significa ” foce ” in gallurese e deriva dal fatto che nell’ arenile sfocia il rio Surrau.

 

 

 

 

Seaside between Santa Teresa di Gallura and Palau, Sardegna, Italy

Il mare tra Santa Teresa di Gallura e Palau

 

 

 

 

Maddalena archipelago seen from the square of Porto Rafael

L’arcipelago della Maddalena visto dalla Piazza di Porto Rafael dove si trova un piccolo resort fondato nel 1950 da Raphael Neville, conte di Berlanga de Duero, Neville era un artista, and suo figlio Edgar Neville regista di Hollywood,  autore di commedie e racconti.

 

 

 

 

Italy, Sardinia, Northern Sardinia, Palau, View of town harbor

il porto e la baia di Palau

 

 

 

 

Russian-Owned Property In Sardinia Targeted By Sanctions

Porto Rafael : la villa di un ministro di Eltsin, il premier russo prima di Putin

 

 

 

Pink bougainvillea and agave plant at Punta Sardegna in Palau, one of the main tourist towns at the Sardinia

bellissima agave e buganvillea rosa a Palau

 

 

*** La famosa Costa Smeralda ::

 

indica il tratto della costa di Arzachena, in provincia di Sassari, che si estende dal Capo Ferro – situato poco più a nord di Porto Cervo –, fino al golfo di Cugnana, all’inizio del territorio comunale di Olbia, presso la spiaggia di Rena Bianca Portisco.

La Costa Smeralda viene spesso erroneamente confusa con tutta la costa nord-orientale della Sardegna, che si può invece indicare con il toponimo di Gallura, anche se questo si riferisce a tutta la zona nord-orientale dell’isola e non al solo tratto costiero. Anche i vicini centri di Poltu QuatuBaja SardiniaCannigione e Porto Rotondo vengono a essa talvolta associati.

 

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Cartina della Gallura con l’indicazione della Costa Smeralda

 

 

video dal drone della Costa Smeralda con una musichina rilassante –6 min.

 

 

 

 

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Golfo di Cugnana a Olbia in Gallura
Gianni Careddu – Opera propria

 

Il golfo si trova nelle immediate vicinanze di Porto Rotondo e di Portisco, e ai piedi di Cugnana, massiccio granitico che raggiunge quota 650 metri. Si tratta di un vero e proprio porto naturale al riparo dai forti venti che caratterizzano la zona. Recentemente è stato costruito una marina (Marina di Cugnana) non protetto da bracci per l’ormeggio delle imbarcazioni.

La Cugnana, per la sua particolare natura, rappresenta la rada più sicura della zona marittima che va da Golfo Aranci a Poltu Quatu. Uniche problematiche per i naviganti, la bassa profondità e la presenza di una peschiera in concessione a privati.

 

 

Costa Smeralda
Silvia Franceschetti

 

 

Sardegna – Gallura – Il golfo di Cugnana, sullo sfondo Capo Figari e il profilo di Tavolara
Shardan, lavoro proprio

 

da : https://it.wikipedia.org/wiki/Golfo_di_Cugnana

 

 

*** il cuore della Costa Smeralda è Porto Cervo.. (per altro,  vedi link sotto )

Simbolo storico di Porto Cervo è la chiesa di Stella Maris, realizzata nel 1968 dall’architetto Michele Busiri Vici con uno stile mediterraneo che si adatta perfettamente all’architettura circostante. L’edificio si trova in una posizione favorevole con una vista panoramica che abbraccia l’intera insenatura del porto da un lato e monte Moro dall’altro. Custodisce la Mater Dolorosa, del pittore El Greco.

 

da : https://it.wikipedia.org/wiki/Costa_Smeralda#:~:text=L’espressione%20indica%20il%20tratto,spiaggia%20di%20Rena%20Bianca%20Portisco.

 

 

 

 

PARROCCHIA STELLA MARIS A OLBIA

 

segue da:  Porto di Olbia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La facciata ha un porticato antistante sorretto da sei monoliti, il campanile ha una forma a cono con una base molto larga, mentre sulla punta si trova una croce di ferro. All’interno del tempio il pavimento in granito risplende grazie alla luce del sole che penetra dalle finestre finemente decorate. La chiesa può considerarsi un capolavoro dell’architettura moderna. I dettagli dell’edificio sono di grande suggestione e non mancano particolari preziosi come le sculture e gli arredi di Luciano Minguzzi e le sculture di Pinuccio Sciola, raffiguranti San Giuseppe e Papa Giovanni Paolo II.

DAL LINK SOPRA

 

 

LA STELLA MARIS – Da visitare Coast Style

Coast APP –Coast Magazine

 

 

 

 

Costa Smeralda

 

 

 

 

File:Mater Dolorosa-El Greco mg 9993.jpg

Mater Dolorosa di El Greco  (1541–1614)

olio su tela
altezza: 52 cm Modifica su Wikidata; larghezza: 36 cm

anni ’90 del XVI sec.

 

link:

nel link che riguarda il quadro Mater Dolorosa di El Greco si dice che che è custodito
nel Museo della città di Strasburgo – nel Palais des Rohan

 

JMRW • Public domain

 

https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Mater_Dolorosa-El_Greco_mg_9993.jpg

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+++ TAZENDA, DISIMPARADOS ( Emarginati, rifiutati ) —TESTO IN SARDO E TRADUZIONE (La luna sul monte)– da: Canzoni contro la guerra di Bernart Bartleby + altre cose

 

 

 

 

 

[1991]
Parole e musica di Luigi Marielli dei Tazenda

Murales

 

 

Nel disco intitolato Murales”– Gabriella Carlucci (conduttrice del Cantagiro, edizione 1991): “Cominciamo dal titolo: chi sono i disamparados?”

Andrea Parodi: “Disamparados significa rifiutati, emarginati, abbandonati… Sono i bambini che si lasciano sulle autostrade, sono i vecchi che si trascurano, sono tutta quella parte del mondo che vive con i rifiuti della nostra società.”

 

 

Notte ‘e anneu
Chena una lumera
E in coro meu
No b’at un’ispera
Mì sa die
Chi istoccad’ una nue
E rie – rie
Beni’ innoe…
Beni’ intonende unu dillu…
Beni’ intonende unu dillu…


In sos muntonarzos, sos disamparados
Chirchende ricattu, chirchende
In mesu a sa zente, in mesu
A s’istrada dimandende
Sa vida s’ischidat pranghende

Bois fizos ‘e niunu
Chin sos annos irmenticados
Tue nd’has solu chimbantunu
Ma parent chent’annos

Dae sos muntonarzos de sa tziviltade
Sa ‘oghe ‘e sos disamparados
Ponimus una cantone
Ei chena alenu picare
Cantamus pro no irmenticare

Bois jajos ‘e niunu
Chin sos annos irmenticados
Sa vida ue bos at juttu?
In sos muntonarzos!

Coro meu
Fuente ‘ia, gradessida
Gai puru deo
Potho bier a sa vida
Mì sa die
Chi istoccad’ una nue
E rie – rie
Beni’ innoe…
Beni’ intonende unu dillu…
Beni’ intonende unu dillu…

Nois fizos ‘e niunu
In sos annos irmenticados
Sa vida ue nos hat juttu?
In sos muntonarzos!

In sos muntonarzos, sos disamparados
Chirchende ricattu, chirchende
In mesu a sa zente, in mesu
A s’istrada dimandende
Sa vida s’ischidat pranghende

Bois fizos ‘e niunu
Chin sos annos irmenticados
Tue nd’has solu chimbantunu
Ma parent chent’annos

In sos muntonarzos, sos disamparados
Chirchende ricattu, chirchende
In mesu a sa zente, in mesu
A s’istrada dimandende
Sa vida s’ischidat pranghende

In sos muntonarzos, sos disamparados
Chirchende ricattu, chirchende
In mesu a sa zente, in mesu
A s’istrada dimandende
Sa vida s’ischidat pranghende

Beni’ intonende unu dillu…
Beni’ intonende unu dillu…

 

DISPERATI

Notte d’affanno
Senza una luce
E nel mio cuore
Non c’è speranza
Ecco il giorno
Che trafigge una nuvola
E ridendo
Arriva fin qui…
Viene intonando un dillu…
Viene intonando un dillu…

Nelle discariche, i disperati
Cercando da mangiare, cercando
In mezzo alla gente, in mezzo
Alla strada domandando carità
La vita si sveglia piangendo

Voi figli di nessuno
Negli anni dimenticati
Tu ne hai solo 51
Ma sembrano cent’anni

Dagli immondezzai della civiltà
La voce degli abbandonati
Scriviamo una canzone
E senza prendere respiro
Cantiamo per non dimenticare

Voi vecchi di nessuno
Con gli anni dimenticati
Dove vi ha portato la vita?
Negli immondezzai!

Cuore mio
Fonte viva, gradita
Così anch’io
Posso bere alla vita
Ecco il giorno
Che trafigge una nuvola
E ridendo
Arriva fino a qui…
Viene intonando un dillu…
Viene intonando un dillu…

Noi figli di nessuno
Negli anni dimenticati
Dove ci ha portato la vita?
Negli immondezzai!

Nelle discariche, i disperati
Cercando da mangiare, cercando
In mezzo alla gente, in mezzo
Alla strada domandando carità
La vita si sveglia piangendo

Voi figli di nessuno
Negli anni dimenticati
Tu ne hai solo 51
Ma sembrano cent’anni

Nelle discariche, i disperati
Cercando da mangiare, cercando
In mezzo alla gente, in mezzo
Alla strada domandando carità
La vita si sveglia piangendo

Nelle discariche, i disperati
Cercando da mangiare, cercando
In mezzo alla gente, in mezzo
Alla strada domandando carità
La vita si sveglia piangendo

Viene intonando un dillu…
Viene intonando un dillu…

 

traduzione inviata da Bernart Bartleby – 29/5/2014 – 21:31

 

da : 
https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=47454&lang=it

 

 

 

Pierangelo Bertoli e Tazenda- Spunta la luna dal monte – Sanremo ’91

 

 

SPUNTA LA LUNA DAL MONTE

Notte scura, notte senza la sera
notte impotente, notte guerriera
per altre vie, con le mani, le mie
cerco le tue, cerco noi due.

Spunta la luna dal monte
spunta la luna dal monte.

Tra volti di pietra, tra strade di fango
cercando la luna, cercando
danzandoti nella mente
sfiorando tutta la gente
a volte sciogliendosi in pianto
un canto di sponde sicure
ben presto dimenticato
voce dei poveri resti di un sogno mancato.

In sos muntonarzos, sos disamparados
Chirchende ricattu, chirchende
In mesu a sa zente, in mesu
A s’istrada dimandende
Sa vida s’ischidat pranghende.

Bois fizos ‘e niunu
Chin sos annos irmenticados
Tue nd’has solu chimbantunu
Ma parent chent’annos.

Coro meu (Cuore mio)
Fuente ‘ia, gradessida (fonte chiara e pulita)
Gai puru deo (così pure io)
Potho bier a sa vida (posso bere alla vita).

Dovunque cada
l’alba sulla mia strada
senza catene
vi andremo insieme.

Spunta la luna dal monte
(Beni’ intonende unu dillu)
Spunta la luna dal monte.

Spunta la luna dal monte
(Beni’ intonende unu dillu)
Spunta la luna dal monte
(Beni’ intonende unu dillu).

In sos muntonarzos, sos disamparados
Chirchende ricattu, chirchende
In mesu a sa zente, in mesu
A s’istrada dimandende
Sa vida s’ischidat pranghende.

Tra volti di pietra tra strade di fango
cercando la luna, cercando
danzandoti nella mente
sfiorando tutta la gente
a volte sedendoti accanto
un canto di sponde sicure
di bimbi festanti in un prato
voce che sale più in alto
di un sogno mancato.

In sos muntonarzos, sos disamparados
Chirchende ricattu, chirchende
(Spunta la luna dal monte)
In mesu a sa zente, in mesu
A s’istrada dimandende
Sa vida s’ischidat pranghende
(Spunta la luna dal monte).

Beni’ intonende unu dillu
(Spunta la luna dal monte)
Beni’ intonende unu dillu.

inviata da Bernart Bartleby – 29/5/2014 – 21:32

 

 

da _ canzoni contro la guerra

https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=47454&lang=it

 

 

Pierangelo Bertoli (Sassuolo5 novembre 1942 – Modena7 ottobre 2002)

 

 

ENZO BIAGI INTERVISTA PIERANGELO BARTOLI

VIDEO, 6 min. ca — secondo me, ch, è bello !

 

 

*** per i grandi curiosi delle lingue ( Gramsci sosteneva che il sardo non è un dialetto, ma una lingua che poteva esprimere tutto ) metto un link :

 

 

 

SU NURAGHE – CIRCOLO CULTURALE SARDO – BIELLA

Salvatore Dedola, glottologo-semitista  ( che studia la cultura semitica )

descrizione

Nell’immagine: l’incipit, “D”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009

 

 

Dicembre 2023, una parola sarda al mese: “D” come “DILLU”

 

per me, ch. è un po’ complicato seguire il testo..

 

 

 

Inaugurazione del Nuraghe Chervu

Domenica 17 marzo 2024  si è tenuta la cerimonia di inaugurazione dell’installazione al Nuraghe Chervu di corso Rivetti in memoria dei caduti sardi e piemontesi durante la Prima Guerra Mondiale. L’iniziativa è stata promossa dalla Città di Biella e il Circolo Su Nuraghe, con la partecipazione di numerosissimi Comuni

Nel Centenario della I Guerra Mondiale, il Circolo Su Nuraghe di Biella si è fatto promotore di una mostra documentaria, itinerante tra Piemonte e Sardegna, intitolata “Gli emigrati italiani e la Grande Guerra. La Legione Garibaldina nelle Argonne 1914/15”. L’iniziativa si è avvalsa della collaborazione di studiosi e storici e del sostegno dell’ANVRG (Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini) e di sezioni locali.

 

La mostra focalizza l’attenzione su un gruppo di Italiani residenti a Parigi, i quali, il 31 Luglio 1914, insieme a 6 dei 7 figli di Ricciotti Garibaldi, figlio dell’Eroe dei Due Mondi, si adoperarono per un intervento armato contro il nemico tedesco a fianco della Francia. Venne costituito il “4° Reggimento di marcia del I Straniero” al comando del colonnello Giuseppe Garibaldi jr, forte di circa 3 mila volontari. Dopo il battesimo del fuoco del 26 Dicembre 1914 nelle Argonne ed il notevole numero di perdite subite, il 6 Marzo 1915 i superstiti furono inglobati nella Legione Straniera. Tra i volontari Italiani si contarono circa 70 cognomi sardi e 6 biellesi. Furono soprattutto le notizie riguardanti i sardi volontari a suscitare sensazione ed interesse nell’opinione pubblica isolana e nazionale, tanto che le informazioni furono riprese da giornali interventisti. La partecipazione di Sardi alla campagna volontaria si inserì nel solco della presenza e della perdurante vitalità della tradizione garibaldina isolana, con la Sardegna canale storico privilegiato di espatrio.

Gianni Cilloco

 

 

 

 

Nell’immagine, Biella, area monumentale “Nuraghe Chervu”, mosaico di pietre provenienti dai Comuni italiani– ogni pietra rappresenta un comune con il nome e il numero dei caduti- per esempio:

 

 

 

 

 

 

comune di Biella

https://www.comune.biella.it/galleria-media/inaugurazione-nuraghe-chervu

 

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Nature is Amazing ☘️ @AMAZlNGNATURE — 22.05 — 11 ottobre 2024 — grazie e mille ! + Amazing Vibes  @amazing_Vibes_ / link sotto 22.10 – 11 ottobre 24 — un canguretto che vuole uscire e un altro che vuol rientrare–

 

 

apri qui

https://x.com/i/status/184483169974344913

 

 

 

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VIA RITORTA .. nel centro medioevale di Perugia, bellissima città di cui vediamo solo una ” viuzza assai ritorta “– da ” La terra in immagini ” di juergen-reichmann.de , un magnifico fotografo di tutta Perugia ed altro – link sotto

 

 

 

segue da:

 

ERDE IN BILDERN

juergen-reichmann.de . — dal 2019
La terra in immagini- SITO – LINK SOTTO
https://www.juergen-reichmann.de/auswahl.php?motiv=25502

 

 

 

 

Perugia Via Ritorta

via Ritorta

 

 

 

PerugiaVia Ritorta/Via Antonio Fratti

via Ritorta

 

 

Via Ritorta. Stretta stradina che ha conservato buona parte dell’aspetto che aveva nel Medioevo, è tra le più scenografiche dell’interessante e fitto tessuto viario che si sviluppa da ambo i lati di Via dei Priori, e merita di addentrarsi in esso ‘col naso per aria’. Così chiamata per il suo percorso tortuoso ed è considerato uno dei vicoli medievali più autentici del centro storico.

 

Via dei Priori. Il toponimo deriva dal nome dei dieci magistrati (decemviri o priori), che nel Medioevo detennero il governo cittadino fino agli inizi del Settecento. Antico asse viario etrusco e decumanus romano, poi via regale dPorta Santa SusannaVia dei Priori si delinea partendo dall’arco del Palazzo dei Priori e collega il cuore della città con la strada che, uscendo da Porta Trasimena, conduce al Lago Trasimeno e in Toscana. Nel corso del tempo si è guadagnata l’appellativo di via sacra dovuto alla costruzione di numerosi insediamenti religiosi, come chiese e oratori. Si è inoltre arricchita di vari palazzi privati, grazie alla ristrutturazione degli edifici attuata negli ultimi tre secoli. Peculiare proprietà della via è la sua caratteristica ventosità (Penna, 1973).

Dal percorso principale di Via dei Priori si diramano caratteristici vicoli medievali, spesso tortuosi, angusti, ripidi e coperti da volte che portano a grandi e piccole piazze da raggiungere camminando con il naso all’insù, per ammirare i particolari architettonici e i giardini ‘sospesi’ dei palazzi di città

 

 

da : VISIT PERUGIA 

** se volete, vi rende edotto di ogni strada per visitare bene la città.

Perugia. La via regale e il suo reticolo

 

via Ritorta congiunge via dei Priori con via Maesta’ delle Volte

Perugia Arco di Via delle Volte, Via Maestà Delle Volte

Arco di Via Maestà delle Volte

 

 

PerugiaVia Maestà Delle Volte, Via Ritorta

Via Maestà Delle Volte / Via Ritorta

 

 

 

 

PerugiaVia Ritorta/Via Antonio Fratti

Via Ritorta/Via Antonio Fratti

 

 

 

Perugia Via Ritorta / Via Antonio Fratti Arco di Via delle Volte

Via Ritorta / via Antonio Fratti

 

 

 

 

PerugiaVia Ritorta/Via Antonio Fratti

Via Ritorta / via Antonio Fratti

 

 

 

 

 

Perugia Via Maestà Delle Volte, Arco di Via delle Volte

Via Maestà delle Volte / Arco di via Maestà delle Volte

 

 

Perugia Arco di Via delle Volte Opera Madonna protettrice di Perugia

Arco di Via delle  Volte

 

 

 

 

PerugiaVia Maestà Delle Volte

Via Maestà Delle Volte

 

 

 

Perugia Via Ritorta

Via Ritorta

 

 

 

 

Perugia Via Ritorta

Via Ritorta

 

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Jsarema Zafferini ( link sotto ) 10 ottobre 2024 alle 16.00 ca- — DANIELA ATTANASIO – naturalmente non la conoscevamo, grazie cara Jsa, ciao bella ! + altro sulla poetessa

 

 

LINK FACEBOOK DI JSAREMA ZAFFERINI

Jsarema Zafferini

 

 

 

DANIELA ATTANASIO

 

L’ho vista arrivare da Via dello Statuto in una mattina di primavera

aveva l’aria di chi sta cercando un mezzo per tornare indietro

la conosco da molti anni e non è cambiata

anche se non cammina più sollevata da terra come allora

nella svagatezza degli occhi ha brevi scaglie di luce

sulle labbra un orlo di dolore

si è sposata con lo stesso uomo con cui andava in moto al mare

viveva nella paura ma non l’ha mai detto

il cuore del suo uomo quando entrava nel buio della

testa perdeva la vista

palmi di mani allora le cadevano addosso

i capelli volavano nell’aria come frange di aquilone

sulla pelle del viso sbocciavano petali di fiori viola

l’ho rivista su una foto al telegiornale

un po’ consumata dagli anni ma forse più bella

con lo stesso sguardo bagnato di stupore

una sola coltellata l’ha fatta morire

quella alla giugulare.

Potrebbe essere un disegno raffigurante 2 persone e motocicletta
Daniela Attanasio, "Vivi al mondo" (Vallecchi, 2023 ...

Daniela Attanasio (Roma11 settembre 1947) è una poetessa italiana.
foto di Dino Ignani

 

foto e quello che segue è da:

 

 

Daniela Attanasio, “Vivi al mondo” (Vallecchi, 2023) – Anteprima editoriale

 

Daniela Attanasio, nata a Roma, ha pubblicato per l’editrice Empirìa i libri di poesia La cura delle cose 1994, Sotto il sole 1999 (Premio Dario Bellezza, Premio Unione Lettori Italiani), Del mio e dell’altrui amore 2005 (Premio Camaiore). Il breve poema sull’amore contenuto nel libro è stato musicato nel 2004 e rappresentato in alcune manifestazioni teatrali.

Le tre successive raccolte sono state pubblicate con l’editrice Nino Aragno: Il ritorno all’isola 2010 (Premio Sandro Penna), Di questo mondo 2013 (Premio della Giuria Viareggio-Rèpaci), Vicino e visibile 2017.

Ha tradotto Love Poems di Anne Sexton per il volume antologico La doppia immagine (Editore Sciascia) e per la rivista Galleria ha curato un numero antologico su Amelia Rosselli.
Come critica ha collaborato per alcuni anni con la rivista letteraria Leggere (Editrice Archinto, Milano) e con il quotidiano Il Manifesto. Sue poesie sono presenti in numerose antologie fra cui Poesia italiana 1970/2000, Garzanti, Nuovi poeti italiani 6, Einaudi.

 

*        *        *

 

‘siamo nascosti nelle cavità del pensiero – dicevi –
siamo teste che sorridono per compiacere il canto di un’amica’
ma poi qualcosa ha spostato la mia attenzione –
la lagna di un bambino i suoi grandi occhi blu
la fissità infantile dello sguardo
la madre ha cose molto belle da raccontare
in una zona d’ombra della mente cancella parole come male
e parla della vita
oggi c’è il sole che l’aiuta e un giardino curato ricco di piante e acqua
l’acqua della fontana scorre in un percorso di canaline
dove le foglie alzano le vele
ci sono cani che inseguono fantasmi e orme di piedi piccoli per terra
orme di bambini –
ecco da queste orme vorrei ricominciare

 

*

 

la cosa che chiamiamo anima non si è accorta subito
della tua scomparsa il corpo sì
all’inizio qualche puntura una frustata al petto come
bere acqua ghiacciata con quaranta di febbre
ero interdetta dai colpi di silenzio che riempivano la stanza
sempre più vicina a cedere all’inganno della fede
all’eco che arriva dalle onde elettromagnetiche del cosmo

ricordo le tue parole poco prima di morire-
lascio -hai detto- vado da un’altra parte
esco dalla città

 

*

 

intorno alla punta dell’iride innescano residui memoriali
crescono piante innovative
si allungano le dita delle mani
gli occhi risvegliano la brillantezza del nero
il nero più profondo più oscuro
poi i soliti rituali per evocare il distante
il piccolo
la piega del collo l’incavo delle braccia
la linea arcuata delle sopracciglia
la fascia larga al fondo della schiena
la goccia dell’orecchio

si assommano versioni sullo stesso ricordo-
ero più consapevole allora della mia dipendenza?
ero più dipendente?’

 

*

 

la stanza dormiva dentro l’ombra del castello*
sull’acqua la bellezza delle mura si rifletteva nel
segreto dell’acqua
e in quel disegno il colore del lago evaporava insieme al sole

lì ho sfiorato la possibilità
l’ho sentita simile a una carezza
una cosa sensibile che poteva cambiarmi lo sguardo
è insignificante oggi dire che non ce l’ho fatta

*Château de Chillon

 

*

oggi i piccioni sembrano falchi
il loro volo è insolitamente fermo nella sospensione
in realtà non vedo bene
forse la vista è accecata dall’insonnia
oppure le lenti sbagliate impediscono di capire cosa sia
quella filigrana di nuvole che si muove nel cielo in chiaroscuro
come fosse uno sbuffo di catrame
dovrei cercare senso nelle rassomiglianze

guardare il mio viso in uno specchio brunito
così che non compaiano macchie non ci siano rughe
trovare un colore
tra le foglie secche del platano gettando lo sguardo
sul selciato del marciapiede dove potrei incontrare
le mie ombre amiche

 

*        *        *

 

 

*        *        *

 

© Fotografia di Dino Ignani

 

 

 

immagine per Daniela Attanasio

una foto impietosa di Daniela Attanasio dal Premio Strega:
https://www.premiostrega.it/PO/autore/daniela-attanasio/

 

*** nel video sotto sembra un’altra persona !

 

 

** per chi fosse interessato

al minuto 15  del video, il primo premio poesia risponde ad una domanda della regista della serata, poi legge una poesia:

Stefano Dal Bianco con Paradiso (Garzanti)  Paradiso - Stefano Dal Bianco - copertina
Garzanti 2024

 

al 22 ° minuto arriva  DANIELA ATTANASIO

Al secondo posto Daniela Attanasio con 17 voti per Vivi al mondo (Vallecchi) con cui si è aggiudicata il Premio Strega Giovani Poesia, con 38 voti su 102 espressi da una giuria di studenti delle scuole secondarie di secondo grado.

  Terza, con lo stacco di un voto, Giovanna Frene con Eredità ed Estinzione (Donzelli), 16 preferenze, quarto Gian Maria Annovi, con Discomparse (Aragno), 13 voti e quinto Roberto Cescon con Natura (Stampa 2009), 3 voti. ( da Ansa/ 9 ottobre 2024 )

 

 

se vuoi, apri qui

https://www.raicultura.it/letteratura/eventi/Premio-Strega-Poesia-913e5f28-8a1f-4332-a1a7-3645e59dac1a.html

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IL MERCATO DEI FIORI A PESCIA NEL 1962 + altro

 

 

 

Touring Club Italiano

 

 

 

Pescia – Veduta

Pescia – Veduta
Sailko – Opera propria

 

 

 

Cattedrale di Pescia

 

cattedrale di Pescia

 

 

 

 

 

PESCIA - Blog

PIEVI E BORGHI

 

 

 

 

File:Pescia - duomo di Pescia - 202109071248.jpeg - Wikimedia Commons

WIKIMEDIA . COMMONS

 

 

 

Exploring the treasures of Pescia | Visit Tuscany

VISIT TUSCANY

 

 

 

 

PESCIA
TRIPADVISOR

 

 

 

 

Il Museo Civico di Pescia - Silvana Editoriale

silvana  editori

 

 

 

 

Pescia Weather Forecast

 

 

COLLODI

 

Collodi, l'antico e ripido borgo di Pinocchio

IL PALAZZO SI CHIAMA VILLA GARZONI

 

 

 

 

Il Pinocchio di legno più alto del mondo (opera del 2009 dell'atelier Volet, Svizzera, alta 16 metri). Ph. Credit Francesco Bini

Il Pinocchio di legno più alto del mondo (opera del 2009 dell’atelier Volet, Svizzera, alta 16 metri). Ph. Credit Francesco Bini

 

 

 

 

Veduta di Collodi

Veduta di Collodi

 

 

DA —

FOTO FINESTRE SULL’ARTE
https://www.finestresullarte.info/viaggi/borgo-di-collodi-pinocchio

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Gio @gifebe / link sotto – 8.08 –11 ottobre 2024 – un passeggino in braccio alla mamma :: un giraffino seduto un po’ scomodo e una giraffa grande grande..

 

 

link su X carissimo Gio
che augura una buona giornata a tutti voi

Gio @gifebe

 

apri qui

https://x.com/i/status/1844621045191348721

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LUCA MARTINELLI, ExtraTerrestre, Sud, treni inchiodati al binario unico. Trasporti Il caos ferrovie non è colpa del chiodo di Roma ma dei tagli governativi –IL MANIFESTO 10 OTTOBRE 2024

 

 

 

IL MANIFESTO 10 OTTOBRE 2024
https://ilmanifesto.it/sud-treni-inchiodati-al-binario-unico

 

ExtraTerrestre

 

Sud, treni inchiodati al binario unico

 

 

 

Sud, treni inchiodati al binario unico

 

 

 

Luca Martinelli ( Pescia /Pisa, 1980 ), scrive per Altraeconomia, inserto cibo Domani, Il Manifesto e altri, ha scritto vari libri, se non sbaglio anche gialli

 

L’ultima giornata di ordinaria follia del trasporto ferroviario italiano, che mercoledì 2 ottobre s’è schiantato e bloccato nel nodo nevralgico di Roma Termini, non è stata tutta colpa di un chiodo, come ha detto il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. Il disastro viene da lontano e porta la sua firma e quelle dei tanti che hanno scelto di disinvestire sul trasporto ferroviario, in particolare quello regionale usato ogni giorno da quasi 2,4 milioni di pendolari: una miopia che viene da lontano, ma che il leghista ha senz’altro contribuito ad acuire: «Per la prima volta dal 2017, la scorsa legge di Bilancio non ha previsto fondi né per il trasporto rapido di massa, il cui fondo è stato definanziato, né per la ciclabilità e la mobilità dolce, né per il rifinanziamento del fondo destinato alla copertura del caro materiali per i progetti finanziati o in via di realizzazione e neanche per il fondo di progettazione, con gravi conseguenze sui lavori in corso e futuri», come spiega l’ultima edizione del Rapporto Pendolaria di Legambiente.

IN ALCUNE REGIONI DEL MERIDIONE, come Basilicata e Calabria, i treni che circolano hanno in media oltre vent’anni, mentre in Sardegna, in Sicilia e in Campania hanno ormai raggiunto la maggiore età. Il problema, in questi casi, non è l’assenza della presa per ricaricare lo smartphone o il tablet, ma la capacità di attrarre utenti e garantire anche a loro un servizio pubblico essenziale, quello che permette di tenere le auto ferme in garage, riducendo le emissioni e contribuendo alla decarbonizzazione del Paese. E mentre il dibattito pubblico e le risorse economiche per risolvere i problemi di mobilità del Mezzogiorno ruota  ancora attorno alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, con una spesa complessiva autorizzata di 11,63 miliardi di euro, suddivisi in 9 anni, non ci rendiamo conto che da oltre 13 anni, a causa del crollo di un ponte, è chiusa la ferrovia tra Caltagirone e Gela. Che a causa di alcuni smottamenti del terreno, dal 2013 sono sospese le corse anche sul collegamento tra due capoluoghi regionali, la ferrovia Palermo-Trapani (via Milo).

 

La redazione consiglia:

La «cura del ferro» al palo. Corrono solo i trasporti inquinanti, CO2 alle stelle

PER GUARDARE ALLA CALABRIA, invece, manca da 11 anni anche il servizio tra Gioia Tauro e Palmi e Cinquefrondi in Calabria. «Non vi è alcun progetto concreto di riattivazione» commenta Legambiente. In Sicilia, intanto, sono ben 1.267 i chilometri di linee a binario unico, l’85% sul totale di quelle in servizio, mentre non sono elettrificati 689 km, pari al 46,2% del totale. Questo fa sì che i tempi di percorrenza all’interno dell’isola siano definiti «imbarazzanti»: per andare da Trapani a Ragusa ci si impiegano 13 ore e 14 minuti, cambiando 4 treni regionali.

 

A RISOLLEVARE LE SORTI DEL TRASPORTO ferroviario nel Sud avrebbe dovuto contribuire il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza. Ma quando però il Pnrr è stato «rimodulato», nel 2023, a saltare sono stati i finanziamenti per tanti interventi legati al ferro: ben 620 milioni di euro, che avrebbero dovuto essere usati per velocizzare il corridoio Roma-Pescara (oggi ci vogliono almeno 3 ore e mezza) sono stati bloccati dalle lungaggini dell’iter amministrativo. L’intervento sul segnalamento ferroviario Ertms, il sistema di sicurezza per le ferrovie di ultima generazione, è saltato per la mancanza delle materie prime. In Sicilia, la tratta che colleghi due città importanti come Palermo e Catania non sarebbe rientrata in tempo per il completamento degli interventi nel 2026.

In totale, sul sistema di AV/AC al Sud i tagli sono arrivati a 840 milioni di euro. «Vittime» le tratte Orsara-Bovino (linea Napoli-Bari) per 53 milioni, Caltanissetta Xirbi-Lercara (linea Palermo-Catania) per 470 milioni, Enna-Caltanissetta Xirbi (linea Palermo- Catania) per 317 milioni. Resta finanziato, ma non è al Sud, il raddoppio della linea tra Orte (Vt), nel Lazio, e Falconara (An), nelle Marche. Per dare l’idea del valore di un intervento del genere, basti pensare che oltre a ridurre i tempi di percorrenza si va ad incrementare la capacità della linea – che è quella tra Roma e Ancona – da 4 a 10 treni all’ora.

 

UNA PICCOLA RIVOLUZIONE, una delle tante che devono compiersi se davvero l’Italia vuole rispettare gli obiettivi del Green Deal europeo, che prevedono un taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 e il loro azzeramento entro il 2050. Secondo le stime di Legambiente, contenute nel Rapporto Pendolaria 2024, sarà necessario fino al 2030 prevedere nuovi finanziamenti pari a 500 milioni l’anno per rafforzare il servizio ferroviario regionale con l’acquisto e il revamping ( rimodernamento in ambito ferroviario ) dei treni; 200 milioni l’anno per migliorare il servizio Intercity o l’aumento di almeno 1 miliardo del Fondo Nazionale Trasporti (che finanzia il trasporto su ferro e quello su gomma). Si tratta di una spesa alla portata del Paese attraverso un’attenta programmazione di finanziamenti europei, italiani e regionali. «Le risorse – spiega l’associazione – si possono recuperare dai sussidi alle fonti fossili e inquinanti, oltre che ripensando a progetti stradali e autostradali dannosi per l’ambiente e per l’economia». Rinunciare al Ponte sullo Stretto è una necessità, dettata non solo dall’impatto ambientale.

 

ALTRI DATI, SOTTOLINEA LEGAMBIENTE, potrebbero suggerire gli interventi necessari: le corse dei treni regionali in Sicilia e in Calabria sono ogni giorno rispettivamente 472 e 294, contro le 2.173 della Lombardia, benché i residenti in questa regione siano solo il doppio di quelli in Sicilia (rispettivamente 10 e 5 milioni), in una regione comunque di estensione inferiore a quella dell’isola.

IN CALABRIA LA FLOTTA DEI ROTABILI è composta da 97 treni regionali (tra Trenitalia e Ferrovie della Calabria), mentre in Sicilia sono 131 (Trenitalia e Circumetnea). Lontanissimi dalle flotte di regioni quali la Toscana (257) o l’Emilia-Romagna (177).

PARLARE DI INVESTIMENTI SULLE FERROVIE anche al Mezzogiorno, del resto, non è utopia: a febbraio 2024 in Molise è stata inaugurata l’elettrificazione della tratta tra Roccaravindola e Isernia, intervento destinato a proseguire fino a Campobasso. In questo modo, spiega Rfi ( Rete ferrov italiana ), sarà possibile effettuare «servizi veloci per Roma e Napoli con conseguente diminuzione dei tempi di percorrenza». Quello che serve.

 

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video, 5.57 — MIlano, anni ’60 – Celentano, il ragazzo della via Gluck + Mina – Nessuno

 

 

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I BURATTINI DI BUDRIO ( BOLOGNA ) DI RICCARDO –video 36 min. ca– se vi piacciono, buon divertimento ! + qualche notizia e qualche immagine

 

 

 

 

 

 

segue da :

link
https://bbcc.regione.emilia-romagna.it/pater/loadcard.do?id_card=26666&force=1

 

 

burattini tradizionali

 

i burattini di Veronesi

 

 

Il teatrino

 

 

Sala del museo ed esposizione dei burattini

 

 

Targa in bronzo, esposta all’esterno del Museo, con il logo del riconoscimento “Museo di Qualità” assegnato dall’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna.

 

 

 

Budrio

Museo dei Burattini – Collezione “Zanella – Pasqualini”

 

 

 

Il museo, allestito in due sedi separate, documenta la storia del teatro d’animazione attraverso l’esposizione della prestigiosa collezione di burattini e marionette dei coniugi Vittorio Zanella e Rita Pasqualini, della compagnia “Teatrino dell’Es”. La collezione si compone di migliaia di pezzi provenienti dalle famiglie marionettistiche, burattinaie e pupare di tutta Italia. E’ ospitata all’interno della cosiddetta Casina del Quattrocento, storico edificio del centro, il cui allestimento per nuclei di provenienza accompagna il visitatore alla scoperta del variegato mondo del teatro di figura grazie alla ricca esposizione di burattini, marionette, pupi, ombre, baracche, scenografie, sipari, impianti luce, documenti, manoscritti, costumi ed attrezzerie. La collezione negli anni è stata incrementata dall’acquisto delle raccolte di Alessandro Cervellati e Alberto Menarini, studiosi e cultori della tradizione bolognese, caratterizzate da un prestigioso patrimonio scenico opera di burattinai quali Amilcare Gabrielli, Arturo Veronesi, Umberto Malaguti. In parte acquistata dai coniugi Liliana e Marino Perani e successivamente dal Comune, questa collezione, esposta nella sede museale di via Garibaldi, si compone di oltre un centinaio di burattini della prima metà del Novecento, di costumi, fondali e di un nucleo di teste. Il Museo, con mostre, animazioni, spettacoli e laboratori, continua attivamente la tradizione dei burattini.

 

 

scenografia — immagini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Via Garibaldi, 29
Budrio (BO)

E-mail 
Sito web

Tel: 051 484 6303

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Siamo sempre in Liguria, ma con Ferruccio Sansa che conosco dalle altre elezioni e mi sembra una persona seria– Voi cosa ne pensate ? anche lui saprà le leggi della propaganda, d’accordo, ma..

 

 

Ferruccio Sansa  link del suo Facebook 

 

“Io non credo nella politica”. Quante volte me lo sono sentito dire in questi giorni mentre distribuivo volantini.

Confesso che a volte me lo chiedo anch’io. Ed è giusto che sia così. Mai avere certezze.

Ieri sono stato in uno dei nostri ospedali. Ci vado spesso da quando sono consigliere.

Non ho fatto niente di particolare. Sono andato in un reparto di radiologia. Mi sono seduto accanto alla gente in attesa. Ho ascoltato.

“Io non credo nella politica”, mi ha detto una signora. Non parlava di programmi, di partiti, di bandiere.

Parlava della sua vita: “Ho aspettato dodici mesi per fare una radiografia. Alla fine mi hanno trovato una malattia”. Ha detto cosi, “malattia”, per timore e per pudore, intanto era abbastanza chiaro. “Se non avessi aspettato tanto, ora sarei guarita. Invece…”.

Invece adesso era lì. Con il piede che batteva in continuazione sul pavimento. Con gli occhi fissi alla porta da cui doveva uscire il medico con il referto.

E io cosa potevo risponderle? Certo potevo dirle che in Liguria con il governo Toti il numero delle persone che non si curano è salito al 7,8 per cento. Un record negativo.

Potevo dirle che solo il 3 per cento degli ospedali finanziati dal Pnrr è stato realizzato.

Un disastro totale.

Ma aveva senso dirglielo? No.

Non aveva senso nemmeno rassicurarla tanto per fare. Dirle che guarirà.

Lo sa anche lei, quella donna di cui non so nemmeno il nome, che può solo sperare.

Le ho stretto la mano. Ho provato a sorridere. Me ne sono andato.

Eppure mentre uscivo sentivo che quella donna ha dato una risposta a quella domanda.

A cosa serve la politica?

Non tanto a fare comizi. A distribuire volantini. A prendere voti.

La politica è quella che può cambiare la vita di una persona. Di tante persone.

Decide dove vanno a scuola, come viaggiano, come lavorano. Decide come crescono e come invecchiano.

Decide, in fondo, se riescono a guarire oppure no.

Non ho risposte per quella donna seduta accanto a me in corsia.

Lei è rimasta là ad aspettare il medico con il referto.

Io sono tornato a fare la mia campagna elettorale.

Ma mi ha ricordato perché devo mettercela tutta.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona e testo

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— dedicato ai liguri ::: ” Bulesumme ” –dal blog ” La sostanza dei sogni “, 10 dicembre 2011 — in questo blog, non so se è ancora vivo, trovate molti piccoli racconti alcuni proprio belli

 

 

10 dicembre 2011 – La sostanza dei sogni

Bulesumme

 

 

Bulesumme

Condannata dal destino e dalla pigrizia a un nefasto piattume padano, a volte sento ribollire nelle vene quel po’ di mare che vi scorre per nascita savonese e DNA paterno. E quando m’incazzo dico parolacce liguri, perché il turpiloquio nella lingua natia, ricca di suoni duri e vocali strette, dà molta più soddisfazione.

In casa mia si è sempre parlato un italiano accademico, perfettamente atono e privo di coloriture dialettali, ma vi sono parole liguri bellissime, onomatopeiche o talmente precise da essere intraducibili, che mi piace ripescare ogni tanto come tesori nascosti nel doppiofondo di una valigia.

Prendi, per esempio, la rumenta, che ingiungo di raccogliere nei miei saltuari furori di pulizia, quando mi sento sommergere dalla sporcizia esteriore ed interiore.

La rumenta non è semplice “spazzatura”, ma quel mucchietto di schifezze (polvere, capelli, “gattoni” di lana delle coperte), che ti si accumula sotto la scopa con appiccicosa riluttanza, inducendoti a riflettere sul tuo pattume esistenziale che non riesci a spazzare via.

Ru-men-ta, con le sue sillabe dure, contiene in sé lo schifo e la fatica della rimozione.

Sì, perché è un momento di odiosa impasse, come una barchetta a remi in balia del mare bulesumme: non si è in pericolo, ma non si riesce ad andare, né a riva né in mare aperto.

Bulesumme è quel mare increspato da onde dispettose schiumanti finta innocenza: non sono alte e minacciose come cavalloni, ma ti impediscono di nuotare e ti fanno bere litri d’acqua salata. Insomma, non muori ma t’incazzi parecchio, di solito con te stesso. Ti dai dell’abbellinou, che poi vuol dire “pirla”. Solo che tutte quelle labiali hai bisogno di dirle, quando sei arrabbiato con un deficiente, tanto più se il deficiente, l’abbellinato, sei tu.

Sì, perché il ligure è un po’ masochista, ipercritico ad oltranza con gli altri ma soprattutto con se stesso. Stundaio, insomma. Stundaio è una parola che anche Montale ha evocato parlando dell’atteggiamento dei suoi conterranei, “orgoglio e timidezza misto a diffidenza”.

Con noi stundai è difficile entrare in relazione: ci sono cocci aguzzi di bottiglia su cui ferirsi, prima di arrivare al di là di una muraglia di sospetti e cautele.

Poi, però, si trova un mare di affetto e fedeltà. E quel mare non è mai bulesumme…

 

 

 

10 dicembre 2011

Prigioniero della nebbia

 

 

Prigioniero della nebbia

 

Sette anni fa moriva mio padre. Era nato al mare, ma per tanti anni fu prigioniero della nebbia. La nostalgia non lo abbandonò mai, come testimonia questa sua poesia in dialetto savonese, che pubblico con la “traduzione” per i non liguri.

 

SANTA LUSIA

Ti te ricordi, Mingo

in sce-i banchetti

che festa de culuri

che allegria…

E  ûn mä de zente

inseme ai babanetti

insci-a a salita de Santa Lusia

E belle balle de sereoja pinn-e

tiê de tanti figgi de bagasce

se desfavan in tësta ae scignurinn-e

e i negusianti ne vendeivan casce

A quelli tempi ëmu in mezu ai venti

Ëmu  züeni, ëmu beli, ëmu cuntenti.

Oua in-ta nebbia sëmu  in salamoia

coe balle pinn-e, ma nun de sereoja.

 

“Traduzione”

Ti ricordi Mingo,

in quei banchetti

che festa di colori,

che allegria.

E un mare di gente

coi bambini

su per la salita di Santa Lucia.

E belle palle piene di segatura

tirate da tanti figli di puttana

si disfavano in testa alle signorine

e i negozianti ne vendevan casse.

A quei tempi eravamo in mezzo ai venti

Eravamo giovani, belli e contenti

Ora in mezzo alla nebbia siamo in salamoia

Con le palle piene, ma non di segatura.

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Buitengebieden @buitengebieden – 12.23 — 10 ottobre 2024 — belli belli ! – una scena doppia — carina !

 

 

Siblings..

( Fratelli .. )

LINK X 

Buitengebieden @buitengebieden

 

 

apri qui–

https://x.com/i/status/1844141720398856220

 

 

apri qui —

https://x.com/i/status/1844142562266972210

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Chiesa di San Giovanni Nepomuceno, a Zelená Hora ( = montagna verde ), in Repubblica Ceca, a Žďár nad Sázavou, nella regione di Vysočina, vicino al confine tra Boemia e Moravia. E’ il capolavoro di Jan Blažej Santini-Aichel, un architetto italo-boemo che fuse il barocco borrominiano con elementi gotici nelle costruzioni e nelle decorazioni.

 

 

 

segue da:

Latitudinex®

https://www.latitudinex.com/rubriche/curiosita/zelena-hora-simbolismo-in-ceca.html

 

 

 

Pianta del santuario

pianta del santuario

 

 

 

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E’ il capolavoro di Jan Blažej Santini-Aichel, un architetto italo-boemo che fuse il barocco borrominiano con elementi gotici nelle costruzioni e nelle decorazioni.

 

****

Nel 1994 il santuario è stato dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.

 

 

sotto la neve ..,.

Zelena hora | Žďár nad Sázavou

da : https://www.zdarns.cz/en/town/zelena-hora

 

**** 

kliknutím zobrazíte polohu na Mapy.cz

 

La città di Žďár nad Sázavou, nella regione della Vysočina che appartiene sia alla Cecoslovacchia che alla Moravia

 

 

 

 

cartina:
https://it.wikipedia.org/wiki/Terre_ceche#/media/File:Repubblica_Ceca_-_Boemia,_Moravia_e_Slesia_ceca.png

 

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Terre ceche (in ceco české země) è un termine utilizzato principalmente per descrivere l’insieme dei territori della Boemia, della Moravia e della Slesia ceca. Oggi, queste tre province storiche compongono la Repubblica Ceca. Le due unità che originavano la Cecoslovacchia si sono divise nel 1969 in repubblica socialista ceca e repubblica socialista slovacca, repubbliche federate

da :
https://it.wikipedia.org/wiki/Terre_ceche

 

 

 

Žďár sopra Sázava fu in origine un’insediamento mercantile fondato sulla via antica delle Terre Ceche. L’Insediamento nacque insieme alla fondazione del monastero locale del’ordine cistercense nel 1252. Acquistò il statuto della città all’inizio del XVII secolo.
La chiesa di pellegrinaggio, dedicata a San Giovanni Nepomuceno, fu costruita all’inizio degli anni venti del ‘700.
https://it.czech-unesco.org/zdar-nad-sazavou/introduzione/

La città di Žďár nad Sázavou  si trova nella parte orientale degli altipiani boemo-moravi sul fiume Sázava nel territorio del PLA Žďárské vrchy. La città si trova sia nel territorio storico della Moravia, ma anche nel territorio storico della Boemia, una zona più ampia appartiene al territorio storico della Moravia. La città è composta da diverse parti.
https://www.edpp.cz/zrns_charakteristika-zajmoveho-uzemi/

 

 

 

 

Religione, esoterismo e simbolismo. Sono gli ingredienti magici della chiesa di San Giovanni Nepomuceno, a Zelená Hora, in Repubblica Ceca. Già la posizione, in cima sul Monte Verde, che dà anche il nome al luogo, che la fa dominare quest’angolo lussureggiante di Moravia, la rende magica.

 

Žďár sopra Sázavou

foto da : https://www.toulejse.cz/

 

 

L’impatto con l’occulto è immediato: la chiesa ha cinque porte, cinque cappelle, cinque altari.  Il principio di base è la composizione della stella a cinque punte (pianta a cinque punte, cinque ingressi, cinque nicchie dell’altare, venticinque cappelle attorno a uno spazio centrale, cinque stelle e cinque angeli sull’altare maggiore), simbolo non solo delle cinque ferite di Cristo, ma anche delle cinque lettere della parola latina “tacui” (ho taciuto) e soprattutto delle cinque stelle nell’aureola del martire San Giovanni Nepomuceno, che la leggenda ci dice furono viste sopra il suo corpo annegato. Il numero si rincorre in una gara al simbolismo che ha più strati di lettura e che farebbe gola a chiunque sia appassionato di arcani, segreti, Massoneria e Cabala.

 

foto da Travelking

 

Proprio al centro dell’edificio, in cima alla cupola, c’è una lingua, simbolo di Giovanni il martire dei segreti della confessione. Si trova anche nella forma delle finestre a punta. La composizione di queste finestre vicino alla cappella della lanterna sopra l’ingresso ricorda una spada inguainata. Secondo la leggenda, la determinazione di Giovanni di non rivelare il segreto della confessione significava che la sua lingua rimaneva nascosta nella sua bocca come una spada in un fodero.

 

Nonostante le dimensioni massicce delle pareti, l’intero santuario dà un’impressione di leggerezza. Ci sono pochi ornamenti e nessun grandioso affresco barocco; l’idea è espressa solo dal modo in cui la luce agisce nello spazio.

 

 

La chiesa è circondata da chiostri a forma di stella a dieci punte, che offrono riparo ai pellegrini dalle intemperie. La relazione tra la stella a dieci punte (si riferisce al pozzo mariano a dieci lati del monastero di Zdar) e la stella a cinque punte (simbolo della Vergine Maria) rappresenta il pozzo cistercense di Zdar sulla cui superficie la stella mariana si riflette attraverso San Giovanni Nepomuceno che venerava la Vergine Maria allo stesso modo dell’abate Vejmluva che fece costruire la chiesa.

 

 

le foto sopra e lo scritto è dal link: Città di Žďár nad Sázavou

https://www.zdarns.cz/en/town/zelena-hora

 

 

 

 

LE MIGLIORI 10 cose da vedere a Zdar nad Sazavou (2024)

foto TripAdvisor

 

 

 

Ufficialmente l’architetto Santini, nato a Praga da una famiglia di scalpellini di origine italiana, artefice di molti capolavori nell’arte ceca mescolando gotico e barocco, si ispirò per questo santuario alla storia di San Giovanni Nepomuceno, che visse e studiò a Zelená Hora.

Il patrono della Boemia venne torturato e ucciso su ordine del re Venceslao IV perchè non voleva svelare il segreto della confessione della regina. Nel 1393 il suo corpo venne gettato dal Ponte Carlo a Praga (dove una delle statue lo ricorda), nel fiume Moldava. La leggenda narra che nel momento in cui il cadavere riaffiorò, nel cielo apparsero cinque luminosissime stelle, da allora uno dei simboli legati al Santo.

 

 

 

Questo mito venne poi ampliato e sviluppato da Santini, da sempre influenzato dal genio di Borromini, che prediligeva la forme stellari e le simbologie complesse,
che decise di creare la pianta della chiesa di Zelená Hora proprio così.
Le stelle e il numero cinque si rincorrono in ogni possibile variazione e moltiplicazione.

 

 

 

 

 

 

la chiesa di San Giovanni Nepomuceno dal basso

 

 

 

tramonto sulla chiesa di San Giovanni Nepomuceno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

museo multimediale

 

 

 

 

 

Misteri a parte, il luogo sacro di Zelená Hora trasmette comunque una sensazione di energia mistica. Quando si è entrati nelle cinque cappelle, seduti sulle panche ad ammirare gli interminabili simboli che si rincorrono le pareti, si viene quasi invasi nell’anima e nella mente da questa forza sovrannaturale.

Dall’interno ci si perde ad osservare e a contare i “cinque” che ci sono: dalla parola latina, composta appunto da cinque lettere, “Tacui”, per ricordare il martirio del Santo che pagò con la morte il suo silenzio, alla bianca e stilizzata stella del soffitto

 

 

cupola dall’interno

 

 

un’altra bella foto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A guardarla bene, un dettaglio attira l’attenzione: una lingua, rossa e bordata da raggi. Rammenta una delle effigi del Santo, a cui è dedicata la struttura, e il sole, che entra da una delle finestre sembra incendiare la lingua, come fosse un monito per la storia.

Uscendo nel cortile, la sensazione di essere davanti a qualcosa di esoterico rimane. In giro qualche tomba spoglia, nell’attiguo cimitero, mentre il cannocchiale della statua sembra puntato dritto verso le nuvole che si affollano sulla cupola, quasi fosse un segnale per gli adepti. Di sicuro Zelená Hora, oltre ad essere meta di pellegrinaggi e Patrimonio dell’Unesco, è una curiosità da ammirare in Repubblica Ceca

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Info: www.czechtourism.com/it/home/
Foto http://it.czech-unesco.org , www.czechtourism.com/it/home/ e Sonia Anselmo

 

 

 

 

segue da :

https://www.vysocina.eu/en/top-attractions/4752-lower-plague-cemetery-in-zdar-nad-sazavou

 

 

Nella stessa città, ŽĎÁR NAD SÁZAVOU, l’archittetto Santini progettò un cimiterio nel periodo dell’infuriare  della peste ( fine ‘600,  a Vienna, e a Praga e  Napoli inizi ‘700; Marsiglia, 1720-  ” fu una delle epiedemie più feroci della storia ” ); egli progettò un edificio simbolico a forma di teschio umano.
Il centro del cimitero è completato da una scultura dell’angelo del Giudizio Universale.

 

 

 

 

Il cimitero fu costruito vicino al monastero e ha tre cappelle ellittiche . La pianta triangolare doveva simboleggiare la Santissima Trinità . Sotto l’abate Hennet, questo simbolismo fu disturbato dall’aggiunta di una quarta cappella d’ingresso. Al centro del cimitero c’è una statua dell’angelo del Giudizio Universale di Řehoř Theny, che si trova lì dalla metà del XVIII secolo. Un tempo nelle cappelle c’erano sculture in legno .

 Foto: Chris Borg

 

 

 

 

 

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Gigi Proietti — La pioggia nel pineto — l’abbiamo sentita tante volte, ma non ci stanca.. è bravissimo e come si diverte !

 

 

 

 

 

 

 

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