La Chiesa di San Pietro è arroccata a picco su uno sperone roccioso, del promontorio delle Bocche di Porto Venere, che si protende nel mare formando una lingua calcarea dalla caratteristica forma a testa di coccodrillo, contenente una piccola caletta marina dedicata al poeta inglese George Gordon Byron. (Foto Wikipedia)
Anche se le origini più antiche del borgo vengono fatte risalire al VI secolo a.C. con la presenza dei popoli Liguri, le prime datazioni storiche di Porto Venere risalgono a Claudio Tolomeo (150 d.C.) e all’Itinerario Marittimo dell’imperatore Antonino Pio del 161 d.C. dove viene segnalato il borgo tra le località di Sestri Levante e Luni. Il borgo originario (castrum vetus), abitato da antichi pescatori, è oggi interamente scomparso. In seguito Porto Venere divenne base navale della flotta bizantina, ma fu assalita e distrutta dal re Rotari dei Longobardi nel 643 d.C. Tra i secoli VIII e XI fu oggetto di ripetuti assalti dei pirati saraceni e normanni, poi divenne possedimento feudale dei signori di Vezzano, che cedettero, all’incirca nel 1139, alla repubblica di Genova, con cui rimase per vari secoli fino al 1815 quando fu inglobato nel Regno di Sardegna. (Foto Andrea Macherelli Bianchini – internet ).
Il nome del borgo (Portus Veneris) derivava da un tempio dedicato alla dea Venere Ericina, sito esattamente nel luogo in cui ora sorge la chiesa di San Pietro. Il nome era probabilmente legato al fatto che, secondo la tradizione, la dea era nata dalla spuma del mare, abbondante proprio sotto quel promontorio.
Il tempio venne consacrato ufficialmente nel 1198 ed inglobò, rispettosamente, parte del muro esterno della chiesa primitiva.
Essa fu realizzata durante lavori di rifacimento che ristrutturarono la precedente chiesa romanica, irrobustendola con arcate interne e rifacendone i tetti. (Foto internet).
La facciata decorata a fasce bianche e nere risale al XIII secolo (presumibilmente tra il 1256 e il 1277).
Nel 1494 un grave incendio colpì il paese e coinvolse anche la chiesa di San Pietro, che venne in seguito ulteriormente danneggiata dagli attacchi della flotta aragonese di Carlo VII .
La chiesa di S.Pietro perse il titolo di Parrocchiale sul finire del XIV secolo, quando la titolarità passò alla chiesa di San Lorenzo. Nei secoli la sua struttura fu saccheggiata più volte e usata come cava di pietre.
Il campanile fu realizzato sulla cappella sinistra del presbiterio. Nel periodo napoleonico le sue rovine vennero destinate a batteria militare per la difesa del golfo spezzino. Fortunatamente, nel secolo scorso, dal 1929 al 1934, fu realizzato il restauro definitivo di questo splendido monumento, ma la sua valorizzazione risale a non molti anni fa, quando, nel 1997 Porto Venere, insieme alle isole vicine e alle Cinque Terre, è stato inserito tra i patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
La chiesa originaria, a sinistra, è un’opera di tipo siriaco del V secolo, con pianta rettangolare e abside semicircolare e fu fondata sugli antichi resti del tempio pagano dedicato alla dea Venere Ericina. La parte medioevale in stile gotico è quella a destra.
La parte superiore dell’antica chiesa, posta alla destra dell’ingresso e dal composto respiro preromanico, venne rifatta, con una volta a crociera di mattoni, nell’ampliamento del XIII secolo.
Questa parte più antica è ancor oggi identificabile grazie alla presenza della pavimentazione originale, a cerchi, losanghe e riquadri, realizzata su un fondo di mattoni con sottili lastre di pietre e marmi di vario genere.
Nell’abside, sobria e rigorosa, che si confonde all’ombra della scura pietra arenaria, si trova una copia della statua di San Pietro che si trova nella Basilica di S.Pietro a Roma.
L’originale della bellissima statua fu attribuita dal Munoz ad Arnolfo di Cambio, grande scultore – architetto del XIII secolo, ma altri studiosi affermano che l’opera sia di epoca tardo antica e che sarebbe una delle tre statue dell’Apostolo che già prima della seconda metà del secolo VII si trovavano nella Basilica romana, come proverebbe la lega di piombo e argento utilizzata, la stessa delle monete coeve. Arnolfo avrebbe semplicemente rimaneggiato la scultura, rifacendone probabilmente la testa che si era rovinata.
Entrando in chiesa si ha la sensazione di trovarsi in un unico ambiente, ma ad uno sguardo più attento si può riconoscere la divisione in tre navate, le laterali più strette e la centrale più ampia che conduce lo sguardo all’altare in marmo bianco di semplice fattura.
Due archi a tutto sesto mettono in comunicazione l’antica chiesa con la chiesa gotica trecentesca.
Formata da tre navate divise da grandi arcate ad ogiva, su cui si poggia il bellissimo tetto di legno.
L’interessante struttura è formata da robuste travi portanti di legno e da piani decorati a cassettoni.
Il presbiterio, caratterizzato dal sobrio stile genovese di pietre bianche e nere alternate, è diviso in tre parti con un’abside centrale e due cappelle laterali tutte a pianta quadrata e a fondale lineare.
La cappella a sinistra è sormontata dalla torre campanaria, sostenuta da una crociera, che sale a sezione quadrata sino a chiudersi a piramide.
Sebbene il restauro sia recente esso ha riproposto, su ogni lato, due file di bifore che, oltre ad avere una funzione decorativa, hanno il compito di alleggerire la struttura della torre.
L’abside centrale, contenente l’altare, è arretrata rispetto alle altre.
Sull’altare, un crocifisso ligneo accoglie i fedeli tra la luce di due monofore.
Le tre navate sono divise da grandi arcate ad ogiva, impostate su pilastri polistili.
La copertura è costituita da volte a crociera, con le vele formate da un bellissimo gioco di mattoni a vista, in origine intonacati.
L’interno della chiesa è decorato, come parte della facciata esterna, a strisce orizzontali bianche e nere che aumentano l’effetto verticale delle navate, per altro non molto alte. Questo alternarsi di pietra nera e bianca è utilizzato anche nei cordoli diagonali delle crociere, nelle nicchie e nelle arcate delle finestrelle, così da creare elementi ritmici bicromatici.
Una porticina della navata destra conduce ad un piccolo balcone, anticamente coperto da un tetto a spioventi di ardesia, come si deduce dai resti rimasti incastrati nella parete esterna a ridosso della monofora.
Il grande scultore LELLO SCORZELLI (Napoli, 7 novembre 1921 – Roma, 19 settembre 1997), celebre per avere realizzato la ferula ( Pastorale) di papa Paolo VI, è l’autore del portale bronzeo della chiesa di S.Pietro.
A descrizione del portale riportiamo di seguito alcuni stralci tratti da: http://docplayer.it/14119398–
Per-poter-meglio-comprendere-il-significato-del-portale-sara-necessario.html#show_full_text” Solitamente una porta unisce o separa due spazi, in questo caso si tratta di un punto d’incontro tra la natura bellissima e l’interno, opera dell’uomo, ricco di evocazioni storiche e religiose. Anche la stessa facciata sembra quasi fondersi insieme alla porta, così tanto da riuscire ad ingannare l’occhio dello spettatore che non riesce più a percepire dove finisce la natura e dove inizia l’opera dell uomo. La chiesetta continua ancora oggi a colloquiare con il mare che ha lavorato le sue pietre, creando vere e proprie sculture …
” Lello Scorzelli, artista di fama nazionale, nasce a Firenze nel 1921… , figlio d arte, suo padre Eugenio è infatti pittore. Fin dall infanzia dimostra una precoce abilità per il disegno, trascorre a Napoli l infanzia e la giovinezza. Iscrittosi alla Facoltà di Medicina e resosi presto conto di non essere portato alla professione di medico, passa così a frequentare l’Accademia delle Belle Arti di Napoli, preferendo comunque studiare da autodidatta il disegno e la scultura. A partire dagli anni 60, comincia a interessarsi alla scultura sacra e tra le sue opere più importanti di questo genere si può ricordare: il pastorale di Paolo VI, usato sia da Giovanni Paolo II, sia dal Papa attuale Benedetto XVI. “
“Lo Stabat Mater è una sequenza liturgica in onore della Madonna, intitolata così dalle parole iniziali. Se ne attribuisce la paternità a diversi uomini di chiesa ( Giovanni XXII, San Bernardo, San Bonaventura, Innocenzo III, Gregorio XI, ecc ) ma senza sicuro fondamento, mentre sembra probabile che sia opera di Iacopone da Todi. La sue poesia si ricollega a melodie attinte dalla lauda popolare eispirò molte composizioni di diversi musicisti. Si ricordano, per esempio: gli Stabat Mater di J. Despres, del Palestrina, di Scarlatti, Pergolesi, Steffani, Rossini, Verdi, Boccherini, Schubert, Dvorak e Szymanowski. L’artista coglie subito l’importanza di non ostacolare, né separare lo spazio naturale da quello sacro, perciò tenta una piacevole fusione tra l’opera naturale e quella artificiale.” “Due campi distesi come spiagge solari di metallo chiaro, disegnati a lambire lo sfondo e il metallo scuro marchiato a rappresentare profondità marine.
“Per prima cosa, lo scultore sceglie di voler mettere in risalto la scena della consegna delle chiavi del Regno a San Pietro da parte di Gesù, all’interno di una mandorla in posizione centrale, che assomiglierebbe di più alla nicchia di una nave, simbolo iconografico della Chiesa.” “Tra le figure, quella di Cristo è la più semplice: infatti, rispetto alle vesti più antiche degli altri personaggi, le sue sono quelle di un poverello, come lo sentì San Francesco, nella sua imitazione.”
“Al centro della grande mandorla, uno spicchio di infinito o anche una chiglia di nave sulla quale, Cristo dall’alto porge a San Pietro, che alza entrambe le mani, le chiavi della sua futura responsabilità.”
“La posizione di spalle (di Pietro, ndr) , elevatesi verso il Cristo, impedisce di cogliere l’intensa estasi dell apostolo, che appare invece in tutta la sua grandezza a chi, a porta aperta, si affacci dal ripiano più alto del pavimento interno.”
LE IMMAGINI DELLO SCULTORE CONTINUANO NEL LINK SOTTO:
https://www.salentoacolory.it/la-chiesa-san-pietro-portovenere/
Che bella questa chiesa, dove i secoli si sono sovrapposti e coabitano con grazia. Sa di mare.